Cass. pen., sez. VI 30-10-2008 (16-10-2008), n. 40589 Atto contrario ai doveri d’ufficio – Individuazione – Successiva verifica dell’esistenza dei requisiti necessari per l’adozione dell’atto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

FATTO E DIRITTO
Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Lecce, per quel che ancora interessa il presente procedimento, in parziale riforma della sentenza del Tribunale della città in data 29 giugno 2000, ha ridotto la pena inflitta ad F.A. dal giudice di primo grado per i reati di cui ai capi A) (corruzione aggravata in concorso con altri per atti contrari ai doveri di ufficio, così riqualificato il fatto originariamente contestato come concussione), I) (corruzione aggravata in concorso con altri per atti contrari ai doveri di ufficio), e Q) (corruzione aggravata in concorso con altri per atti contrari) ad anni tre di reclusione.
– Con la prima imputazione veniva contestato al F., nella qualità di componente della Commissione medica per l’accertamento della invalidità civile presso la USL (OMISSIS), di avere accettato, in concorso con D.M.C. (titolare di un bar sito nei pressi della sede della ASL, persona in stretti rapporti con il F., operante quale tramite nelle richieste indebite di denaro tra quest’ultimo e le persone richiedenti riconoscimenti di invalidità), la promessa di ottenere la somma di L. 20 milioni dai coniugi M.L. e D.F.G., interessati al riconoscimento di invalidità con accompagnamento della M., in cambio dell’accoglimento della domanda senza intralci, e poi di avere ricevuto detta somma, una volta percepiti dalla M. gli arretrati della pensione pari a L. 63 milioni complessivi (in (OMISSIS)).
L’episodio, così riqualificato già in sede di giudizio di primo grado come corruzione propria antecedente, rispetto alla originaria imputazione di concussione, era venuto a conoscenza della autorità giudiziaria in base a denuncia degli interessati ed era stato confermato dalla stessa D.M., ritenuta intrinsecamente attendibile, la quale ha reso dichiarazioni auto ed etera accusatorie; le dichiarazioni erano confermate dai riscontri esterni consistenti nella deposizione di I.V., dipendente della Associazione Nazionale Mutilati e Invalidi Civili, dalle dichiarazioni dei coimputati L. e C., dalle ammissioni parziali dello stesso imputato, dalla deposizione di L.M. R., dalle concordi dichiarazione degli interessati, i quali avevano consegnato alla D.M. per il F. la somma di L. 20 milioni, dalla deposizione del teste P..
La riqualificazione del fatto come corruzione propria era riconducibile alla considerazione della mancanza di qualsiasi forma di coercizione della D.M. e, attraverso di essa, dal F., nonchè dalla ritenuta realizzazione di un negozio illecito paritetico, posto in essere per il tramite della D. M., finalizzato al conseguimento del beneficio richiesto dalla M..
La Corte d’appello nel confermare la condanna per tale capo aveva osservato che non era neppure ipotizzabile il reato di corruzione impropria giacchè il comportamento dell’imputato era manifestazione di un "asservimento addirittura "preventivo" della pubblica funzione agli interessi del privato", dal momento che era emerso che il F. aveva preso atto della patologia della M. e aveva garantito il buon esito della pratica ancor prima di prendere visione della (sola) documentazione allegata a sostegno della domanda.
– All’imputato era inoltre contestato il reato di corruzione impropria aggravata, ancora in concorso con la D.M., perchè entrambi accettavano la somma di L. 3 milioni da Fr.
L. per il compimento da parte del F. di un atto contrario ai doveri di ufficio quale componente della Commissione medica per l’invalidità civile presso la ASL (OMISSIS), consistente nel garantire il buon esito della pratica grazie al suo ruolo di membro della Commissione, e nell’inviare il Fr. da medici di sua fiducia che avevano redatto compiacenti certificazioni mediche poste a fondamento dell’accoglimento della domanda di invalidità: la domanda di pensione di invalidità veniva poi accolta senza che il Fr. venisse sottoposto a visita medica.
Il F. percepiva quindi il compenso illecito pattuito (in (OMISSIS)). Le prove erano date dalle dichiarazioni della D.M. che avevano trovato puntuale riscontro nelle dichiarazioni di Fr.Lu. e nella testimonianza di Fr.Pi.. La ricostruzione dei fatti e la qualificazione giuridica erano ritenute corrette dalla Corte di merito. Anche in tal caso il F., in via preventiva, aveva garantito le prestazioni dell’ente pubblico, così asservendo la funzione pubblica a esigenze meramente private.
– Quanto poi al reato sub Q), l’episodio è sostanzialmente analogo a quello appena descritto e riguarda Fr.Im., sorella di Lu.. A fondamento della responsabilità erano poste le dichiarazioni della D.M. e della F. I. oltre che del teste C.U.. (in (OMISSIS)).
Avverso la predetta sentenza propone ricorso per Cassazione il difensore di F. che deduce quanto segue.
– Con un primo motivo (concernente l’episodio M.) lamenta la falsa applicazione dell’art. 192 c.p.p. e il vizio di motivazione.
Si duole della motivazione sulla attendibilità della D.M. osservando che a nulla rilevava la circostanza che la donna avesse reso anche dichiarazioni autoaccusatorie. Si duole altresì della mancata risposta alle deduzioni svolte sul punto in sede di appello:
la donna era originariamente imputata di millantato credito e solo dopo aveva accusato il F. aveva ottenuto gli arresti domiciliari. Inoltre ella aveva un interesse a chiamare in correità il F. per coprire la figlia e il fratello che avevano fornito un contributo ai fini del conseguimento della somma di denaro di cui la D.M. si era impossessata dopo che la M. aveva ottenuto gli arretrati.
Sotto altro aspetto si duole della violazione dell’art. 192 c.p.p. e del vizio di motivazione nonchè della contraddittorietà di essa in relazione ad atti del processo con riferimento al medesimo episodio M.. F. non è mai stato Presidente della Commissione di prima istanza della Usl (OMISSIS), ma solo componente quale rappresentante di categoria: aveva poteri limitati davanti ad altri membri del collegio (v. verbale visita M. del 22 maggio 1992).
Inoltre F. non aveva neppure preso parte alla visita della M. che aveva dato luogo al riconoscimento della invalidità (verbale visita anzidetto e certificazione prodotta in primo grado).
Ciò doveva indurre la Corte di merito a ritenere che mancasse la prova della corruzione per mancanza di un atto contrario ai doveri di ufficio. Vi erano anche forti contraddizioni tra le dichiarazioni della D.M. e quelle della M..
Quest’ultima aveva detto che la D.M. si era interessata, dopo presentazione del marito, molto dopo la visita favorevole e solo per ottenere gli arretrati. La D.M. aveva invece dichiarato che era intervenuta subito sul F., nella fase del riconoscimento di beneficio. Inoltre v’era discrasia, sulla fase di pagamento degli arretrati tra la versione della chiamante e dei testi D.F. e M.. Ugualmente doveva dirsi in ordine al contrasto (tra la M. e il D.F. da un lato e la D.M. dall’altro) sulle modalità con cui erano stati cambiati gli assegni dalla M. e con cui la D.M. si era impossessata dei soldi.
La stessa cosa doveva dirsi sia sulle modalità con cui era stata appresa dalla D.M. la notizia della denuncia presentata dalla M., sia sulla decisione (secondo la D.M. sollecitata da F.) di aprire un libretto postale intestato al D. F..
Vi sarebbe contrasto anche con la teste B. (assistente sociale).
Sotto un diverso profilo deduce la violazione dell’art. 319 c.p..
Sostiene che il reato si sarebbe dovuto derubricare in quello di corruzione impropria, in quanto non risultava da alcun atto processuale che le patologie lamentate dalla M. fossero insussistenti (per episodi analoghi la Corte era pervenuta a qualificare il fatto come corruzione propria). Inoltre, come detto, F. non aveva neppure partecipato alla visita presso la Commissione di prima istanza della USL (OMISSIS). Il reato si sarebbe dunque dovuto dichiarare prescritto.
– Ulteriore motivo concerne gli episodi riguardanti Fr.
L. e Fr.Im.. Anche per tali analoghi episodi, la difesa rileva, sotto un primo profilo, il vizio di motivazione in relazione all’art. 192 c.p.p..
