T.A.R. Lazio Roma Sez. I ter, Sent., 03-06-2011, n. 5011 Armi da fuoco e da sparo

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

L’odierno contenzioso origina da contrasti di vicinato, risalenti nel tempo e mai sopiti, tra la famiglia del ricorrente e quella dei confinanti sigg.ri M..

La consorte del ricorrente è proprietaria, in comune di Guidonia di Montecelio, dell’abitazione coniugale: abitazione che fruiva di una servitù pedonale di passaggio insistente su un terreno contiguo la cui proprietà (in un periodo di tempo antecedente al 1988) è pervenuta alla famiglia M.. L’esercizio di tale servitù, contestato dai M., è all’origine della grave situazione conflittuale che si genera tra le due famiglie nonché causa di un contenzioso civile che si protrae per 16 anni e si definisce in favore della famiglia del ricorrente con la sentenza della Corte di cassazione n.5423/2004. Ciò nonostante si rendeva necessaria un’ulteriore iniziativa processuale (si è trattato di un’esecuzione forzata) per rimuovere, nel marzo del 2007, degli oggetti metallici collocati lungo il percorso della servitù pedonale per impedirne, di fatto, l’esercizio.

In detto contesto relazionale si colloca la lite generatasi la mattina del 28.3.2008 tra l’odierno ricorrente e l’anziano sig. M..

Sui motivi per i quali è scaturito il diverbio fisico e sulle relative modalità non v’è alcun obiettivo dato e/o riscontro: ognuno dei litiganti fornisce la propria versione dell’accaduto e soprattutto ognuno dei litiganti addebita all’altro di aver brandito (ma fortunatamente non diversamente utilizzato) un bastone metallico. L’unica cosa certa sono i postumi di tale episodio: il M., tramite ambulanza, veniva condotto ad un vicino nosocomio ove gli venivano diagnosticate "Infrazione dell’arco anteriore della V e VI^ costa dx e frattura composta dell’arco anteriore della XI costa. Contusione cranica" con prognosi di giorni 30 s.c.

Dimesso nella stessa giornata, alle ore 22 circa, il M. formalizzava denuncia querela contro il ricorrente. Seguivano:

– informativa di reato resa dai CC di Tivoli il 2.4.2008 alla competente procura della Repubblica per lesioni gravi ( artt.582, 583 c.p.) ed ingiurie (art.594 c.p.);

– due querele sporte dal ricorrente e dalla consorte del maggio 2008;

– ulteriore denuncia querela sporta dal M., il 14.5.2008, nei confronti del ricorrente e delle persone della moglie e figlio del ricorrente.

– la nota, in data 08.6.2009, con cui la locale Arma dei CC (che nell’imminenza del fatto di reato aveva proceduto al sequestro amministrativo delle armi legittimamente detenute dal ricorrente), partecipava al Questore di Roma (dovendo provvedere alla restituzione della armi sequestrate, per l’appunto, in via amministrativa e non sulla base di atto giudiziario), l’opportunità di valutare la persistenza, in capo al ricorrente, dei requisiti per la detenzione di cui trattasi. Alla nota venivano allegati alcuni degli atti sopra citati;

– il provvedimento di revoca della licenza del porto di fucile della quale il S. era titolare e il distinto provvedimento prefettizio recante il divieto, ex art.39 del Tulps, di detenere armi, munizioni e materie esplodenti.

Di detti provvedimenti il primo è stato impugnato con ricorso amministrativo (che il ricorrente definisce tuttora pendente e in ordine al quale la resistente amministrazione nessun dato ha fornito); mentre il secondo è stato impugnato col ricorso introduttivo dell’odierno giudizio affidato ad un unico motivo di gravame mirato ad evidenziare l’inadeguatezza della componente motivazionale nonché quella istruttoria. Sostanzialmente si addebita all’Autorità emittente di non aver tenuto conto che il S. è un ex poliziotto, dal curriculum eccellente e che durante il servizio ha svolto incarichi estremamente delicati quali addetto al servizio scorte di magistrati: stato matricolare che avrebbe dovuto indurre l’Autorità procedente ad indagare approfonditamente sulla reale natura della lite e ad accertare la reale natura dei fatti verificatisi. Il pericolo di abuso delle armi, d’altro canto, comporta un giudizio prognostico che non può prescindere dalla personalità del soggetto interessato.

