Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 17-02-2011) 01-06-2011, n. 21840 Violenza sessuale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

e nella persona dell’Avv. FORNASSARI Andrea.
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza camerale del 25 febbraio 2010 la Corte di Appello di Firenze, in parziale riforma della sentenza emessa in sede di giudizio abbreviato dal Tribunale di Pistoia in data 9 settembre 2009 – con la quale L.G., imputato dei reati di cui all’art. 609 quater c.p. in pregiudizio dell’infraquattordicenne V.J. H. (fatto commesso in località (OMISSIS)) e artt. 56 e 609 quater c.p. in pregiudizio di F.E. (fatto commesso in località (OMISSIS)) era stato ritenuto colpevole dei detti reati e condannato, concessa la circostanza attenuante del risarcimento del danno e con la diminuente per il rito, alla complessiva pena di anni quattro di reclusione (anni due e mesi otto per il primo reato ed anno uno e mesi quattro per il secondo reato), oltre le pene accessorie di legge – concedeva la circostanza attenuante di cui all’art. 609 quater c.p., comma 4 e, per l’effetto, rideterminava la pena originariamente inflitta in anni due di reclusione per il reato di cui al capo A) ed in anno uno di reclusione per il reato di cui al capo B), confermando nel resto.

Con la detta sentenza la Corte Territoriale, dopo aver ricostruito i passaggi essenziali della vicenda, disattendeva le ragioni difensive dell’imputato in punto di affermata incertezza del quadro probatorio relativo al reato sub A) con specifico riguardo a quanto lamentato dal L. in ordine alla mancata assunzione delle testimonianze del minore e della di lui madre, ritenendo il quadro suddetto assolutamente coerente e imputando alla scelta del rito la mancata audizione del minore e dei genitori; disattendeva, poi, le doglianze del prevenuto con riguardo al reato sub b), a suo dire imperseguibile per mancanza di querela, reiterando il concetto del collegamento tra i reati quale presupposto per la perseguibilità anche del reato sub b) in assenza della querela; disattendeva, inoltre, le doglianze mosse – sempre con riferimento al reato sub b) – in punto di configurabilità del tentativo che veniva ritenuto pienamente ammissibile; ancora, le doglianze in merito al mancato riconoscimento dell’istituto della continuazione, motivando il diniego con la elevata distanza temporale tra i due episodi ed, in ultimo, respingeva, perchè infondato, il motivo di appello afferente al mancato riconoscimento delle invocate circostanze attenuanti generiche, non tenendo in considerazione gli elementi positivi rassegnati con l’atto di appello (condotta processuale e precarie condizioni personali e sottolineando, di contro, l’assenza di resipiscenza e la gravità della condotta che la difesa aveva invece sottovalutato.

Propone ricorso avverso la detta sentenza l’imputato a mezzo del proprio difensore deducendo – relativamente al reato sub b) – violazione e falsa applicazione della norma processuale penale (art. 192 c.p.p.) e contraddittorietà della motivazione, insistendo, poi, nella tesi della inconfigurabilità del tentativo e ritenendo contraddittorio quanto affermato dalla Corte laddove parla di "scarni elementi protettori".

Analogo vizio di motivazione ravvisa la difesa del ricorrente quanto al reato di cui al capo b), con riferimento alla mancata proposizione della querela, sostenendo l’assoluta diversità del materiale pedopornografico sottoposto in visione alla minore rispetto a quello trovato in sede di perquisizione.

Denuncia poi – sempre con riferimento al reato di cui al capo b) – mancanza e/o illogicità della motivazione con riguardo al mancato riconoscimento della continuazione, soprattutto ove la Corte fosse acceduta alla tesi della identità delle immagini visualizzate dalla minore. Anche con riguardo al reato sub a) la difesa del ricorrente deduce identico vizio di contraddittorietà ed illogicità della motivazione laddove la Corte, in maniera contraddittoria avrebbe, per un verso, affermato l’esistenza di una lacuna probatoria definita incolmabile a causa della intervenuta scelta del rito e, per altro verso, ritenuto sufficienti le prove derivanti dalle dichiarazioni del minore per come riferite dal genitore, non sottoposte a vaglio in ordine alla loro attendibilità soggettiva ed intrinseca.