Sostiene che la Corte d’appello aveva mancato di considerare le dedotte divergenze tra le dichiarazioni della D.M. con quelle della Fr.: quest’ultima aveva detto, contrariamente alla D.M., che il compenso era stato chiesto dopo l’ottenimento del beneficio. Inoltre la dichiarazione della dazione dei tre milioni dalla D.M. al F. era rimasta priva di qualsiasi riscontro individualizzante. Non solo ma non v’era il minimo indizio del fatto che per "facilitare l’iter della pratica" fosse stato il F. a prendere la decisione di eseguire la visita domiciliare, nè avrebbe potuto prenderla non essendo Presidente della commissione.
– Sotto altro aspetto rileva che i fratelli Fr. avevano diritto alle prestazioni. Per di più l’intervento del dottor F. sarebbe intervenuto in via preventiva. Non si sarebbe trattato di un atto contrario ai doveri di ufficio, ma semmai di un atto di ufficio in violazione di un dovere di imparzialità e di correttezza, ma non già di un asservimento di una pubblica funzione all’interesse pubblico attraverso un atto contrario ai doveri di ufficio. Il reato riqualificato sarebbe coperto da prescrizione.
Osserva la Corte, in ordine ai primi due motivi di ricorso concernenti l’episodio M., che la motivazione in punto di ricostruzione dei fatti operata dalla Corte d’appello come pure di valutazione della prove sia del tutto congrua e immune da vizi logici e, ancora di più, da vizi di violazione dell’art. 192 c.p.p..
Si deve ricordare che Sez. U, Sentenza n. 2110 del 23/11/1995 Ud.
(dep. 23/02/1996), Fachini, Rv. 203767 hanno affermato che la Corte di Cassazione non può esprimere un giudizio sulla rilevanza e sulla attendibilità delle fonti di prova una volta verificato che le scelte compiute dal giudice di merito siano coerenti, sul piano logico, e frutto di un’esauriente analisi delle risultanze probatorie acquisite: tali scelte si sottraggono al sindacato di legittimità, una volta accertato che il processo formativo del libero convincimento del giudice non ha subito il condizionamento di una riduttiva indagine conoscitiva o gli effetti altrettanto negativi di un’imprecisa ricostruzione del contenuto di una prova. Nella specie i giudici di merito, in primo e secondo grado, hanno esaminato tutte le fonti di prova, valutando come di scarso rilievo, e quindi non decisivi, alcuni contrasti nelle dichiarazioni della M. e del D.F. da un lato e della D.M. dall’altro (neppure specificati analiticamente nel ricorso per Cassazione – salvo quello tra la M. e il D.F. sul momento di intervento della D.M., del tutto congruamente spiegato alla pag. 29 della sentenza di primo grado) e comunque implicanti una inammissibile rivalutazione delle prove da parte del giudice di legittimità), e non risulta (nè è stato dedotto) che abbiano travisato i risultati probatori (salvo quanto subito si dirà): consegue che, anche sotto questo aspetto, le emergenze probatorie non possono essere rivisitate dalla Corte di Cassazione. E’ vero che a pag. 4 della sentenza F. è indicato come Presidente della Commissione, ma tale indicazione è riportata in un passo in cui la sentenza richiama le dichiarazioni della D.M..
E’ certo comunque che in nessuna parte delle sentenze di primo e secondo grado si fa derivare da tale erronea qualità una qualsiasi conseguenza, perchè nelle imputazioni e in ogni altra parte delle decisioni si parla del F. come componente della Commissione medica quale rappresentante dell’ANMIC. Ciò serve anche a superare l’obiezione del ricorrente sulla sua mancata presenza il giorno della visita. A parte il fatto che la visita costituisce un momento del procedimento di riconoscimento della invalidità e che la motivazione del provvedimento può anche essere redatta successivamente, la sentenza di primo grado spiega molto bene come il F. avesse già esaminato prima della visita la documentazione medica offerta dalla M., consigliandola di non produrre altri documenti, sicuro che gli interessi della M. sarebbero stati salvaguardati da quei documenti e dal fatto che in quella seduta avrebbe partecipato il dottor G. in sua sostituzione quale medico di categoria perchè collega del F..
