Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 18-03-2011) 01-06-2011, n. 22051 Sentenza penale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Il 9 luglio 2008 la Corte d’assise di Firenze dichiarava P. V. colpevole dei delitti di omicidio volontario aggravato dalla premeditazione in danno di D.G., di porto in luogo pubblico di un’arma comune da sparo, di violenza privata, consumata e tentata, di danneggiamento e, previa concessione delle circostanze attenuanti generiche, dichiarate equivalenti alla contestata aggravante della premeditazione, ritenuta la continuazione fra i reati, lo condannava alla pena di ventiquattro anni di reclusione, oltre alle pene accessorie dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici e dell’interdizione legale durante l’esecuzione della pena e al risarcimento dei danni in favore delle costituite parti civili.

Assolveva l’imputato dal reato di cui all’art. 424 c.p. (capo f), perche il fatto non sussiste.

2. Il 22 gennaio 2010 la Corte d’assise d’appello di Firenze, in parziale riforma della decisione di primo grado, appellata dall’imputato, escludeva l’aggravante della premeditazione e, previa conferma della concessione delle circostanze attenuanti generiche e del vincolo della continuazione fra i reati, rideterminava la pena in ventuno anni di reclusione.

3. Da entrambe le sentenze di merito emergeva che il 13 ottobre 2006, in Firenze, D.P., cittadino senegalese, veniva attinto da un unico colpo di fucile caricato con una cartuccia a pallettoni che ne provocava il decesso immediato.

D. era legato sentimentalmente a C.E., in precedenza a lungo fidanzata con P.V. che, non rassegnandosi alla fine del rapporto affettivo, aveva iniziato a spiare la ragazza, a seguirne i movimenti anche in occasione degli incontri con D., a minacciare i due, a forare gli pneumatici delle loro autovetture, a rompere con una spranga il parabrezza della macchina del cittadino senegalese, a prospettare a quest’ultimo gravissime ritorsioni, qualora non avesse interrotto la relazione con la ragazza.

In precedenza analoghe condotte violente e intimidatorie erano state poste in essere dall’imputato nei confronti di Pi.Do., con il quale la C. aveva avuto una breve relazione e che, in conseguenza delle stesse, aveva cessato di frequentare la donna.

I giudici di merito ritenevano provata la responsabilità dell’imputato in ordine ai reati a lui ascritti sulla base di plurimi e convergenti elementi.

Lo stub effettuato sulla persona di P. consentiva di rinvenire una particella di piombo, antimonio, bario sulla mano sinistra dell’imputato e altre particelle con tali sostanze su indumenti indossati dallo stesso e sulla sua auto in un contesto temporale inconciliabile con le allegazioni difensive circa la pregressa attività di caccia, considerata l’esiguità di tempi utili per il rintraccio dei residui di sparo, e la alternativa riconducibilità delle stesse all’attività di idraulico o ad un’ipotetica contaminazione conseguente al contatto con i poliziotti.

Le attività di sequestro (illustrate a dibattimento dal teste Isp. M.) permettevano il rinvenimento sulla scena dell’omicidio di una cartuccia (di marca non individuabile) analoga a quella rinvenuta nella disponibilità dell’imputato presso la sua abitazione (cd. "terzarola" caricata con palle di piombo "nudo") insieme con un fucile pieghevole compatibile con l’arma del delitto.

Gli accertamenti svolti dalla polizia giudiziaria mettevano in luce la pronta disponibilità della chiave del mobile in cui, in casa P., erano custodite le armi.

Sull’auto "Renault Megane" in uso a P.M. (padre dell’imputato) veniva intercettata un colloquio intercorso tra l’uomo e il figlio R., contenente un esplicito riferimento all’esistenza in casa di plurimi esemplari di quelle cartucce, circostanza questa confermata anche nel corso di un colloquio svoltosi negli uffici della Questura tra l’imputato e il padre.

Il 16 ottobre 2006 veniva inviato, con finalità di depistaggio delle indagini, un messaggio minatorio a firma "(OMISSIS)" (secondo quanto accertato dalla espletata consulenza tecnica disposta dal pubblico ministero) al cellulare dell’imputato da un cabina pubblica, situata all’altezza del numero civico n. (OMISSIS), distante circa 460 metri da via (OMISSIS), ove è posta la cella agganciata alle ore 19,33 dal telefono di P.V..