In sede cautelare, la Sezione, dopo aver sintetizzato le circostanze sopra articolatamente rassegnate, con ordinanza del 29.4.2010, respingeva l’istanza di sospensione interinale degli effetti del provvedimento prefettizio impugnato, così testualmente pronunciandosi:

"Considerato che, pur dovendosi dare ulteriormente atto:

– che l’utilizzo nel corso del litigio di cui in premessa di un tubo metallico è circostanza non provata e da ciascuno dei due litiganti addebitata all’altro;

– che nella denuncia querela del 14.5.2008 nessun cenno è presente in ordine all’uso del predetto tubo metallico;

nondimeno la gravità delle lesioni inferte da parte del ricorrente (di anni 55 alla data dell’accaduto) a soggetto ottuagenario è insuscettiva di trovare giustificazione nel risalente dissenso tra gli stessi corrente e costituisce indice di una personalità impulsiva che depone per la reiezione dell’azionata domanda cautelare; ".

Detta ordinanza non è stata condivisa dal Giudice di appello cui l’interessato si è rivolto con atto di ricorso (del quale appresso si parlerà) che sostanzialmente reitera quanto dedotto in primo grado. La motivazione addotta dal Consiglio di Stato (ord. nr.4051/2010) è la seguente:

"Ritenuto che ricorrono i presupposti per accordare la richiesta misura cautelare in quanto il provvedimento impugnato non sembra tenere in debita considerazione l’incertezza, in punto di fatto, in merito alla vicenda che ha occasionato l’impugnato provvedimento (non definita, allo stato, in sede penale), né la personalità dell’odierno appellante e il fatto che, in precedenza, il medesimo non risulta aver tenuto comportamenti incompatibili con la detenzione di armi".

Successivamente la Difesa erariale ha depositato una breve memoria conclusionale; altra memoria è stata prodotta da parte ricorrente.

All’udienza del 12 maggio 2001 la causa è stata quindi introitata e spedita in decisione.
Motivi della decisione

I)- I fatti originatori della corrente controversia, i rilevi mossi da parte ricorrente e, da ultimo, l’orientamento assunto nella fase cautelare del giudizio da questo Tribunale e dal Giudice di appello, sono circostanze adeguatamente rappresentate in narrativa sulle quali è inutile ripetersi. Non risultano, peraltro, nell’atto di appello (che parte ricorrente ha avuta cura di allegare a propria nota recentemente depositata) prospettati ulteriori elementi di giudizio.

Tanto chiarito la Sezione dissente dall’indirizzo di pensiero che si manifesta nella lettura dell’ordinanza del Consiglio di Stato e si riporta, condividendoli, ai principi statuiti in materia sia dallo stesso Consesso che dal Giudice delle Leggi.

Dando l’ovvia precedenza a quest’ultimo occorre ricordare che la Corte (sentenza n. 24 del 1981), sia pure ai soli fini dell’ammissibilità del quesito referendario volto a conseguire l’abrogazione della norma che abilita al porto d’armi, ha statuito che detto porto costituisce "una deroga al divieto sancito dall’art. 699 del codice penale e dall’art.4, primo comma. della legge n. 110 del 1975". E tanto, ha osservato la stessa Corte nella sentenza nr. 440 del 1993, "in una linea pressoché conforme alla giurisprudenza del Consiglio di Stato, attenta a rimarcare come il porto d’armi non costituisce un diritto assoluto, rappresentando, invece, eccezione al normale divieto di portare le armi e che può divenire operante soltanto nei confronti di persone riguardo alle quali esista la perfetta e completa sicurezza circa il "buon uso" delle armi stesse; in modo tale – così e testualmente detto in alcune decisioni -da scagionare dubbi o perplessità sotto il profilo dell’ordine pubblico e della tranquilla convivenza della collettività, dovendo essere garantita anche l’intera, restante massa dei consociati sull’assenza di pregiudizi (di qualsiasi genere) per la loro incolumità".

Orbene tale principio trovava e trova tuttora conferma nella giurisprudenza del Consiglio di Stato che non ha esitato a ribadire che "il possesso da parte di un cittadino di un’arma, o l’utilizzo della medesima a fine di caccia, non rientra nello "statuto ordinario dei diritti della personalità appartenenti al singolo", ma costituisce un quid pluris, la cui concessione risente della necessità che, stante il potenziale pericolo rappresentato dal possesso e dall’utilizzo dell’arma, l’Amministrazione si cauteli mercè un giudizio prognostico che, ex ante, escluda la possibilità di abuso" (cfr. Cons. St. ex plurimis, nn. 3558 e 3293 del 2010).

Altro principio che connota la materia è quello (affermato dalla Corte Costituzionale nella sent. n.440 del 1993) in sintonia al quale dalla eccezionale permissività del porto d’armi e dai rigidi criteri restrittivi regolatori della materia deriva che il controllo dell’autorità amministrativa deve essere più penetrante rispetto al controllo che la stessa autorità é tenuta ad effettuare con riguardo a provvedimenti permissivi di tipo diverso, talora volti a rimuovere ostacoli a situazioni giuridiche soggettive di cui sono titolari i richiedenti. Il che consente che il diniego all’uso dell’arma si fondi su concreti elementi che, pur non tradottisi in una condanna o nell’inizio di un procedimento penale, siano rivelatori di una condotta per di più sintomatica di una possibilità di abuso delle armi.