In ultimo viene denunciato vizio di motivazione in ordine al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, avendo la Corte tralasciato di considerare le condizioni soggettive dell’imputato ed il suo contegno processuale riparativo. Il ricorso è infondato.

Invertendo l’ordine di proposizione dei motivi, peraltro articolati, che caratterizzano il ricorso in esame, vanno per primi analizzati quelli riguardanti il primo dei due reati in contestazione, ovverossia l’episodio che vede il L. imputato di compimento di atti sessuali con minore infraquattordicenne: si tratta di un episodio che ha, in comune con il successivo – riguardante invece un fatto accaduto anni prima ed in danno di altra minore infraquattordicenne ma con modalità del tutto diverse (dalle quale è originata una imputazione di natura completamente differente) – la linea difensiva escogitata dall’imputato: quella, cioè, di aver iniziato le due piccole vittime ai primi rudimenti della materia sessuale attraverso la visione, sul PC portatile in uso all’imputato di immagini pedopornografiche adoperate – sempre a dire dell’imputato – quali modelli di riferimento per l’approccio all’argomento sessuale.

La prima censura che la difesa del ricorrente muove alla sentenza impugnata riguarda l’esiguità del materiale probatorio valutato dalla Corte territoriale che, in proposito, ha parlato di "scarni elementiprobatorì" e di "vuoto istruttoria" (rappresentato dalla mancata rogatoria internazionale per l’esame della vittima e dei suoi genitori) non più colmabili: proprio da tali proposizioni adoperate dalla Corte fiorentina, la difesa ha tratto due corollari: a) la insufficiente valutazione dell’attendibilità delle dichiarazioni del minore, anche perchè mai sentito, veicolate attraverso una denuncia di uno dei genitori (il padre) e dichiarazioni "de relato" promananti, prima dalla madre e poi, dall’altro genitore; la carenza istruttoria dalla quale deriverebbe quella situazione di incertezza che, anzichè trasformarsi in base di partenza per una pronuncia assolutoria seppur a termini dell’art. 530 cpv. c.p.p., sarebbe paradossalmente servita alla Corte per pervenire, del tutto immotivamente e illogicamente, ad una conferma della responsabilità.

Nessuno di tali assunti può essere condiviso.

La Corte territoriale, nel formulare il giudizio di colpevolezza per il reato di cui al capo a), non si è basata esclusivamente sulle dichiarazioni "de relato" dei genitori del minore che ebbero a raccogliere in tempi diversi (ma assai poco distanziati tra loro) quanto loro riferito dal figlio in merito ai contatti anomali del L. con il bambino avvenuti all’interno dell’agriturismo in località "(OMISSIS)" presso il quale la famigliola era ospite; a tali dichiarazioni, acquisite ritualmente al processo stante il rito prescelto dall’imputato senza alcuna condizione (c.d. "rito abbreviato puro") e dunque pienamente utilizzabili, si sono aggiunti altri significativi elementi che la Corte ha puntualmente ricordato includendoli tra i riscontri di tipo oggettivo: 1) le parziali ammissioni del L., quanto meno sull’esordio con il bambino su argomenti legati alla sessualità sia pure in modo improprio se non addirittura inusuale; 2) la testimonianza del responsabile dell’agriturismo sulle "strane abitudini" del L. sperimentate in precedenti occasioni e sempre aventi come protagonisti passivi minori asseritamente molestati, ma anche sull’esternazione delle prime decise rimostranze ricevute dalla madre del bambino nella quasi immediatezza del fatto; 3) l’esito della perquisizione domiciliare che aveva portato al rinvenimento di un vero e proprio arsenale pedopornografico.

La Corte, nel richiamare quanto già osservato dal primo giudice sul punto, ha ribadito la piena attendibilità delle dichiarazioni dei due genitori del bambino, evidenziando anche l’incidenza ai fini del giudizio di colpevolezza sia della tempestività con la quale il L. era stato messo di fronte alle proprie responsabilità, sia la palese inverosimiglianza delle giustificazioni fornite in quel contesto dal L. per come evidenziate dal Tribunale.

