Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 03-03-2011) 01-06-2011, n. 21873 Motivi di impugnazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Il marzo 2007, il Tribunale di Oristano condannò P.S. alla pena di due anni di reclusione per il delitto di calunnia, contestatogli in concorso con la madre Po.Al.Ma.

A., reato commesso in data 8 settembre 2003 in danno di T.M., falsamente incolpato di ricettazione di un assegno bancario, emesso sul conto corrente dalla Po. e consegnato al T. dallo stesso P..

2. Contro la decisione della Corte d’appello di Cagliari, che ha dichiarato l’inammissibilità dell’appello per genericità dei motivi, ricorre l’imputato, deducendo ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) e c), "inosservanza o erronea applicazione della legge penale o di altre norme giuridiche, di cui si deve tenere conto nell’applicazione della legge penale" e "inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità, di inutilizzabilità, di inammissibilità o di decadenza".

Ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), viene poi censurata la sentenza per contraddittorietà della motivazione, in quanto la Corte territoriale, "pur rilevando che tutti i motivi sono generici, dimostra – parzialmente motivando la sentenza – che l’appello avanza delle problematiche a cui è necessario dare delle risposte".
Motivi della decisione

1. Considerate le censure denunciate con il ricorso per cassazione, appare utile sintetizzare i motivi dedotti con l’atto d’appello e la motivazione della sentenza impugnata.

1.2. Nel primo motivo l’appellante, dopo avere affermato che "la sentenza purtroppo si basa solo sulle deposizioni dei testi dell’accusa", esprimeva generiche critiche in ordine all’attendibilità dei testimoni, prospettando mere ipotesi e supposizioni, alternative ai fatti ritenuti dal giudice di primo grado.

Con il secondo motivo, il P. – dopo avere dava atto che il giudice di primo grado aveva emesso una sentenza "forse giusta nella sostanza, ma priva di qualsiasi fondamento giuridico" – proseguiva evocando una serie di ipotetiche spiegazioni circa le condotte dell’imputato, diverse da quelle ritenute in sentenza.

Egli denunciava, infine, con il terzo motivo l’eccessività della pena, il diniego delle circostanze attenuanti generiche e la mancata applicazione della continuazione.

1.3. La Corte territoriale ha ritenuto generici i motivi, che si limitavano a enunciare ipotesi alternative alla ricostruzione dei fatti, senza indicare alcun elemento specifico, sia pure indiziario, di supporto all’ipotesi prospettata; e generica la censura d’inattendibilità dei testi T. e Pa., accusati di essere interessati (mentre il Pa. non si era neppure costituito parte civile), "senza prendere in considerazione la natura assai dettagliata delle loro deposizioni, come emerge (…) dal resoconto puntuale che ne offre la stessa sentenza impugnata".

Il secondo motivo d’appello è stato ritenuto generico per avere l’appellante del tutto ignorato la precisa affermazione della sentenza di primo grado, secondo cui la responsabilità della falsa denuncia doveva ricadere unicamente sull’imputato che aveva la disponibilità degli assegni bancari della madre, la cui falsa firma di traenza era stata apposta sull’assegno.

Generico, infine, è stato qualificato il terzo motivo d’appello, in quanto la pena era stata determinata nel minimo edittale, la richiesta di attenuanti non prendeva in considerazione il puntale riferimento del Tribunale ai precedenti penali dell’imputato, la richiesta di applicazione dell’art. 81 cpv. cod. pen. non forniva alcuna indicazione di collegamento a specifici fatti già giudicati, legati dal medesimo disegno criminoso.

2. Tanto premesso, vanno rigettati per infondatezza i primi due motivi di ricorso, sollevati in base all’art. 601 c.p.p., comma 1, lett. b) e c).

Rilevato che il ricorrente non specifica neppure quali norme penali o processuali sarebbero state violate dalla Corte territoriale, il Collegio, dall’esame complessivo del ricorso, ritiene d’individuare tali norme nell’art. 368 cod. pen. e nell’art. 581 c.p.p., comma 1, lett. c).