E che anche un tal principio trovi pacifico, consolidato e granitico riscontro nella giurisprudenza amministrativa è un dato che non appare confutabile. Così più volte il Consiglio di Stato ha affermato che "in subiecta materia, l’orientamento giurisprudenziale assolutamente prevalente ha costantemente ritenuto che "la revoca della licenza del porto di fucile costituisce esercizio del potere di cui all’art. 43 r.d. 18 giugno 1931 n. 773, che implica una valutazione tipicamente discrezionale in ordine all’affidabilità del titolare della licenza ai fini dell’uso dell’arma…..(VI^, nr. 2495 del 2006). Si è pertanto affermato che sono legittimi il divieto di detenere armi, munizioni ed esplosivi e la revoca del permesso al porto di pistola disposti sulla base di una serie di fatti i quali, nell’apprezzamento che ne fa l’amministrazione, possono indurre in quel momento ad ipotizzare un uso improprio dell’arma in modo da non recare danno ed altri…… Sotto il profilo della consistenza del dato probatorio sotteso alla valutazione amministrativa, la Sezione ha in passato affermato che ai fini della revoca del porto d’armi è sufficiente che sussistano elementi indiziari circa la mera probabilità di un abuso dell’arma da parte del privato………(VI, nr.6170 del 2005) L’art. 39 del R.D. n. 773/1931, nel prevedere il potere del Prefetto di vietare la detenzione di armi, munizioni ed esplosivi a carico delle persone ritenute capaci di abusarne, configura un potere di valutazione eminentemente discrezionale, da esercitarsi con prevalente riguardo all’interesse pubblico all’incolumità dei cittadini ed alla prevenzione del pericolo di turbamento che può derivare dall’eventuale uso delle armi, in riferimento alla condotta ed all’affidamento che il soggetto può dare in ordine alla possibilità di abuso delle stesse. A tale affermazione consegue, tra l’altro, che, considerato il carattere preventivo delle misure di polizia, non è richiesto che vi sia stato un oggettivo ed accertato abuso da parte del soggetto interessato, essendo sufficiente che – sulla base di elementi obiettivi – quest’ultimo dimostri una scarsa affidabilità nell’uso delle armi, o un’insufficiente capacità di dominio dei propri impulsi ed emozioni….(cfr. VI^, n. 238 del 2004 e nn. 3558 e 3293 del 2010 sopra richiamate).

Ora le censure prospettate dal ricorrente si pongono in distonia con i principi sopra riportati.

La circostanza che la vicenda che ha occasionato il provvedimento impugnato sia ancora sub iudice (penale) non è questione idonea a consentire il differimento della pronuncia dell’autorità amministrativa competente. Il Giudice delle Leggi ha precisato, lo si ripete, che il diniego all’uso dell’arma può fondarsi su concreti elementi che, pur non tradottisi in una condanna o nell’inizio di un procedimento penale, siano rivelatori di una condotta per di più sintomatica di una possibilità di abuso delle armi. E qui un dato concreto ed obiettivo esiste: è, da un lato, la lite, ammessa e riconosciuta da entrambi i partecipanti, e, dall’altro lato, la circostanza, documentalmente comprovata, che all’esito della predetta uno dei litiganti (di 55 anni) non ha riportato neanche un graffio e l’altro (di 80 anni) ha avuta diagnosticata una prognosi di 35 giorni salve ulteriori complicazioni.

Né la legittimità dell’atto impugnato appare pregiudicata dai limiti istruttori e motivazionali prospettati in gravame laddove si addebita all’Autorità emittente di non aver tenuto conto che il ricorrente è un ex poliziotto, dal curriculum eccellente e che durante il servizio attivo ha svolto incarichi estremamente delicati come addetto al servizio scorte di magistrati. E ciò in quanto, per converso, tali trascorsi professionali, maturati nel corso di un delicato servizio che richiede peculiari attitudini di controllo degli impulsi ed emozioni, avrebbero dovuto dotare il ricorrente della capacità e dell’esperienza sufficienti per trattenere (anche fisicamente) un ottuagenario ed evitare di procuragli, come di fatto accaduto, lesioni gravi.

Ne consegue, conclusivamente, che la prognosi contenuta nel provvedimento adottato risulta giustificata ed immune da vizi di illogicità od irrazionalità manifesti.

Il ricorso deve essere, dunque, respinto.

Le spese di lite, attesa la diversità di giudizi emersi in sede cautelare, vanno compensate tra le parti in causa.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Ter) respinge il ricorso in epigrafe.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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