Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 10-03-2011) 01-06-2011, n. 22148 Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza del 3 novembre 2009 la Corte d’Appello di Catania, in riforma della sentenza del G.I.P. del Tribunale di Catania emessa il 12 marzo 2009, ha concesso a C.A. le circostanze attenuanti generiche equivalente alla contestata aggravante ed ha determinato la pena in anni quattro di reclusione ed Euro 20.000,00 di multa per il reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 per avere detenuto a fini di spaccio 98 dosi di sostanza stupefacente del tipo "orange skunk" con le aggravanti di essersi avvalso di soggetto minorenne e della recidiva reiterata. Per quanto rileva in questa sede, la Corte territoriale ha motivato la conferma della responsabilità penale dell’imputato, ritenendo sussistente l’elemento materiale del reato sulla base delle analisi eseguite dalla Polizia Scientifica sulla sostanza sequestrata, e dalla quale è emerso che, i quattro reperti esaminati, hanno un peso complessivo di mg. 98 corrispondenti a quattro dosi medie efficaci, mentre il dato ponderale complessivo inferiore di appena due milligrammi a quello minimo idoneo, è giustificato dal rapido processo di disidratazione di tale genere di sostanze. Inoltre la Corte d’Appello ha escluso l’invocata attenuante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5 stante la non irrilevante quantità di sostanza e la cospicua somma di denaro rinvenuta e l’utilizzo di persona minorenne che connota il fatto di particolare gravità.

Il C. propone ricorso avverso tale sentenza lamentando violazione di legge e vizio di motivazione ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e). In particolare si deduce che la Corte d’Appello avrebbe travisato i dati dell’esame chimico eseguito sulla sostanza sequestrata, ritenendo erroneamente che ciascuno dei quattro reperti esaminati avesse un THC superiore a 25 mg., mentre, viceversa, solo due di essi presentavano tale caratteristica, mentre altri due presentavano una quantità molto inferiore per cui la quantità complessiva della sostanza era molto inferiore a 100 mg., e non di soli due mg., come affermato nella sentenza impugnata. Si lamenta inoltre il mancato riconoscimento dell’attenuante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 8 in presenza di un’attività di spaccio meramente occasionale, caratterizzata da un dato ponderale, come detto, addirittura insufficiente ad integrare la quantità necessaria prefissata di principio attivo, mentre la somma rinvenuta era limitata a 100 Euro e, quindi, non cospicua.

MOTIVI DELLA DECISIONE Il ricorso non è fondato e va conseguentemente rigettato.

Occorre considerare che il D.M. 11 aprile 2006 ha l’unica finalità di definire, ai sensi del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 1 bis, soglie quantitative che possono indurre a ritenere, eventualmente in accordo con altre acquisizioni, che la detenzione delle sostanze stupefacenti sia finalizzata ad uso esclusivamente personale. Ciò rileva sotto un duplice profilo. Da un lato la disciplina si riferisce al contesto della detenzione e quindi ad una situazione fattuale diversa da quella in esame, che riguarda invece un atto di cessione onerosa.

Dall’altro lato, soprattutto, la disciplina ministeriale, attese le sue finalità, individua la dose "media" con riferimento al "principio attivo per singola assunzione idonea a produrre in un soggetto tollerante e dipendente un effetto stupefacente e psicotropo". Tale dose media costituisce a sua volta la base per la definizione della dose media giornaliera. La disciplina, dunque, essendo finalizzata ad individuare i "bisogni" medi di un soggetto assuefatto, non esclude affatto che dosi inferiori a quella "media" siano prive di rilievo penale. Si deve infatti considerare anche l’effetto drogante nei confronti di soggetti non dipendenti, che può essere evidentemente prodotto da dosi inferiori a quella media di cui si discute.

Oltre a ciò, su un piano più generale, non si può fare ameno di collocare la questione esaminata nel contesto del dibattito giurisprudenziale a proposito dei limiti quantitativi di sostanza stupefacente che segnano la rilevanza penale del fatto. Assai in breve, occorre rammentare che la giurisprudenza largamente prevalente ha in passato ha escluso il rilievo penale di condotte riferite a quantitativi di sostanze illecite talmente tenui da potersi escludere un qualche effetto psicotropo. Tale punto di vista è stato confutato dalle Sezioni unite: l’inidoneità dell’azione, relativamente alle fattispecie previste dal D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, va valutata unicamente avuto riguardo ai beni oggetto della tutela penale, individuabili in quelli della salute pubblica, della sicurezza e dell’ordine pubblico e della salvaguardia delle giovani generazioni, beni che sono messi in pericolo anche dallo spaccio di dosi contenenti un principio attivo al di sotto della soglia drogante (Sez. un. 24/06/1998). Questa tesi, indubbiamente estrema, ha suscitato perplessità. Essa, in effetti, se applicata in modo letterale, conduce ad attribuire rilevo penale anche a condotte relative a sostanze sostanzialmente amorfe. Per contro, la lettura integrata delle disposizioni contenute nel richiamato D.P.R. n. 309 del 1990, induce a ritenere che la configurazione della tipicità oggettiva non possa prescindere del tutto dalla considerazione della farmacologia attitudine delle diverse sostanze a produrre i loro effetti caratteristici. Si fa riferimento in particolare al cit.