Rispetto alle argomentazioni del Tribunale, la Corte ha anche rilevato l’assenza di contraddizioni – spiegando adeguatamente la circostanza – tra le prime dichiarazioni "de relato" dei genitori ed il contenuto, invero assai più articolato, della querela, ricordando come le due fasi che avevano caratterizzato il racconto dei genitori erano ben comprensibili in relazione alle iniziali titubanze del bambino, indotto poi a riferire altri e più scabrosi particolari dietro le sollecitazioni della madre e poco dopo del padre. Ne deriva, quindi, una valutazione ad ampio spettro della credibilità delle accuse promananti dai due genitori, la cui audizione non è stata più possibile stante la partenza dopo pochissimi giorni di tutta la famiglia per l’Australia, loro Nazione di origine.

Si innesta a questo punto la censura di incoerenza motivazionale da parte della Corte per avere la stessa, per un verso, basato il proprio giudizio – esigui essendo gli elementi di riscontro – sulle dichiarazioni de relato di soggetti mai sentiti in contraddittorio e, per altro verso, espresso riserve circa la loro mancata audizione: in tali termini si ravviserebbe a dire della difesa una intima contraddittorietà della decisione dalla quale sarebbe dovuto ragionevolmente scaturire un proscioglimento.

Ma il ragionamento seguito dalla Corte non appare censurabile nè sul piano logico nè sul paino dell’ortodossia processuale, posto che il giudizio di prime cure si era svolto con le forme del rito abbreviato e che nessuna opzione istruttoria era stata fatta dalla difesa del ricorrente che aveva, anzi, acconsentito all’ingresso nel fascicolo processuale di quelle dichiarazioni.

E’ noto, anche perchè ripetutamente affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, come nel giudizio di appello riguardante un procedimento svoltosi con le forme del rito abbreviato c.d. "puro" sia solo previsto – a differenza di quanto accade per il rito abbreviato c.d. "condizionato" – un potere sollecitatorio all’esercizio dei poteri officiosi di integrazione probatoria:

compito che il giudice di appello non è comunque tenuto a svolgere, così come non sono consentite doglianze in merito alla incompletezza dell’istruttoria di primo grado e del fascicolo trasmesso dal GIP. (in termini, Cass. Sez. 2A 15.5.2009 n. 25659, Marincola ed altri, Rv. 244163; Cass. Sez. 4A 20.12.2005 n. 15573, Coniglio ed altri, Rv.

233956). Rientra poi nella regulajuris concernente il particolare tipo di giudizio di appello modellato sul giudizio abbreviato celebratosi in primo grado, quella di riservare al giudice di appello il potere di ricorrere all’integrazione là dove ritenuto assolutamente indispensabile ai fini della decisione con la conseguenza che rimane escluso per la parte un diritto proprio all’acquisizione di prove cui abbia rinunciato in concomitanza con la scelta processuale di tipo alternativo compiuta in primo grado (in termini Cass. Sez. 6A 16.10.2008, Monetti, Rv. 242905).

Ritornando al caso di specie, le censure di illogicità ed incompletezza motivazionale rivolte dalla difesa del ricorrente alla sentenza impugnata laddove si parla di vuoto probatorio, non possono essere accolte, in quanto la Corte territoriale non ha adoperato detta espressione in assoluto, ma ha inteso far cenno soltanto di una opportunità non coltivata che tuttavia non è stata ritenuta determinante sul piano del ragionamento seguito per confermare la colpevolezza, proprio perchè altri elementi probatori, assolutamente consistenti ex sè, hanno avuto il loro peso a riscontro di un attendibilità complessiva delle dichiarazioni, sia pure de relato, ragionevolmente valutata dalla Corte.

Diverse, come già accennato, le proposizioni difensive riferite alla seconda imputazione attinente ad un fatto più remoto.