Quest’ultimo articolo del codice di rito è menzionato in ricorso per affermare – dopo avere integralmente trascritto il secondo motivo d’appello – che anche tale motivo "deve considerarsi conforme ai dettato di cui all’art. 581 c.p.p., comma 1, lett. c)".

Incidentalmente nel ricorso è anche menzionato l’art. 368 cod. pen., ma non è dato rinvenire alcuna indicazione per spiegare in che senso o per quale ragione si assume che le predette norme siano state inosservate o erroneamente applicate ovvero violate.

2.1. Osserva il Collegio che la Corte territoriale ha correttamente applicato le sopra indicate norme penali sostanziali e processuali e, in particolare, ha fatto corretta applicazione dell’art. 581 c.p.p., comma 1, lett. c) e art. 591 c.p.p., comma 1, lett. c) che, a pena d’inammissibilità, prescrivono che nell’atto d’impugnazione siano enunciati, oltre ai capi o punti della sentenza e alle richieste, "i motivi con l’indicazione specifica delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta".

Pur nella libertà della loro formulazione, i motivi d’impugnazione (anche nel giudizio d’appello) devono indicare con chiarezza le ragioni di fatto e di diritto su cui si fondano le censure, al fine di delimitare con precisione l’oggetto dell’impugnazione e di evitare impugnazioni generiche o dilatorie -.

In punto di diritto, ciò implica che la parte impugnante deve esplicitare con sufficiente chiarezza la censura d’inosservanza o di violazione della legge penale, non potendo ritenersi che la semplice menzione di un articolo del codice possa integrare "l’indicazione specifica" richiesta dall’art. 581 c.p.p., comma 1, lett. c), soprattutto quando, come nel caso in esame, non è dato cogliere, dalla lettura della sentenza di primo grado, la benchè minima inosservanza o violazione di legge.

In punto di fatto, non è sufficiente a integrare il necessario requisito di specificità la prospettazione di astratte plurime spiegazioni che possono essere date di un comportamento dei soggetti coinvolti nella vicenda processuale, essendo invece necessario indicare le ragioni per cui si ritiene errata la valutazione che il giudice ha compiuto delle prove legittimamente acquisite nel dibattimento.

Nè può ritenersi che, rispetto al giudizio di cassazione, le esigenze di specificità dei motivi siano attenuate nel giudizio d’appello, che è competente a rivalutare anche il fatto. Tale rivalutazione, essendo l’appello un’impugnazione devolutiva, può e deve avvenire nei rigorosi limiti di quanto la parte appellante ha legittimamente investito il giudice d’appello con il mezzo d’impugnazione (conforme alle previsioni di cui all’art. 581 cod. proc. pen.), che serve sia a circoscrivere l’ambito dei poteri del giudice sia a evitare impugnazioni dilatorie, che impegnano inutilmente e dannosamente le risorse giudiziarie, limitate e preziose, e che concorrono a impedire la realizzazione del principio della ragionevole durata del processo (art. 111 Cost., comma 2).

In conclusione, l’appellante non aveva espresso censure di inosservanza o di violazione di legge con la determinatezza necessaria a porre il giudice dell’impugnazione in condizione di verificare l’eventuale fondatezza del vizio lamentato. Correttamente, pertanto, il giudice d’appello ha concluso per la declaratoria d’inammissibilità dell’appello.

3. Il dedotto vizio di motivazione è manifestamente infondato. Non vi è alcuna contraddittorietà tra la ritenuta genericità dei motivi dell’appello e la motivazione resa dalla Corte territoriale, la cui scrupolosa e analitica esplicitazione delle ragioni d’inammissibilità dell’atto d’appello testimonia della serietà con cui l’impugnazione, anche se generica, è stata esaminata.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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