Del resto, è altrettanto pacifico che sono ininfluenti le minime incongruenze e che debbono considerarsi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purchè siano spiegate – come nella specie lo sono – in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento. (Sez. U., Sentenza n. 00024 DEL 16/12/1999 – UD 24/11/1999, Spina, RV. 214794).
Per quanto riguarda il terzo motivo relativo all’episodio M. è infondata la tesi in diritto prospettata dal ricorrente, secondo cui la insussistenza di prova di fattori contrari al riconoscimento della invalidità farebbe esulare il fatto dal reato di corruzione propria (art. 319 c.p.) per farlo rientrare in quello di corruzione impropria (art. 318 c.p.), in mancanza di un atto contrario ai doveri di ufficio. Va sottolineata invece la precisione e la adeguatezza della imputazione giacchè il modus operandi del F., venuto alla luce anche in ragione di altri episodi analoghi giudicati nello stesso procedimento, era quello solito di promettere il buon esito della pratica di riconoscimento di invalidità (tramite la D. M.) ancor prima di esaminare la documentazione medica e a prescindere da essa. Non ha importanza ai fini della valutazione della sussistenza dell’atto contrario ai doveri di ufficio la circostanza che poi si sarebbe verificata la ricorrenza degli elementi per un riconoscimento della invalidità. Così comportandosi il F. faceva mercimonio della sua funzione ponendo in essere sicuramente atti contrari ai doveri d’ufficio, aderendo, in via preventiva, alla ipotesi del certo riconoscimento della invalidità indipendentemente dalla accertata esistenza dei requisiti per tale riconoscimento, e anzi accettando preventivamente l’eventualità che non sussistessero, così veramente asservendo la funzione pubblica agli interessi privati, e non semplicemente violando i doveri di imparzialità e correttezza per la trattazione (sollecita) della pratica.
Per quel attiene agli analoghi episodi relativi ai fratelli Fr. va anzitutto precisato che i reati di corruzione propria non sono prescritti. Tenuto conto della contestazione sino al (OMISSIS), il periodo massimo della prescrizione sarebbe scaduto nel settembre 2008, quindi pochi giorni prima della odierna udienza. Sennonchè dal solo fascicolo della Corte d’appello risultano alcuni episodi di sospensione della prescrizione, quale quello dal 17 giugno 2005 al 21 settembre 2005 (impedimento del difensore del F. avv. Bonsegna), pari a tre mesi e quattro giorni, termine sufficiente ampio per ritenere che alla data della odierna udienza il reato non era ancora prescritto.
Fatta tale premessa, va rilevato che il primo motivo di ricorso di tali due fratelli, riguarda, in realtà il solo episodio di Fr.Im.. Alla pag. 22 della sentenza di primo grado è scritto a chiare lettere che la donna, non appena avuto l’avviso di convocazione da parte della Commissione di Marzano "ne parlò alla D.M., dalla quale apprese che per la favorevole definizione della domanda avrebbe dovuto versare una somma di denaro" precisando poi che "riscossi gli arretrati, ne parlò alla D. M., alla quale consegnò su richiesta, la somma di L. 3.000.000, dopo averla prelevata dal libretto postale". Non risulta dunque dalle sentenze di primo e di secondo grado alcun contrasto tra le due dichiarazioni. E d’altra parte, sulla questione della carenza di riscontri in ordine alla consegna dei denari al F., non è vero che le dichiarazioni della D.M. non siano riscontrate, in quanto la Fr.Im. ha reso, sia pure genericamente, analoghe dichiarazioni. Riscontri sulla materiale consegna del denaro a F. sono poi ricavati correttamente da riscontri di carattere logico tratti dalla ricostruzione dell’identico episodio di Fr.Lu. (a sua volta riproducente il modus operandi del F. e della D.M. in altre occasioni) in cui costui e il figlio P. hanno confermato di aver versato i denari nelle mani del F., e tratti, altresì, dalla celerità con la quale veniva trattata e definita la pratica (vedasi anche la deposizione di C.).
Sulla sussistenza del reato di corruzione propria antecedente, va poi richiamato quanto già si è detto in relazione all’episodio M..
Per tutte tali ragioni il ricorso va rigettato e al rigetto consegue la domanda del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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