Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 16-03-2011) 01-06-2011, n. 22168

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di inammissibilità del ricorso.
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Ricorrono per cassazione, con distinti atti, i difensori fiducia di E.Z.A. avverso la sentenza emessa in data 2.12.2010 dal GUP del Tribunale di Pesaro ai sensi dell’art. 444 c.p.p. con la quale veniva applicata a E.Z.A. la pena concordata, con circostanze attenuanti generiche equivalenti alla recidiva, di anni 4 di reclusione ed Euro 18.000,00 di multa per il reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 (per trasporto di 6 panetti di hashish per complessivi gr. 597,57 da cui si potevano ricavare da 1330 e 1617 dosi medie singole). L’avv. Francesco Coli di Pesaro, deduce l’incompetenza funzionale del GUP spettando la stessa al G.I.P. in ultrattività delle sue funzioni, dal momento che il patteggiamento era intervenuto dinanzi al GUP all’esito dell’accertamento peritale sullo stupefacente disposto nel corso del giudizio abbreviato richiesto a seguito di citazione a giudizio con rito immediato. Denunzia, altresì, l’erronea applicazione della legge penale, essendo state concesse le circostanze attenuanti generiche con criterio di equivalenza e non di prevalenza rispetto alla recidiva.

L’avv. Tiziana Casali si duole dell’eccessività della pena, non proporzionata ai fatti di causa.

CONSIDERATO IN DIRITTO Preliminarmente ritiene questa Corte di disattendere, su conforme richiesta del P.G. di udienza, la richiesta di rinvio avanzata dai difensori per adesione all’astensione indetta dall’Organismo unitario dell’Avvocatura, atteso lo status libertatis del ricorrente, che trovasi agli arresti domiciliari. Il ricorso, quale presentato da entrambi i difensori, è inammissibile. La censura concernente la pretesa incompetenza funzionale del G.U.P. rispetto a quella del G.I.P., oltre ad essere palesemente infondata non essendo nemmeno dimostrato che il GUP sia stato magistrato persona fisica diversa dal GIP nè allegata alcuna documentazione da cui risulti l’excursus processuale anteriore, non fornisce alcuna specifica indicazione dell’utilità concreta perseguita con il mezzo di gravame dal momento che la decisione del giudice che ratifica l’accordo corrisponde all’interesse che le parti hanno ritenuto di soddisfare con la richiesta di patteggiamento, onde ne consegue l’inammissibilità del ricorso per carenza d’interesse (Cass. pen. Sez. Un. n. 4419 del 25.1.2005, Rv. 229982). Quanto al giudizio di comparazione delle circostanze e alla misura della pena le censure in questione tendono inammissibilmente a rimettere in discussione i termini dell’accordo finalizzato all’applicazione della pena oggetto del patteggiamento.

Inoltre, i motivi suddetti s’appalesano manifestamente infondati e, ex art. 591 c.p.p., comma 1, lett. c), privi del requisito della specificità, consistendo nella generica esposizione della doglianza senza alcun contenuto di effettiva critica alla decisione impugnata.

L’istituto del "patteggiamento" della pena di cui all’art. 444 c.p.p. trova, infatti, il proprio fondamento primario nella convergente richiesta di pubblico ministero e imputato sul merito dell’imputazione (responsabilità e pena conseguente), dal momento che chi chiede la pena concordata rinuncia ad avvalersi della facoltà di contestare l’accusa.

Ne consegue, come questa Corte ha più volte avuto modo di affermare, che l’imputato non può prospettare con il ricorso per cassazione censure che coinvolgono il patto dal medesimo accettato.

Infatti, in tema di patteggiamento, tutte le statuizioni non illegittime, concordate dalle parti e recepite in sentenza, in quanto manifestazione di un generale potere dispositivo che la legge riconosce alle parti e che il giudice ratifica, non possono essere dalle stesse parti rimesse in discussione con il ricorso per cassazione (ex plurimis: Cass. pen. Sez. 6, 19.2.2004 n. 18385, Rv.

228047).

Nella concreta fattispecie, la pena è stata applicata nella misura richiesta e così anche il giudizio di comparazione con criterio di equivalenza come concordato.

Resta, pertanto, preclusa ogni successiva doglianza al riguardo.

Consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento alla Cassa delle ammende di una somma che, alla luce dei principi affermati dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 186 del 2000, sussistendo profili di colpa, si ritiene equo determinare in Euro 1.000,00.
P.Q.M.

Rigettata l’istanza di rinvio in relazione allo status libertatis del ricorrente quale risulta dagli atti.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende Così deciso in Roma, 16 marzo 2011.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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