Analoghi messaggi minatori, anch’essi recanti la firma " (OMISSIS)", risultavano inviati in molte occasioni a D. e il 25 settembre 2006, ore 19,03 con le medesime modalità.

Le testi Mo.Cr. e C.E. riferivano concordemente circa le confidenze ricevute da D. in merito alla ricezione, sul suo cellulare, di messaggi minatori a firma "er notturno", la cui paternità veniva dalla vittima attribuita a P.V., nonchè in merito alle crescenti preoccupazioni manifestate da D. a causa delle continue minacce subite che lo avevano reso circospetto in ogni movimento.

Pe.Pi., convivente della Mo., oltre a parlare anch’egli delle minacce patite da D., riferiva dell’idea, maturata nella vittima, di interrompere il rapporto con C. E. anche al fine di tutelarne l’incolumità.

A sua volta, il teste B.F. dichiarava che, due giorni prima dell’omicidio, aveva a lungo parlato per telefono con la vittima che si mostrava assai nervosa e preoccupata.

Le attività di intercettazione svolte sul cellulare in uso alla C. consentivano di acquisire plurimi e univoci riferimenti alle minacce subite da D., anche nei giorni immediatamente precedenti l’omicidio.

Gli accertamenti svolti sui tabulati telefonici dell’utenza cellulare di D. – oggetto della testimonianza dibattimentale dell’isp. M. – consentivano di stabilire che la sera tra l’11 e il 12 ottobre 2006 (sera in cui D. aveva festeggiato con la C. il compleanno della ragazza) la vittima aveva ricevuto da P.V. una telefona che si era protratta per mezz’ora.

Il contenuto delle conversazioni intercettate sulle utenze in uso ai familiari dell’imputato evidenziava che il padre e la madre dell’imputato avevano cercato di scagionare il figlio, riferendo che lo stesso si trovava in casa nella fascia oraria in un orario da loro ritenuto compatibile con la consumazione dell’omicidio.

4. Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione, tramite il difensore di fiducia, l’imputato, il quale, anche mediante motivi nuovi, formula le seguenti doglianze.

Innanzitutto lamenta il travisamento della prova e la violazione dei canoni di valutazione probatoria alla luce dell’assenza di univocità e concordanza degli elementi acquisiti, inidonei a dimostrare, oltre ogni ragionevole dubbio, la responsabilità dell’imputato, tenuto conto: a) dell’esito non significativo dello stub ove correlato o alla possibilità di un inquinamento innocente oppure all’attività di caccia svolta dall’imputato; b) del carattere non attendibile di tale tipo di accertamento; c) del dato equivoco, in assenza di ulteriori accertamenti, costituito dal rinvenimento in corso di perquisizione di un fucile pieghevole compatibile con l’arma del delitto; d) dell’incompatibilità tra le caratteristiche fisiche di P. e le risultanze della consulenza balistica in ordine alle modalità di utilizzo dell’arma; e) della valenza non univoca del rinvenimento, sulla scena del delitto, di una cartuccia simile a quella di marca "Rottwaill" trovata in corso di perquisizione in assenza della ricostruzione della marca della cartuccia sequestrato sul luogo dell’omicidio;

f) del contenuto delle testimonianze rese dai genitori dell’imputato sull’ora (tra le 5.30 e le 6) in cui videro il figlio V. in casa a dormire; g) delle dichiarazioni rese da P.M. circa le modalità di custodia della fuciliera, le cui chiavi erano da lui personalmente detenute; h) dell’omesso accertamento di un serio movente;

Deduce, poi, violazione di legge e carenza della motivazione con riferimento alla configurabilità dell’elemento soggettivo del delitto di tentata violenza privata in danno di D. e C. e alla sussistenza dei relativi elementi di prova, potendosi tutt’al più ravvisare nel comportamento serbato da P. nei loro confronti gli estremi del meno grave reato di minaccia. Doglianze analoghe formula in relazione al contestato reato di violenza privata in danno di Pi.Do..