Intanto va sgombrato il campo da un equivoco legato alla imprecisa lettura da parte del ricorrente del passo della sentenza impugnata contenente l’espressione "scarni elementi probatori": essa si riferisce non già all’episodio di cui al capo a), ma a quello di cui al capo Per quanto riguarda, infatti, l’episodio riguardante i contatti avuti dal L. con la minore F.E., tredicenne all’epoca del fatto, gli elementi probatori scrutinati dal GUP e poi ripresi dalla Corte, sono stati ritenuti assolutamente appaganti, se solo si pensa al fatto messo in risalto dai due giudici di merito, che le dichiarazioni rese dalla minore sono apparse da subito estremamente analitiche, coerenti, precise e disinteressate, non caratterizzate da sentimenti di risentimento, astio o rivalsa e, dunque, particolarmente attendibili: se poi a tutto ciò si aggiungono le altre considerazioni svolte dalla Corte territoriale sul piano dei riscontri oggettivi (in merito ai quali la difesa del ricorrente ha comunque obiettato una insufficienza intrinseca che la Corte ha agevolmente superato), rappresentati dal rinvenimento presso l’abitazione dell’imputato, di immagini pedopornogarfiche coincidenti con quelle descritte dalla minore quando le erano state mostraste sul computer, si comprende bene come la valutazione sull’attendibilità della minore sia stata compiuta in termini corretti ed in linea con quei parametri da sempre raccomandati dalla giurisprudenza di legittimità. Anzi la Corte – rispetto al giudice di primo grado – ha compiuto un ulteriore passo nel segno del positivo giudizio di attendibilità, laddove ha sottolineato la particolare prudenza della minore nel descrivere l’episodio accadutole, a riprova, quindi, di una serenità inconciliabile con la pretesa inattendibilità del racconto che la stessa Corte ha, correttamente, escluso essere stato enfatizzato.

Quanto alla questione di diritto, reiterata nel ricorso, ma già correttamente risolta dalla Corte fiorentina, concernente l’inconfigurabilità del tentativo essendo mancato un contatto sessuale di tipo corporeo con la vittima, si tratta di tesi priva di pregio giuridico, essendo ben possibile per i reati a sfondo sessuale – anche con riguardo alla ipotesi delittuosa di cui all’art. 609 quater c.p. – il tentativo in ragione della natura del reato che prescinde da contatti fisici, costituendo elemento essenziale sul piano soggettivo l’intenzione dell’agente di raggiungere l’appagamento dei propri istinti sessuali e sul piano oggettivo l’idoneità della condotta a violare la libertà di autodeterminazione della vittima nella sfera sessuale ovvero l’esistenza di contatti anche di tipo superficiale e/o fugace senza che essi vengano indirizzati verso le zone c.d. "erogene" (Cass. Sez. 3A 23.5.2006 n. 34128, Viggiano, Rv. 234778; Cass. Sez. 3A 6.6.2008 n. 27762, Bless, Rv. 240828; vds. anche sul punto Cass. Sez. 3A 25.10.2005 n. 45286; Cass. Sez. 3A 8.5.2007 n. 35875; Cass. Sez. 3A 27.5.2010 n. 24258, secondo la quale viene in rilievo quale bene giuridico protetto l’integrità fisio-psichica della vittima nella prospettiva di in corretto sviluppo della propria sessualità).

Ed è proprio alla luce dei principi sopra esposti che la Corte di merito ha correttamente mantenuto ferma la qualificazione giuridica iniziale del tentativo, ricordando anche, come il L., nella circostanza, non si fosse solo limitato a mostrare alla ragazzina, a scopo didattico, le immagini proibite, ma anche ad abbracciarla, rivolgendole domande sul suo abbigliamento intimo.

Puntuali e logiche appaiono, poi, le considerazioni svolte dalla Corte sia con riguardo all’inapplicabilità dell’istituto della continuazione, evidenziando a tale proposito, in modo corretto, come la notevole distanza temporale – oltre tre anni – non bastasse per ritenere esistente quella unicità del disegno criminoso funzionale all’istituto invocato; sia con riguardo alle circostanza attenuanti generiche negate, senza che possa ravvisarsi quella contraddizione prospettata dalla difesa in relazione ad alcuni dati presi in esame dalla Corte e poi sottovalutati.

Se è vero che la Corte ha riconosciuto sia l’ipotesi lieve con riguardo ad entrambi i reati contestati, sia l’attenuante della riparazione del danno, ha comunque ragionevolmente espresso un giudizio negativo sulla capacità critica di rivisitazione del proprio operato da parte del L. concretizzatosi in quella che la Corte ha definito, in modo logico "inconsapevolezza della gravità dei fatti commessi anche dopo gli accertamenti probatorì" denotanti una "scarsa capacità critica" dell’imputato (vds. pag. 9 della sentenza impugnata). Tale elemento è indubbiamente valso – secondo il convincente giudizio della Corte – a svalutare altri dati pur positivi, refluenti in modo diverso sulla determinazione del fatto, giudicato non grave solo per l’assenza di significative conseguenze sul piano psichico dei minori, ma non certo sul piano delle oggettive modalità della condotta ritenute invece particolarmente negative dalla Corte. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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