Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 13-04-2011) 01-06-2011, n. 21843 Violenza sessuale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Provvedimento impugnato e motivi del ricorso – L’odierno ricorrente è stato giudicato responsabile di violenza sessuale in danno di una ragazza che egli riforniva abitualmente di cocaina e con la quale aveva anche realizzato un rapporto di frequentazione e di confidenza. Il fatto si sarebbe verificato un giorno che i due avevano già trascorso del tempo insieme in piscina e poi si erano recati a casa dell’imputato dove avevano anche consumato insieme cocaina.

Secondo la denunciante, improvvisamente l’uomo aveva cambiato atteggiamento e l’aveva costretta a subire vari atti sessuali fino ad un rapporto completo che, a detta della ragazza, ella non aveva ostacolato con una resistenza particolare per limitare i danni ed essendo spaventata da quell’improvviso cambio di atteggiamento dell’uomo. Alla fine, l’imputato le aveva offerto della cocaina da lei rifiutata. Riferisce la p.o. che, in vista della denuncia che ella aveva subito deciso di sporgere, si era impossessata del preservativo usato nascondendolo in borsetta. Erano usciti insieme da casa dello J. essendo stata la donna attesa dal proprio fidanzato (che, nell’occorso, diede anche un passaggio allo J.).

Come confermato, poi, dal fidanzato della ragazza, appena liberatisi della presenza dell’imputato, ella riferì dell’accaduto.

Della cosa era stato informato anche il fratello della p.o. che aveva collaborato alle prime ricerche per il rintraccio, senza successo, dello J. e, quindi avevano provveduto ad accompagnare la ragazza a sporgere denuncia. Il preservativo, esaminato, aveva evidenziato la presenza di tracce organiche compatibili con quelle dell’imputato il quale, in seguito, per parte sua, non aveva negato il rapporto sostenendo però, che esso era stato consensuale.

In sede di rintraccio e perquisizione dell’appartamento, lo J. era stato trovato in compagnia di altre ragazze che riferivano di essersi recate lì per acquistare del "fumo". Inoltre, erano state rinvenute tracce di sostanza stupefacente nonchè un bilancino di precisione e delle somme contanti di denaro in vari luoghi (anche occultate in un cuscino).

Con la sentenza qui impugnata, la Corte d’appello ha confermato la decisione di primo grado.

Avverso tale decisione, l’imputato ha proposto ricorso, tramite il difensore, deducendo:

1) violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento al capo a) (violenza sessuale). In particolare, si critica il fatto che la Corte abbia annesso credibilità alle parole della p.o. che, al contrario, risulterebbero contraddittorie sotto più profili. Il primo aspetto riguarda l’asserita "costrizione" al rapporto sessuale che pacificamente si è verificato. Sul punto, la Corte non avrebbe spiegato i criteri ai quali si è ispirata per ritenere l’attendibilità della denunciante.

Ci si diffonde, poi, nel richiamare l’attenzione sul fatto, assodato, che tra la p.o. e l’imputato sussisteva un rapporto di amicizia e confidenza di tipo affettuoso e che non è stata raccolta prova certa circa il perdurare del dissenso durante tutto il rapporto. Tale dissenso non può desumersi in alcun modo ed è anzi contraddetto dal certificato del pronto soccorso che ha escluso la presenza di lesioni e sarebbe smentito anche dal comportamento dalla p.o. che, incontrando l’imputato in seguito in discoteca, avrebbe cercato di ottenere denaro per il ritiro della denuncia.

Inoltre, la critica del ricorrente investe le deposizioni dei testi a riscontro (il fidanzato ed il fratello della p.o.) dei quali viene richiamato l’intero contenuto evidenziando discrasie come il fatto di avere negato (il fratello) la conoscenza con lo J. venendo in ciò smentito. Si richiamano, poi, le dichiarazioni della teste a difesa, P., secondo la quale la D. le avrebbe confidato di avere litigato con J. per questioni attinenti la droga e di averlo denunciato per un rifiuto dell’uomo a fornirle altra sostanza.

Ancora, si richiamano altre imprecisioni delle dichiarazioni della D. (es. il fatto di non essere stata precisa sull’orario, di avere cambiato versione circa l’abbigliamento indossato – pantaloni e non fuseaux) e si conclude richiamando quelle decisioni della Corte di Cassazione in base alle quali le dichiarazioni della p.o. devono essere vagliate attentamente in modo da fondare il giudizio di responsabilità su indizi che siano gravi, precisi e concordanti;

2) violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla ulteriore contestazione di spaccio mossa all’imputato, dal momento che neanche i verbalizzanti hanno potuto affermare di avere colto lo J. nell’atto di cedere droga;

3) violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla pena, da considerare sproporzionata ed eccessiva rispetto alla modestia del fatto.