Eccepisce violazione di legge e vizio della motivazione con riguardo agli elementi posti a base dell’affermazione di penale responsabilità dell’imputato in ordine al delitto di danneggiamento.
Motivi della decisione

Il ricorso non è fondato.

1. L’esame del primo motivo di ricorso impone una premessa metodologica.

Nella giurisprudenza di questa Corte è stato chiarito che il procedimento logico di valutazione degli indizi si articola in due distinti momenti. Il primo è diretto ad accertare il maggiore o minore livello di gravità e di precisione degli indizi, ciascuno considerato isolatamente, tenendo presente che tale livello è direttamente proporzionale alla forza di necessità logica con la quale gli elementi indizianti conducono al fatto da dimostrare ed è inversamente proporzionale alla molteplicità di accadimenti che se ne possono desumere secondo le regole di esperienza. Il secondo momento del giudizio indiziario è costituito dall’esame globale e unitario tendente a dissolverne la relativa ambiguità, posto che "nella valutazione complessiva ciascun indizio (notoriamente) si somma e, di più, si integra con gli altri, talchè il limite della valenza di ognuno risulta superato sicchè l’incidenza positiva probatoria viene esaltata nella composizione unitaria, e l’insieme può assumere il pregnante e univoco significato dimostrativo, per il quale può affermarsi conseguita la prova logica del fatto… che – giova ricordare – non costituisce uno strumento meno qualificato rispetto alla prova diretta (o storica) quando sia conseguita con la rigorosità metolodogica che giustifica e sostanzia il principio del cd. libero convincimento del giudice" (Cass., Sez. Un. 4 febbraio 1992, n. 6682, rv. 191231).

Le linee dei paradigmi valutativi della prova indiziaria sono state recentemente ribadite dalle Sezioni Unite che hanno evidenziato che il metodo di lettura unitaria e complessiva dell’intero compendio probatorio non si esaurisce in una mera sommatoria degli indizi e non può, perciò, prescindere dalla operazione propedeutica che consiste nel valutare ogni prova indiziaria singolarmente, ciascuna nella propria valenza qualitativa, tendente a porne in luce i collegamenti e la confluenza in un medesimo contesto dimostrativo (Cass. Sez. Un. 12 luglio 2005, n. 33748, rv. 231678).

2. La regola dell’"oltre il ragionevole dubbio" formalizzata nell’art. 533 c.p.p., comma 1, come sostituito dalla L. n. 46 del 2006, art. 5, impone di pronunciare condanna, quando il dato probatorio acquisito lascia fuori solo eventualità remote, pur astrattamente formulabili e prospettabili come possibili in rerum natura, ma la cui concreta realizzazione nella fattispecie concreta non trova il benchè minimo riscontro nelle emergenze processuali, ponendosi al di fuori dell’ordine naturale delle cose e della normale razionalità umana. Il procedimento logico, invero non dissimile dalla sequenza del ragionamento inferenziale dettato in tema di prova indiziaria dall’art. 192 c.p.p., comma 2, – il cui nucleo essenziale è già racchiuso, peraltro, nella regola stabilita per la valutazione della prova in generale dal comma 1 della medesima disposizione, nonchè in quella della doverosa ponderazione delle ipotesi antagoniste prescritta dall’art. 546 c.p.p., comma 1, lett. e), – deve condurre alla conclusione caratterizzata da un alto grado di razionalità razionale, quindi alla "certezza processuale" che, esclusa l’interferenza di decorsi alternativi, la condotta sia attribuibile all’agente come fatto proprio.

Il concetto, espresso in alcune recenti sentenze delle Sezioni Unite di questa Corte (Cass., Sez. Un. 21 aprile 1995, n. 11, rv. 202001;

Cass., Sez. Un. 10 luglio 2002, n. 30328, rv. 222139; Cass., Sez. Un. 30 ottobre 2003, n. 45276, rv. 226094), cui si è uniformata la giurisprudenza successiva (Cass., Sez. 1^, 21 maggio 2008, n. 31456, rv. 240763; Cass., Sez. 1^, 11 maggio 2006, n. 20371, rv. 234111), ancor prima della modifica dell’art. 533 c.p.p., era già stato chiaramente delineato dalla giurisprudenza di legittimità. Si era, in proposito, argomentato, che la prova indiziaria è quella che consente la ricostruzione del fatto in termini di certezza tali da escludere la prospettabilità di ogni altra ragionevole soluzione, ma non anche di escludere la più astratta e remota delle possibilità che, in contrasto con ogni e qualsivoglia verosimiglianza ed in conseguenza di un ipotetico, inusitato combinarsi di imprevisti e imprevedibili fattori, la realtà delle cose sia stata diversa da quella ricostruita in base agli indizi disponibili (Cass. 2 marzo, 1992, n. 3424, rv. 189682; Cass. Sez. 6^, 8 aprile 1997, n. 1518, rv.

208144; Cass. Sez. 2^, 10 settembre 1995, n. 3777, rv. 203118).

In questo articolato contesto, la regola di giudizio dell’"oltre il ragionevole dubbio" pretende percorsi epistemologicamente corretti, argomentazioni motivate circa le opzioni valutative della prova, giustificazione razionale della decisione, standard conclusivi di alta probabilità logica in termini di certezza processuale, essendo indiscutibile che il diritto alla prova, come espressione del diritto di difesa, estende il suo ambito fino a comprendere il diritto delle parti ad una valutazione legale, completa e razionale della prova. E’ evidente, in tale prospettiva, la stretta correlazione, dinamica e strutturale esistente tra la regola dell’"oltre il ragionevole dubbio" e le coesistenti garanzie, proprie del processo penale, rappresentate: a) dalla presunzione di innocenza dell’imputato, regola probatoria e di giudizio col legata alla struttura del processo e alle metodiche di accertamento del fatto; b) dall’onere della prova a carico dell’accusa; c) dalla regola di giudizio stabilita per la sentenza di assoluzione in caso di "insufficienza", "contraddittorietà" e "incertezza" della prova d’accusa ( art. 530 c.p.p., commi 2 e 3), secondo il classico canone di garanzia in dubio pro reo; d) dall’obbligo di motivazione delle decisioni giudiziarie e della necessaria giustificazione razionale delle stesse.

3. La struttura e l’articolazione della motivazione della sentenza impugnata appaiono conformi ai principi in precedenza enunciati e, pertanto, il primo motivo di censura dedotto dalla difesa è privo di pregio. I giudici di merito, con iter argomentativo correttamente articolato e fondato su ampi e puntuali riferimenti alle emergenze processuali acquisite, hanno spiegato le ragioni per le quali l’omicidio di D.P. è ascrivibile, ogni oltre ragionevole dubbio, a P.. In proposito hanno sottolineato che l’azione è stata commessa con un fucile caricato con una cartuccia a pallettoni, analoga a quella rinvenuta presso l’abitazione dell’imputato che aveva ampia disponibilità di quel tipo di munizioni (cfr. intercettazione sull’auto "Renault Megane" in uso al padre di P.) e poteva agevolmente accedere al mobile in cui erano custodite le armi (cfr. esito degli accertamenti svolti dalla polizia giudiziaria).

Hanno, quindi, posto in correlazione logica tali elementi con gli esiti positivi dello stub, accertamento tecnico di sicura affidabilità scientifica effettuato nel rispetto dei protocolli e non influenzato nei suoi esiti da fattori contaminanti esterni e con gli accertamenti medico legali sulle modalità di produzione dell’evento lesivo e sulla posizione reciproca tra aggressore e vittima, non evidenziante alcuna incompatibilità con le caratteristiche fisiche di P.. Hanno, inoltre, spiegato la valenza dimostrativa del rinvenimento presso l’abitazione dell’imputato di un’arma analoga a quella utilizzata per la commissione del grave fatto di sangue, e la irrilevanza, a fini balistici, dell’impossibilità di ricostruire la marca della cartuccia rinvenuta sulla scena del delitto, del tutto compatibile con quella rinvenuta in sede di perquisizione.