D.P.R., art. 14 che richiama l’azione "narcotico-analgesica" dell’oppio e degli oppioidi; Inazione eccitante" della coca; l’azione "eccitante sul sistema nervoso centrale" degli anfetaminici; "ogni altra sostanza che produca effetti sul sistema nervoso centrale ed abbia capacità di determinare dipendenza fisica o psichica dello stesso ordine o di ordine superiore"; la cannabis con i suoi effetti tipici ed "ogni altra pianta i cui principi attivi possono provocare allucinazioni o gravi distorsioni sensoriali".

Lo stesso richiamato D.M. del 2006 fa riferimento al "potere di indurre alterazioni comportamentali e scadimento delle capacità psicotrope". In conseguenza, una configurazione dell’incriminazione in una guisa che prescindesse del tutto dal concreto effetto psicotropo finirebbe con il cancellarle il tratto più tipico della fattispecie, connesso, appunto, alla concreta attitudine ad influenzare in qualche (anche lieve) misura l’attività neuropsichica del consumatore.

Del resto, l’esigenza di tenere in qualche conto la concreta offensività della sostanza è stata colta in altra più recente pronunzia delle Sezioni unite relativa alla coltivazione di piante con effetto stupefacente (S.U. 24 aprile 2008, rv. 239920). La Corte ha da un lato richiamato, condividendola, la precedente pronunzia a Sezioni unite del 1998; ma ha al contempo evidenziato la necessità di considerare pure il principio di offensività, in forza del quale non è concepibile un reato senza offesa. Tale principio, alla luce della giurisprudenza costituzionale, opera su due piani, "rispettivamente, della previsione normativa, sotto forma di precetto rivolto al legislatore di prevedere fattispecie che esprimano in astratto un contenuto lesivo, precetto comunque la messa in pericolo, di un bene o interesse oggetto della tutela penale (offensività in astratto), e dell’applicazione giurisprudenziale (offensività in concreto), quale criterio interpretativo-applicativo affidato al giudice, tenuto ad accertare che il fatto di reato abbia effettivamente leso o messo in pericolo il bene o l’interesse tutelato".

In ossequio, al principio di offensività inteso nella sua accezione concreta, concludono le Sezioni unite, spetterà al giudice verificare se la condotta di volta in volta contestata all’agente ed accertata sia assolutamente inidonea a porre a repentaglio il bene giuridico protetto, risultando in concreto inoffensiva. La condotta è "inoffensiva" soltanto se il bene tutelato non è stato leso o messo in pericolo anche in grado minimo (irrilevante, infatti, è a tal fine il grado dell’offesa), cioè nel caso esaminato, quando la sostanza ricavabile dalla coltivazione non è idonea a produrre un effetto stupefacente in concreto rilevabile.

In breve, conclusivamente, sembra di poter trarre dagli orientamenti giurisprudenziali sopra indicati da un lato l’esigenza di una valutazione giudiziale rigorosa, che tenga conto degli enormi pericoli, per l’individuo e per la collettività, connessi alla circolazione delle sostanze stupefacenti; dall’altro quella di interpretare le fattispecie includendo nella definizione legale di tali sostanze non solo la categoriale esistenza del principio attivo tipico, ma anche la concreta attitudine ad esercitare, anche in misura assai limitata, minima, l’effetto psicotropo evocato dal già richiamato D.P.R., art. 14. Esulano, quindi, dalla sfera dell’illecito solo le condotte afferenti a quantitativi di stupefacente talmente tenui, quanto alla presente del principio attivo, da non poter indurre, neppure in misura trascurabile, la modificazione dell’assetto neuropsichico dell’utilizzatore. Tali considerazioni, conclusivamente, corroborano ulteriormente l’asserto secondo cui anche dosi inferiori a quella media singola ben possono configurare il delitto in esame.

In ordine al lamentato mancato riconoscimento dell’attenuante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 1, comma 3, va osservato che le modalità del fatto impediscono tale riconoscimento in quanto l’organizzazione dell’attività, che fa presumere che l’imputato traesse dallo spaccio i mezzi del proprio sostentamento, e l’utilizzo di un minore nella stessa attività, escludono la minima offensività della condotta che sola giustifica l’applicazione della invocata attenuante, come correttamente valutato e considerato dalla sentenza impugnata che è conseguentemente immune da censure.

Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione, quarta sezione penale, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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