Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 10-03-2011) 01-06-2011, n. 22212 Riparazione per ingiusta detenzione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con ordinanza in data 1 dicembre 2009 la Corte di Appello di Brescia rigettava la domanda di riparazione per ingiusta detenzione proposta da Z.S., il quale dopo essere stato sottoposto a misura cautelare, per concorso in omicidio tentato e rapina, era stato assolto in data 5.12.2003, per non aver commesso il fatto.

La Corte territoriale riteneva che la intervenuta privazione della libertà personale dello Z. avesse trovato causa nella condotta gravemente colposa posta in essere dal medesimo esponente.

Avverso la richiamata ordinanza ha proposto ricorso personalmente Z.S., eccependo in primo luogo l’illegittimità costituzionale dell’art. 314 cod. proc. pen., nella parte in cui la norma richiamata non prevede quale conseguenza, per chi abbia dato causa alla custodia cautelare con dolo o colpa grave, la diminuzione quantitativa dell’indennizzo.

Con il secondo motivo la parte si sofferma sul merito del procedimento conclusosi con l’assoluzione dello Z.; e rileva che la Corte di Appello ha pure valorizzato elementi di fatto non richiamati nella ordinanza applicativa della misura cautelare.

Con il terzo motivo, la parte rileva di avere posto in essere, dal momento di esecuzione della misura custodiate, una attività difensiva idonea a determinare una soluzione di continuità del nesso di causalità, tra le condotte sospette ed il mantenimento della detenzione; ed osserva che la Corte territoriale ha ignorato tali evenienze.

L’esponente, infine, chiede la assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite ed effettua la nomina difensore di fiducia.

Il Procuratore Generale, con requisitoria scritta, ha rilevato l’infondatezza della eccezione di legittimità costituzionale ed ha evidenziato che la Corte territoriale ha correttamente applicato i principi affermati dalla Suprema Corte, in ordine alla ricorrenza delle condizioni ostative al riconoscimento della riparazione per ingiusta detenzione.

L’Avvocatura Generale dello Stato, con memoria di costituzione in giudizio, ha chiesto che il ricorso venga dichiarato inammissibile.

Il ricorso è inammissibile.

Si osserva, primieramente, che il ricorso in esame risulta proposto personalmente dal richiedente, senza ministero del difensore, pure nominato. La giurisprudenza di legittimità ha, invero, da tempo chiarito che il ricorso proposto personalmente dalla parte, nell’ambito dei procedimento di riparazione per ingiusta detenzione, si qualifica come inammissibile. Si è al riguardo rilevato che il principio ora richiamato si inserisce nel sistema processuale complessivo in cui il legislatore, con riferimento al ricorso per cassazione, lungi dall’imporre oneri ingiustificati e vessatori alla realizzazione dei diritti ed alla difesa delle parti, ha inteso rimarcare il particolare tecnicismo e la delicatezza del giudizio di ultima istanza prevedendo la necessità o l’onere del patrocinio di un difensore, peraltro particolarmente qualificato per esperienza e cultura, con l’unica eccezione del ricorso personale consentito all’imputato in ossequio al principio del "favor libertatis" e del "favor voluntas rei" che del primo è espressione (Cass. Sez. U, Ordinanza n. 34535 del 27/06/2001, dep. 24/09/2001, Petrantoni, Rv.

219613).

E’ poi appena il caso di rilevare che si registra una ulteriore causa di inammissibilità del ricorso proposto dallo Z., discendente dalla manifesta infondatezza dei motivi ai quali il gravame è affidato. Tanto si afferma, in riferimento alla eccezione di legittimità costituzionale dell’art. 314, cod. proc. pen., come prospettata dal deducente. Si osserva che l’istituto della riparazione per ingiusta detenzione è stato recentemente oggetto di attenzione da parte delle Sezioni Unite di questa Suprema Corte; e la Corte regolatrice ha in particolare considerato l’oggettiva ‘inerenzà al diritto in questione, in ogni sua estrinsecazione, "del limite della non interferenza causale della condotta del soggetto passivo della custodia" (Cass. Sez. Un., Sentenza n. 32383 del 27.05.2010, Rv. 247663). Le Sezioni unite, nella sentenza ora richiamata, hanno cioè evidenziato che risulta legittima una disciplina normativa che preveda l’esclusione dal beneficio in esame di chi, avendo contribuito con la sua condotta a causare la restrizione, non possa esserne considerato propriamente "vittima".

Deve pertanto rilevarsi che, secondo diritto vivente, il sistema della riparazione risulta permeato dal principio solidaristico, in forza del quale il diritto alla riparazione, in ogni sua estrinsecazione, inerisce oggettivamente ai limite della non interferenza causale della condotta del soggetto passivo della custodia. Ed invero la Suprema Corte, già con sentenza n. 6628 del 2009, espressamente richiamata dalle Sezioni Unite nella decisione sopra ricordata, ha considerato che il principio solidaristico sotteso all’istituto della riparazione per ingiusta detenzione, "trova … il suo naturale contemperamento nel dovere di responsabilità che incombe in capo a tutti i consociati, i quali evidentemente non possono invocare benefici tesi a ristorare pregiudizi da essi stessi colposamente o dolosamente cagionati".

Deve, conseguentemente, ritenersi che il limite della non interferenza causale della condotta dolosa o gravemente colposa posta in essere dal richiedente operi legittimamente nell’ambito di ogni ipotesi di riparazione per ingiusta detenzione, disciplinata dall’art. 314 cod. proc. pen..

Ciò chiarito, si osserva che, come è noto, in tema di riparazione per l’ingiusta detenzione, il giudice di merito, per valutare se chi l’ha patita vi abbia dato o abbia concorso a darvi causa con dolo o colpa grave, deve apprezzare, in modo autonomo e completo, tutti gli elementi probatori disponibili, con particolare riferimento alla sussistenza di condotte che rivelino eclatante o macroscopica negligenza, imprudenza o violazione di leggi o regolamenti, fornendo del convincimento conseguito una motivazione che, se adeguata e congrua, è incensurabile in sede di legittimità. Al riguardo, il giudice deve fondare la sua deliberazione su fatti concreti e precisi, esaminando la condotta tenuta dal richiedente sia prima che dopo la perdita della libertà personale, al fine di stabilire, con valutazione ex ante – e secondo un iter logico motivazionale del tutto autonomo rispetto a quello seguito nel processo di merito – non se tale condotta integri estremi di reato ma solo se sia stata il presupposto che abbia ingenerato, ancorchè in presenza di errore dell’autorità procedente, la falsa apparenza della sua configurabilità come illecito penale, dando luogo alla detenzione con rapporto di "causa ad effetto" (Cass. Sez. U, Sentenza n. 34559 del 26/06/2002, dep. 15/10/2002, De Benedictis, Rv. 222263). Condotte rilevanti in tal senso possono essere di tipo extraprocessuale (grave leggerezza o trascuratezza tale da avere determinato l’adozione del provvedimento restrittivo) o di tipo processuale (autoincolpazione, silenzio consapevole sull’esistenza di un alibi) che non siano state escluse dal giudice della cognizione. Preme considerare che l’orientamento giurisprudenziale ora richiamato risulta consolidato, di talchè sfuggono gli stessi presupposti per rimettere la questione al vaglio delle Sezioni Unite. Soffermandosi sul secondo e sul terzo motivo di ricorso, che vengono esaminati congiuntamente, si osserva che l’ordinanza impugnata si colloca coerentemente nella linea del suddetto quadro interpretativo. La Corte di Appello, dopo avere osservato che Zu.Ce., figlio di B.C., con la quale conviveva lo Z. all’epoca del fatto, si era reso responsabile di una aggressione in danno di due pensionati, che abitavano nell’appartamento posto di fronte a quello occupato da Z., B. e C., si è infatti soffermata sulle seguenti circostanze, inequivocamente accertate: Z., prima del fatto, aveva indicato al giovane che i due anziani avevano la disponibilità di denaro contante; al momento in cui Zu. effettuava la rapina in danno degli anziani, Z. si trovava sul pianerottolo e veniva visto mente guardava all’interno dell’appartamento dei pensionati, tenendo la porta socchiusa;

Z., quando vide Zu. uscire dall’appartamento, con il denaro e vistosamente sporco di sangue, disse a voce alta, per due volte, la frase "non farmi del male, mia moglie è malata"; Z., entrato nell’appartamento ove si era svolta l’aggressione, aveva escluso che l’autore della rapina fosse Zu.; nel frangente, Z. si era rifiutato di chiamare la Polizia, aveva invitato i presenti a chiamare la guardia medica, non aveva prestato soccorso ai feriti e si era quindi allontanato; invitato di poi a rendere interrogatorio, a piede libero, Z. si era avvalso della facoltà di non rispondere. Sulla scorta di tali rilievi, la Corte territoriale del tutto coerentemente ha evidenziato la sussistenza di una condotta sinergica, posta in essere dal richiedente, rispetto alla intervenuta privazione della libertà personale. E deve pure rilevarsi che le circostanze richiamate dal ricorrente – i pregressi rapporti con i due anziani; le modalità della cattura del rapinatore; il fatto di essersi recato a fare visita ad una parte offesa – sono evenienze prive in termini di ogni conferenza, rispetto alla adozione ed al mantenimento del provvedimento custodiaie.

Alla dichiarazione di Inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende nonchè alla rifusione in favore del Ministero dell’Economia delle spese di questo giudizio di Cassazione, liquidate come a dispositivo.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende nonchè alla rifusione in favore del Ministero dell’Economia delle spese di questo giudizio di Cassazione liquidate in Euro 750,00.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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