La sentenza impugnata, con motivazione esente da vizi logici e giuridici, ha, quindi, valutato le suddette risultanze alla luce delle testimonianze di C.E., Mo.Cr., Pe.Pi., B.F., univocamente dimostrative delle condotte violente e intimidatorie serbate dall’imputato in danno della vittima e della C. a causa del loro legame sentimentale e del rifiuto della C. di riallacciare la relazione con P., nonchè dello stato di paura in cui da tempo versava D.P. a cause delle minacce subite da parte di P.. Ha, infine, dimostrato che tali dati trovano ulteriori, obiettivi elementi di conferma nel contenuto delle intercettazioni, negli accertamenti effettuati sui tabulati dell’utenza cellulare in uso a D. e sulle modalità di invio dei messaggi a firma " (OMISSIS)".

Le argomentazioni svolte dalla difesa del ricorrente attengono pressocchè esclusivamente a profili di fatto e mirano a suggerire di volta in volta una non consentita diversa interpretazione di singole risultanze processuali o una possibile lettura alternativa della vicenda di cui è processo, ma non valgono ad inficiare l’impianto logico della sentenza impugnata ora per la loro intrinseca debolezza ora per la loro genericità e per la carente individuazione dei passaggi della motivazione della decisione impugnata asseritamente contraddittori o viziati da manifesta illogicità oppure inidonei a svolgere la funzione esplicativa di quanto deciso.

Sotto altro profilo non si può fare a meno di rilevare che i numerosi inviti – contenuti nel ricorso e nei motivi nuovi – a rivalutare criticamente il contenuto delle singole risultanze sono estremamente generici e parziali – essendo frutto di mirate estrapolazioni di singoli aspetti di elementi dotati di ben maggiore ampiezza e complessità – e comunque non valgono ad evidenziare gravi contraddizioni risultanti dal testo del provvedimento impugnato come richiesto dal codice di procedura penale ai fini dell’esistenza del vizio di motivazione.

4. Parimenti non fondato è il secondo motivo di ricorso.

L’elemento soggettivo del delitto di violenza privata è costituito dalla coscienza e volontà di costringere taluno, mediante violenza o minaccia, a fare, tollerare od omettere qualcosa.

La differenza tra il delitto di minaccia e quello di violenza privata deve essere individuata nel fatto che, mentre nella minaccia l’atto intimidatorio è fine a se stesso e per la sussistenza del reato è sufficiente che l’agente ponga in essere la condotta minatoria in senso generico – trattandosi di reato formale con evento di pericolo – viceversa nella violenza privata la minaccia (o la violenza) funge da mezzo a fine e deve essere diretta a costringere taluno a fare, tollerare od omettere qualcosa, con evento non di pericolo, ma di danno rappresentato dal comportamento coartato del soggetto passivo, dipendente dall’atto di intimidazione (o di violenza) subito (Sez. 5^, 2 marzo 1989, n. 9082).

Nel caso in esame i giudici di merito hanno fato corretta applicazione di questi principi, laddove, attraverso il puntuale esame delle testimonianze acquisite (cfr. dichiarazioni rese da C., Mo., Pe.) e degli altri accertamenti svolti sulle utenze cellulari in uso all’imputato e alla vittima, hanno, con motivazione logicamente sviluppata, evidenziato che il ricorrente in plurime occasioni aveva fatto ricorso a plurime forme di minaccia per costringere D. e la C. ad interrompere la loro relazione affettiva, senza peraltro riuscire nel suo intento per cause indipendenti dalla sua volontà.

Il provvedimento impugnato è altresì esente da censure nella parte in cui, sulla base dell’analisi della deposizione di Pi., hanno argomentato che quest’ultimo aveva deciso di interrompere il suo legame affettivo con la C. in conseguenza delle minacce subite dall’imputato.

5. Non merita accoglimento neppure l’ultima doglianza, atteso che l’affermazione di penale responsabilità dell’imputato in ordine al delitto di danneggiamento continuato in danno di D. e della C. è fondata su una logica e compiuta analisi delle risultanze processuali (dichiarazioni di C.E.), evidenzianti, pure alla luce delle deduzioni difensive sul punto, il pieno coinvolgimento di P. nella commissione del reato al di là di ogni ragionevole dubbio.

Per tutte queste ragioni s’impone, quindi, il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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