Il ricorrente conclude invocando l’annullamento della sentenza impugnata.
Motivi della decisione

2. – Il ricorso è infondato.

2.1. (Quanto al primo motivo). Il caso in esame è emblematico della necessità – sottolineata più volte da questa S.C. (ex multis, Sez. 4, 21.6.05, Poggi, Rv. 232018) – di vagliare con peculiare attenzione le dichiarazioni della p.o. denunciante ma anche della possibilità di fondare il convincimento di responsabilità per un fatto che – come spesso è la violenza sessuale – può essere provato solo mediante la parole della vittima-unica testimone oculare (da ult.

Sez. 3, 3.12.10, L.C., Rv. 249136).

E’ stato anche sottolineato, in proposito, che il giudizio di attendibilità della teste, "essendo di tipo fattuale, ossia di merito, in quanto attiene il modo di essere della persona escussa, può essere effettuato solo attraverso la dialettica dibattimentale, mentre è precluso in sede di legittimità, specialmente quando il giudice del merito abbia fornito una spiegazione plausibile della sua analisi probatoria" (sez. 3, 5.10.06, Agnelli, Rv. 235578).

Orbene, la infondatezza della presente doglianza si annida proprio nella concorrenza di tali fattori: da un lato, la esistenza di una valida motivazione e, dall’altro, l’erroneo sforzo del ricorrente di indurre questa S.C. ad una rivalutazione dei fatti per trame conseguenze diverse che, anche se astrattamente possibili, non possono rappresentare il risultato di un giudizio come quello qui invocato che è mirato esclusivamente a soppesare la esistenza di una motivazione congrua, rispettosa di tutele emergenze processuali e dibattimentali ed articolata in modo non manifestamente illogico nè contraddittorio.

Andando ad esaminare la prima doglianza più nello specifico, si riscontra, in primo luogo, che, piuttosto singolarmente, è proprio il ricorrente (f. 8) a riepilogare in modo sintetico ma chiaro ed efficace i punti salienti sui quali la Corte ha fondato il proprio vaglio di attendibilità: a) la immediatezza della denuncia; b) una ricostruzione ferma e puntuale dei fatti scevra da animosità e desiderio di rivalsa; c) la complessiva sincerità del racconto della donna, riscontrabile non solo attraverso le testimonianze del fidanzato e del fratello della ragazza ma anche nel fatto di indicare tali persone come, a loro volta, acquirenti di cocaina; d) la illustrazione di un contesto – quello di assunzione smodata di droga ed alcool- nel quale si erano verificati i fatti che avrebbe potuto prestarsi anche a "letture" sfavorevoli alla credibilità della donna; e) la irrilevanza del referto di pronto soccorso (negativo a proposito di eventuali tracce di violenza).

Dopo tale dettagliata elencazione -come se non risultasse sufficientemente chiara -la replica del ricorrente è che la Corte non avrebbe spiegato i criteri ai quali si è ispirata per sostenere la attendibilità dei testi posto che la violenza sarebbe stata smentita dalla assenza di un referto medico a riguardo.

Se già tali rilievi risultano alquanto dissonanti sul piano logico con la molteplicità degli argomenti svolti – per ammissione dello stesso ricorrente – dalla Corte vi è da soggiungere che anche, nel prosieguo, gli argomenti svolti a sostegno del ricorso risultano evanescenti e tutti tesi a valorizzare aspetti della vicenda che, anche se presi in considerazione, nulla tolgono alla completezza e congruità della motivazione impugnata.

Ed infatti, ricordare che la vittima e l’imputato erano legati da un rapporto di amicizia e confidenza è irrilevante posto che è la stessa persona ad ammetterlo (prova ne siano il fatto stesso che ella, il giorno dei fatti, trascorse del tempo insieme allo J. in piscina e, quindi accedette all’incontro a casa sua per consumare insieme droga ed alcool e – potrebbe qui aggiungersi – anche la circostanza che, ad attenderla all’uscita da casa dello J., vi era proprio il fidanzato della ragazza a dimostrazione di una "naturalezza" di frequentazione del tutto incontestata).

Quanto alla non significatività del certificato di pronto soccorso, l’argomento non è per nulla illogico nel presente contesto ed il richiamarlo si risolve solo in uno sforzo di ottenere un ulteriore giudizio di merito.

In realtà, deve, innanzitutto ricordarsi che, per il delitto di violenza sessuale, l’elemento della violenza non è mai Stato identificato (neanche in epoca lontana vigente altra normativa, Sez. 3, 26.1.71, visconti, Rv. 118296) nella necessità di una "vis atrox" essendo sufficiente la costrizione ad un consenso viziato anche, ad esempio, attraverso un’azione insidiosamente rapida così da superare la contraria volontà del soggetto passivo (sez. 3, 27.1.04, Rv.

228493) ovvero – come sembra suggerire il caso di specie – l’approfittamento di un contesto di peculiare "abbandono" indotto da assunzione massiccia di droga ed alcool cui si aggiunga il fatto – riferito espressamente dalla vittima – di avere (di proposito) evitato – di fronte agli approcci sessuali, atteggiamenti di resistenza ad oltranza che avrebbero potuto risolversi in un aggravamento delle conseguenze.

Di certo, quindi, su tali premesse, è del tutto irrilevante l’assenza di lesioni riscontrate o riscontrabili sulla vittima.

Si potrebbe, però, obiettare che tutto ciò è il risultato del mero racconto della vittima ma, si ribadisce, contrariamente a quanto assume il ricorrente, la Corte ha bene argomentato il proprio convincimento a proposito della credibilità della ragazza valorizzando la linearità del suo comportamento e l’assenza di un qualsivoglia motivo o intento calunniatorio. L’intento di denuncia non può neppure essere messo in dubbio dal fatto che la ragazza non riferì l’accaduto immediatamente al proprio fidanzato quando lo incontrò sotto casa ma attese che si allontanasse lo J., sia, perchè si tratta di condotta agevolmente spiegabile con un istintivo riservo "a caldo" e con il timore di potenziali reazioni violente del fidanzato contro lo J., sia perchè la indubitabile volontà della ragazza di denunciare lo J. per i rapporti sessuali impostile si evince dal fatto che ella aveva subito conservato il preservativo sporco con tracce del liquido seminale dell’imputato.

Quest’ultimo, poi, per parte sua, non negando i rapporti ma assumendone la con sensualità, non ha spiegato al contempo il motivo per cui la ragazza avrebbe dovuto intessere una denuncia così grave e falsa a suo carico (fine f. 4).

Con argomentare logico ed esauriente la Corte replica anche alle (analoghe alle presenti) censure svolte dal ricorrente a proposito delle discrasie che affliggerebbero le dichiarazioni della D..

Si fa, infatti, notare che le imprecisioni (afferenti "l’orario in cui l’amico di J. avrebbe suonato il campanello della sua abitazione o l’esatta tipologia del capo di abbigliamento indossato dalla p.o. – se pantaloni o fuseaux -) (f. 4 ) del racconto della ragazza sono del tutto "marginali ed insignificanti agli effetti di stabilire se la dinamica del fatto fu quella di un rapporto consensuale o invece di una violenza sessuale (f. 3).

Per contro, giustamente i giudici richiamano l’attenzione sul fatto che l’esame dibattimentale della D. è avvenuto "a distanza di un anno e mezzo dall’episodio criminoso" sì che la presenza di piccole imprecisioni "appare semmai indicativa della genuinità e dell’assenza di qualsiasi studiata preparazione della testimonianza" la cui attendibilità viene dunque confermata.

Del resto, anche questa S.C. ha avuto occasione di pronunciarsi sul fatto che persino l’assenza di indicazioni precise sulla collocazione temporale della violenza denunciata può essere dettaglio irrilevante a fronte del complesso di ulteriori elementi idonei a riscontrare il fatto (sez. 3, 14.12.05, Brugnoli, Rv. 234632).

In ogni caso, la Corte ha mostrato di avere vagliato con attenzione tanto il racconto della ragazza che quello dell’imputato sottolineando la incongruenza dell’affermazione di quest’ultimo secondo cui il rapporto incriminato avrebbe fatto seguito ad altro del giorno precedente senza che fosse stato spiegato (f. 4), però, per quale ragione – se vera la tesi – la D. avrebbe dovuto denunciare solo il secondo rapporto e non anche il precedente "tanto più che trattandosi di un rapporto protetto dall’uso del preservativo la ragazza non poteva correre alcun rischio per la propria salute fisica".

E’, dunque, incensurabile la conclusione logica della Corte secondo cui a seguire la difesa dell’imputato, si dovrebbero ipotizzare " un malanimo ed un intento dichiaratamente calunnioso nei confronti dell’imputato che non trova alcun riscontro nella condotta processuale complessiva della D.". Al contrario, sottolineano i giudici: "dalla lettura del verbale della deposizione testimoniale della ragazza emerge una ricostruzione ferma e puntuale, ma pacata, dell’episodio criminoso, priva di qualsiasi accento di animosità o sentimento di rancore e rivalsa verso l’imputato, nei cui confronti la D. non si è neppure costituita parte civile".

