Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 25-02-2011) 01-06-2011, n. 22072

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con ordinanza del 15.7.2010 il Magistrato di sorveglianza di Cosenza rigettava il reclamo proposto da P.R. con il quale lamentava la mancata attuazione del disposto di cui all’art. 22 cod. pen. che prevede l’isolamento notturno per il condannato, alla pena dell’ergastolo.

A sostegno della decisione il giudice osservava che l’isolamento notturno, a differenza di quello diurno, non costituisce una vera e propria sanzione penale, ma soltanto una modalità esecutiva della pena, peraltro, affidata alla discrezionalità amministrativa in costanza di gravi ragioni ostative che nella specie ricorrevano a cagione del sovraffollamento della struttura penitenziaria di Rossano, ove il P. è ristretto.

2. Ricorre avverso detto provvedimento il P., personalmente, lamentando, in particolare, che l’attuazione della modalità esecutiva, a norma dell’art. 22 cod. pen., non è dall’ordinamento affidata alla discrezionalità dell’amministrazione penitenziaria, che deve pertanto obbligatoriamente darvi attuazione.
Motivi della decisione

Il ricorso è infondato.

1. E’ stato in più occasioni affermato da questa Corte che "l’isolamento notturno del condannato all’ergastolo, – che rappresenta un inasprimento sanzionatorio e non una sanzione vera e propria come quello diurno, non può considerarsi oggetto di un diritto soggettivo giuridicamente azionabile dall’interessato. Ne consegue che è legittimo il rigetto di istanza presentata da condannato alla pena dell’ergastolo e mirante ad ottenere, In costanza della sua esecuzione, l’isolamento notturno" (Sez. 1, n. 16400, 27/02/2007, Stilo, rv. 236158; Sez. 1^, n. 50005, 01/12/2009, Cantarella, rv. 245978).

Ad avviso del Collegio detto principio deve essere ulteriormente precisato.

L’isolamento notturno, nella iniziale stesura codicistica, costituiva una semplice modalità di esecuzione della pena, in termini di maggiore afflittività – del regime detentivo intramurario, a differenza dell’isolamento diurno, il quale costituisce una sanzione penale tipizzata dall’ordinamento dall’art. 72 cod. pen. per i reati che concorrono con un delitto per il quale venga irrogata la pena dell’ergastolo. Da ciò conseguiva correttamente che il condannato detenuto non fosse affatto titolare di alcun interesse, giuridicamente rilevante, ad instare per l’inasprimento del proprio trattamento penitenziario e a dolersi, mediante il ricorso per cassazione, del provvedimento del Magistrato di sorveglianza che avesse respinto il reclamo per la omessa attuazione dell’isolamento notturno.

Allo stato, tuttavia, l’isolamento notturno, quale – istituto generalizzato collegato alla pena dell’ergastolo con finalità segregante, non può considerarsi più previsto dall’ordinamento giuridico positivo, giacchè gli artt. 22, 23 e 25 cod. pen. che lo menzionavano, devono ritenersi implicitamente modificati in parte qua in seguito all’entrata in vigore della L. 26 luglio 1975, n. 354, art. 6, comma 2, recante "Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà".

Dispone, Infatuatale norma che i locali destinati al pernottamento dei detenuti consistono "in camere dotate di uno o più posti", senza distinguere la pena da eseguire. Ed il D.P.R. n. 230 del 2000, nel dare attuazione al disposto legislativo, ribadisce all’art. 110 che l’ergastolo viene eseguito nelle normali case di reclusione.

Giova, altresì, osservare che la legge in parola ha inteso disciplinare complessivamente ed organicamente la rilevantissima materia penitenziaria ed allo scopo di perseguire pienamente la finalità di adeguare l’esecuzione penale ai principi di umanizzazione e rieducazione fissati dall’art. 27 Cost., comma 2, a beneficio dell’interprete e dell’utente, contempla l’art. 89, norma di coordinamento, in forza del quale deve ritenersi abrogata "ogni altra norma incompatibile con la presente legge".

Nel caso di specie, invero, detta incompatibilità logica è palese ed è rilevabile in via interpretativa, contrariamente a quanto accaduto per il diverso istituto dell’isolamento diurno che, essendo sanzione penale tipica, correttamente è stata ritenuta da questa Corte non implicitamente abrogata proprio per la diversità di natura giuridica rispetto all’isolamento notturno (Sez. 1^, n. 718, 28/02/1980, D’Angelo, 144948).

Va richiamato, altresì, il punto 8 della seconda parte delle "Regole minime per il trattamento dei detenuti", oggetto di "Raccomandazione del Comitato dei Ministri della Comunità Europea 12 febbraio 1987", il quale prescrive: "I detenuti devono in linea di principio essere alloggiati durante la notte in camere individuali, salvo nel caso in cui sia considerata vantaggiosa una sistemazione in comune con altri detenuti. Quando una camera è in comune, deve essere occupata da detenuti riconosciuti adatti ad essere alloggiati in queste condizioni".

Secondo le regole europee (peraltro sostanzialmente replicanti di quelle analoghe contenute nella Risoluzione O.N.U. del 30.8.1955 relativa a: "Regole minime per il trattamento dei detenuti", paragrafi 9.1, 9.2 e 9.3) l’alloggiamento notturno in camere individuali sarebbe dunque, "in linea di principio", da preferire sulla base di più evoluti criteri di rispetto della dignità umana a vantaggio del detenuto.

Trattasi, tuttavia, di prescrizione non cogente, che ben può sopportare eccezioni anche a causa di difficoltà strutturali od organizzative, purchè del rispetto della dignità del detenuto siano assicurate, anche per il suo alloggiamento, le condizioni basilari.

La tutela in concreto richiesta dal ricorrente non riguarda, invero, le generali condizioni di indubbio degrado al quale il sovraffollamento delle carceri italiane costringe i detenuti, ma un oggetto del tutto diverso e di assai più contenuto limite giuridico relativo all’applicabilità o meno dell’art. 22 cod. pen. al caso di specie e la natura della situazione giuridica soggettiva eventualmente tutelabile in forza di tale disposizione.

L’art. 22 cod. pen. ha, viceversa, una funzione normativa precisa, considerato il suo tenore ed il suo inserimento sistematico, nel capo 2^, del titolo 1^, del libro primo del codice penale, relativo alla individuazione ed alla disciplina delle pene principali, di guisa che la logica sanzionatoria che necessariamente ne ispira la regolamentazione non può, con effetti di conclamata distonia sistemica, trasformarsi in una logica contraria, quella di adeguare la sanzione dell’ergastolo a logiche umanitarie, come detto riscontrate e tutelate in altre forme e da diverse fonti normative.

Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato con conseguente condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese del processo.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *