Cass. pen., sez. VI 29-10-2008 (01-10-2008), n. 40286 Revoca delle misure cautelari – Sussistenza – Perenzione della domanda estradizionale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

FATTO E DIRITTO
1.-. Il difensore di B.M., nato a (OMISSIS) alias S.G.M., nato a (OMISSIS), ha proposto ricorso per Cassazione avverso la sentenza indicata in epigrafe con la quale la Corte di Appello di Torino, sezione Seconda penale, ha dichiarato l’esistenza delle condizioni per l’accoglimento della richiesta di estradizione del predetto, avanzata dalle Autorità della Repubblica di Romania, trattandosi di soggetto condannato dalle Autorità Giudiziarie di tale Nazione alla pena di anni cinque di reclusione per il reato di furto aggravato.
Con la suindicata sentenza la Corte di Appello ha disposto altresì la misura della custodia cautelare in carcere nei confronti del B. (già sottoposto ad arresto provvisorio in data 6-4-07 e successivamente scarcerato in data 17-5-07 per la omessa trasmissione degli atti nei termini di legge).
Il ricorrente deduce inosservanza ed erronea applicazione della legge penale e di norme processuali stabilite a pena di nullità (art. 606 c.p.p., lett. b) e c). A suo avviso, una volta trascorso l’intervallo di tempo previsto dall’art. 715 c.p.p., comma 6, senza che la documentazione sia stata inviata alla Corte di Appello, lo Stato interessato avrebbe dovuto procedere con nuova ed autonoma richiesta di estradizione e la procedura precedentemente attivata avrebbe dovuto essere ritenuta esaurita. Nel caso in esame, il termine di 40 giorni per presentare innanzi alla Corte di Appello la richiesta di estradizione e la relativa documentazione ai sensi dell’art. 700 c.p.p., era trascorso inutilmente, ma nei confronti del B. era stata ugualmente pronunciata sentenza in data 17-6-08 favorevole alla estradizione. In definitiva, secondo il ricorrente, in caso di invio tardivo o di mancato invio la procedura instaurata perderebbe efficacia e lo Stato richiedente avrebbe dovuto formalizzare una nuova richiesta. Con il secondo motivo di ricorso si eccepisce la nullità della notifica dell’avviso di deposito degli atti inerenti la requisitoria del Procuratore Generale e dell’avviso di fissazione dell’udienza relativa alla procedura di estradizione. Tali atti sarebbero stati notificati al prevenuto ai sensi dell’art. 161 c.p.p. presso lo studio del difensore, mentre, essendo il B. all’epoca detenuto, si sarebbe dovuto procedere alla loro notifica presso l’Istituto di detenzione. Nel merito infine il ricorrente insiste nella tesi dell’errore sulla identità personale del B..
In particolare, osserva che la sentenza della Pretura di Gravita sulla quale è fondata la richiesta di estradizione risulterebbe emessa non nei confronti di B.M. (alias S.G. M., nato il (OMISSIS)), ma nei confronti di S.G. E., nato il (OMISSIS).
2 .-. Il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza.
L’art. 715 c.p.p., comma 6, nel prevedere che le misure cautelari sono revocate se entro quaranta giorni dalla loro comunicazione allo Stato estero non è pervenuta la domanda di estradizione con la documentazione di cui all’art. 700 c.p.p., è disposizione che, come l’art. 16 della Convenzione Europea di estradizione, concerne esclusivamente la applicazione provvisoria di misure cautelari, come del resto recita la sua rubrica, sicchè impone in tal caso la liberazione dell’estradando ma non riguarda la procedura di estradizione, che conserva la sua efficacia.
Anche il secondo motivo di ricorso (nullità della notifica dell’avviso di deposito degli atti inerenti la requisitoria del Procuratore Generale e dell’avviso di fissazione dell’udienza relativa alla procedura di estradizione, in quanto effettuata all’estradando ai sensi dell’art. 161 c.p.p. presso lo studio del difensore, nonostante il B. fosse all’epoca detenuto) è palesemente privo di fondamento, posto che il prevenuto non aveva in alcun modo fatto conoscere il suo stato di sopravvenuta detenzione, che non risultava dagli atti del procedimento. A parte il fatto che, una volta appreso lo stato detentivo del B., era stata disposta la sua traduzione in udienza, in esito alla quale il ricorrente aveva rinunciato a comparire.
Infine la censura con la quale si insiste nella tesi dell’errore sulla identità personale del B. è anch’essa, oltre che del tutto generica, priva di fondamento, in quanto la Corte di Appello ha posto a base della identificazione dell’estradando il certificato dattiloscopico, che, per altro, evidenziava come il prevenuto fosse solito celarsi sotto varie identità. 3 .-. Alla dichiarazione di inammissibilità consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000 (mille), determinata secondo equità, in favore della Cassa delle ammende.
La Cancelleria provvedere agli incombenti di cui all’art. 203 disp. att. c.p.p..
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 (mille) in favore della Cassa delle ammende.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 203 disp. att. c.p.p..

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