Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 09-03-2011) 01-06-2011, n. 21886 Abuso di ufficio

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

cluso per il rigetto del ricorso.
Svolgimento del processo

Con sentenza emessa il 9 novembre 2010 il G.u.p. del Tribunale di Ascoli Piceno ha dichiarato non luogo a procedere nei confronti di F.M.A. in ordine al reato di abuso di ufficio perchè il fatto non costituisce reato.

Secondo l’accusa l’imputata, dirigente del settore servizi sociali e politiche giovanili del Comune di Ascoli Piceno, avrebbe abusato del suo ufficio favorendo la figlia, N.F., nella procedura di inserimento di esperti esterni nell’apposito elenco comunale. In particolare, dopo l’avviso pubblico finalizzato alla costituzione dell’elenco, contenente l’indicazione dei requisiti per gli aspiranti, scaduto il termine per la presentazione delle domande, l’imputata, che si era doverosamente astenuta dalla Commissione di valutazione delle candidature, approvava, con determina n. 1347 del 20.9.2007, l’atto di fabbisogno di esperti e operatori che modificava i requisiti posti dall’avviso pubblico, aggiungendovi l’ulteriore requisito dell’iscrizione all’albo dei giornalisti, modifica che aveva l’effetto di ridurre da 14 a 4 il numero dei candidati ricompresi nell’elenco, così favorendo la figlia che, all’esito dei colloqui selettivi, veniva effettivamente prescelta per l’incarico professionale, conferitole nel dicembre del 2007. In questo modo, secondo l’ipotesi accusatoria, la F. avrebbe violato il dovere di astensione, stabilito dall’art. 6 del Codice di comportamento dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni (D.M. Funzione Pubblica 28 novembre 2000), per procurare un ingiusto vantaggio alla figlia.

La sentenza, invece, ha escluso la sussistenza del reato di abuso d’ufficio, ritenendo non sufficientemente provato che con la determina del 20.9.2007 l’imputata abbia intenzionalmente inteso favorire la figlia, tenuto conto che l’atto conteneva comunque criteri di carattere generale.

Contro questa decisione ha proposto ricorso per cassazione il pubblico ministero.

Deduce l’illogicità e la contraddittorietà della motivazione nella parte in cui attribuisce alla commissione anzichè all’imputata la scelta di modificare i requisiti per l’accesso all’elenco.

Con un altro motivo, collegato al primo, denuncia la violazione degli artt. 40 e 41 c.p. là dove non riconosce che la modificazione dei requisiti abbia determinato la valutazione favorevole alla figlia dell’imputata da parte della commissione di valutazione.

Infine, segnala un’ulteriore contraddittorietà della sentenza nella parte in cui ritiene l’obbligo di astensione e, nello stesso tempo, assume l’irrilevanza causale della deliberazione sottoscritta dall’imputata.
Motivi della decisione

Il ricorso è fondato nei limiti di seguito indicati.

Nella articolata imputazione formulata dal pubblico ministero vi è un espresso riferimento alla violazione dell’obbligo di astensione, imposto dal D.M. Funzione Pubblica 28 novembre 2000, art. 6 (Codice di comportamento dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni), obbligo che la F. non avrebbe osservato nel momento in cui ha sottoscritto la determina del 20.9.2007, atto dal quale è derivata la riduzione dei "concorrenti", con conseguente vantaggio della figlia, a cui poi risulta essere stato effettivamente conferito l’incarico di "esperto esterno".

La sentenza dopo avere riconosciuto che l’imputata, doverosamente astenutasi dal partecipare alla procedura selettiva degli aspiranti all’incarico, ha omesso di astenersi nel momento in cui ha emesso il provvedimento del 20.9.2007, ha tuttavia ritenuto che non possa essere provato sufficientemente che la F. abbia "intenzionalmente inteso favorire la propria figlia, perchè nella determina vengono soltanto espressi criteri di carattere generale".

In questo modo, la mancanza dell’elemento soggettivo viene desunta dal contenuto dell’atto amministrativo, incorrendo così in quella contraddizione rilevata dal pubblico ministero ricorrente, che ha evidenziato l’inconciliabilità di tali affermazioni: infatti, se la determina avesse avuto il contenuto "neutro" cui si riferisce la sentenza, se cioè fosse stata effettivamente irrilevante per la posizione della figlia, non vi sarebbe stato neppure l’obbligo di astensione, che invece la sentenza stessa ha ritenuto sussistente, escludendo il reato solo sotto il profilo dell’elemento psicologico, non di quello materiale. Ne consegue che il riconoscimento di un tale obbligo avrebbe dovuto portare il giudice a ritenere che l’atto in questione poteva incidere sulla posizione della figlia dell’imputata.

Il controllo del giudice di legittimità sulla motivazione della sentenza di non luogo a procedere deve verificare la congruità del criterio prognostico adottato dal giudice dell’udienza preliminare per escludere che l’accusa sia sostenibile in giudizio; nella presente fattispecie è stata negata la sussistenza del dolo con una motivazione di cui si è evidenziata la contraddittorietà e che non consente di escludere la sostenibilità dell’accusa avanti al giudice del dibattimento, dove dovranno essere assunte le prove richieste dalle parti.

Ne consegue che la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio al Tribunale di Ascoli Piceno perchè il giudice dell’udienza preliminare, in persona di diverso magistrato, proceda ad un nuovo giudizio.
P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata e rinvia al Tribunale di Ascoli Piceno per il nuovo giudizio.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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