Significativamente, poi, la Corte sottolinea alcuni passaggi della deposizione della donna dai quali si evince quasi uno sforzo della stessa – dicono i giudici – "perfino di comprendere" (ma non giustificare, vista la denuncia) come quando afferma "secondo me, lui si è reso conto di quello che stava facendo perchè….cioè, secondo me ha avuto un raptus momentaneo o qualcosa".

Nessun dubbio, poi, che nella specie non ricorrono solo le parole della p.o. ma anche quelle del fratello e del fidanzato ( D. G. e Z.M.) le dichiarazioni dei quali – sottolineano i giudici di merito – sono risultate confermative di quelle della D. "visto che le difformità enfatizzate nei motivi di appello riguardano essenzialmente, non già il contenuto di quanto i testi avevano appreso de relato dalla parte offesa" bensì altre circostanze relative ai loro rapporti con l’imputato caratterizzati da scambi di cocaina sui quali ben poteva essere comprensibile una certa reticenza per timore di conseguenze.

Nè, infine, le accuse della D. sono state validamente inficiate dal ricorrente con il richiamo alle diverse affermazioni della teste P.. Anche su tale aspetto la replica della Corte risulta logica e convincente sottolineandosi, in primo luogo, (f. 6) che questa teste della difesa è comparsa per la prima volta in dibattimento (mai emersa nella fase delle indagini preliminari) ed ha riferito aspetti irrilevanti o incredibili. Insignificante è infatti ciò che ella ha riferito di avere appreso dall’imputato circa i rapporti don la D. che, comunque, vengono descritti come amichevoli (a conferma di un dato già acquisito dalla stessa D.); non credibile è l’episodio estorsivo al quale avrebbe assistito, sia perchè – come ricordato anche dalla D. nel confronto sostenuto in primo grado – ella fu subito resa edotta dalla P.G. della irretrattabilità della querela che stava sporgendo a carico di J., sia perchè è inverosimile che un tale tentativo di estorsione, da parte della D., fosse fatto in presenza di una estranea la P. ("pronta a testimoniare in favore di J.) (fr. 6).

2.2. (quanto al secondo e terzo motivo). I motivi svolti per dolersi della condanna per violazione del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 e della pena inflittagli sono accomunati dal fatto di essere sostanzialmente inammissibili perchè generici e, comunque, in fatto.

Il tutto a fronte di una motivazione che, ancora una volta risulta puntuale, chiaramente agganciata alle emergenze processuali e del tutto logica.

Dicono infatti i giudici che, per quel che attiene alle cessioni di sostanza stupefacente di cui ai capi B) e C) va, innanzitutto ricordato che l’imputato è reo confesso sia delle cessioni alla D. che di quelle alla coppia T. – H. la cui presenza, peraltro, è stata accertata direttamente dalla P.G. come pure sono state confermate nel dibattimento precedenti cessioni.

Evocare, quindi, il fatto che lo J. non sia stato colto nell’atto di cedere droga è del tutto inconferente sia per la presente sede di legittimità, sia perchè, ai fini della declaratoria di responsabilità esiste una più che valida giustificazione.

Anche la doglianza sulla pena – che pecca di sostanziale assertività – è manifestamente infondata per l’ulteriore considerazione che tanto è vero che i giudici hanno dato contezza della loro decisione che hanno accolto il motivo di appello sul punto riducendo la pena inflitta in primo grado sul rilievo che fosse necessario "adeguare la risposta sanzionatoria alla effettiva gravità del fatto ed alla reale capacità a delinquere mostrata dall’imputato". A tal fine la Corte ha ritenuto di dover tener conto "della peculiarità del contesto ambientale e circostanziale in cui si colloca lo specifico episodio criminoso con particolare riguardo alla situazione concretamente determinatasi per effetto del consumo smodato di sostanze stupefacenti (oltre che alcoliche)".

Se si tiene conto che questa S.C. ha spesso ricordato (sez. 2, 26.6.09, Denaro, Rv. 245596; Sez. 6, 12.6.08, Bonarrigo, Rv. 241189;

Sez. 2, 19.3.08, Gasparri, Rv. 239754) Che una Specifica e dettagliata motivazione in ordine alla quantità di pena irrogata è necessaria soltanto se la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale (potendo altrimenti essere sufficienti a dare conto dell’impiego dei criteri di cui all’art. 133 c.p., le espressioni del tipo: "pena congrua", "pena equa" o "congrue aumento", come pure il richiamo alla gravità del reato o alla capacità a delinquere) è fin troppo evidente l’accuratezza del vaglio operato dalla Corte anche in punto di pena.

Nel respingere il ricorso, segue, per legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

Visti l’art. 615 c.p.p., e ss.;

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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