Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 20-04-2011) 01-06-2011, n. 22227 Riparazione per ingiusta detenzione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con ordinanza in data 9 dicembre 2009 la Corte di Appello di Firenze rigettava la richiesta di riparazione per l’ingiusta detenzione proposta da A.P.M., il quale era stato sottoposto a misura cautelare carceraria dal 13 maggio 2006 sino al 12 luglio 2006, quando l’estrema misura era stata sostituita con quella degli arresti domiciliari; A. era stato poi nuovamente sottoposto a misura carceraria, per le accertate trasgressioni alle prescrizioni imposte, dal 21.3.2007 al 26 febbraio 2008, quando veniva assolto dalla Corte di Appello, che riformava la sentenza di condanna emessa dal Tribunale di Pisa in data 26.3.2007, in ordine al delitto di violenza sessuale perpetrato in danno di S.M..

La Corte territoriale evidenziava che l’imputato era stato mandato assolto non essendovi certezza in ordine all’abuso da patte del richiedente del leggerissimo stato di inferiorità psichica della S..

2. Avverso la richiamata ordinanza della Corte di Appello di Firenze ha proposto ricorso per cassazione A.P. a mezzo del difensore, deducendo la contraddittorietà della motivazione rilevabile dal testo del provvedimento impugnato. L’esponente rileva che la donna risultava affetta da malattia psichica di grado lievissimo che non le aveva impedito di instaurare una consenziente relazione affettiva con l’ A., all’insaputa del marito. Rileva che il richiedente aveva effettivamente accompagnato, quale volontario del servizio di assistenza, la donna presso il locale Pronto Soccorso ma non presso un Ospedale Psichiatrico. Sulla scorta di tali considerazioni osserva che A. non immaginava che la S. fosse in realtà affetta da malattia psichiatrica. La parte considera che la Corte territoriale abbia errato nel ritenere plateale la condizione di lieve malattia della donna, affetta da un leggerissimo stato di inferiorità psichica.

Il ricorrente assume che il provvedimento impugnato non spieghi perchè la condotta posta in essere da A.P., il quale aveva instaurato una relazione affettiva con la donna, sia stata qualificata come gravemente colposa; e ritiene che la Cotte di Appello neppure abbia accertato il rapporto di derivazione causale corrente tra la richiamata condotta e la custodia cautelare sofferta.

L’esponente ritiene che il giudice della riparazione non abbia proceduto ad una valutazione autonoma del materiale in atti, rispetto alle considerazioni svolte dal giudice della cognizione.

3. Il Procuratore Generale con requisitoria scritta, rilevato che non risulta specificato l’elemento della colpa da parte del giudice della riparazione, ha chiesto l’annullamento con rinvio della ordinanza impugnata.
Motivi della decisione

4. Il ricorso è infondato.

Come è noto, in tema di riparazione per l’ingiusta detenzione, il giudice di merito, per valutare se chi l’ha patita vi abbia dato o abbia concorso a darvi causa con doto o colpa grave, deve apprezzare, in modo autonomo e completo, tutti gli elementi probatori disponibili, con particolare riferimento alla sussistenza di condotte che rivelino eclatante o macroscopica negligenza, imprudenza o violazione di leggi o regolamenti, fornendo del convincimento conseguito una motivazione che, se adeguata e congrua, è incensurabile in sede di legittimità. Al riguardo, il giudice deve fondare la sua deliberazione su fatti concreti e precisi, esaminando la condotta tenuta dal richiedente sia prima che dopo la perdita della libertà personale, al fine di stabilire, con valutazione ex ante – e secondò un iter logico motivazionale del tutto autonomo rispetto a quello seguito nel processo di merito – non se tale condotta integri estremi di reato ma solo se sia stata il presupposto che abbia ingenerato, ancorchè in presenza di errore dell’autorità procedente, la falsa apparenza della sua configurabilità come illecito penale, dando luogo alla detenzione con rapporto di "causa ad effetto" (Cass. Sez. U, Sentenza n. 34559 del 26/06/2002, dep. 15/10/2002, De Benedictis, Rv. 222263). Condotte rilevanti in tal senso possono essere di tipo extra processuale (grave leggerezza o trascuratezza tale da avere determinato l’adozione del provvedimento restrittivo) o di tipo processuale (autoincolpazione, silenzio consapevole sull’esistenza di un alibi) che non siano state escluse dal giudice della cognizione.

4.1 L’ordinanza impugnata si colloca coerentemente nella linea del suddetto quadro interpretativo. La Corte di Appello, invero, ha rigettato la richiesta di riparazione, evidenziando che A., quale operatore a bordo di ambulanza, aveva accompagnato la S. in ospedale, per le cure psichiatriche di cui la donna abbisognava ed aveva instaurato una relazione affettiva e sessuale con la donna. Il Collegio ha rilevato, in particolare, che il prevenuto, con la descritta condotta, aveva negligentemente dato causa all’accusa elevata a suo carico, consistente nell’induzione al compimento di atti sessuali, con abuso della condizione di inferiorità psichica della S., condizione della quale A. ben si sarebbe potuto rendere conto, in ragione del servizio di assistenza continuativamente prestato. Il giudice della riparazione ha quindi qualificato, secondo un conferente percorso argomentativo, come gravemente colposa la condotta del richiedente, il quale aveva agito nella veste di operatore sanitario, nei confronti di soggetto, mentalmente disturbato, che era affidato alle sue cure. Sulla scorta di tali rilievi, la Corte di Appello ha del tutto legittimamente sottolineato che lo stato di inferiorità psichica della donna risultava plateale agli occhi dell’operatore professionale, anche se, clinicamente, la malattia era da classificarsi come disturbo di lieve entità. Pertanto, la decisione adottata dalla Corte di Appello, che ha apprezzato la sussistenza delle condizioni ostative al diritto all’equa riparazione, ai sensi dell’art. 314 cod. proc. pen., risulta immune dalle dedotte censure.

5. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *