Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 17-02-2011) 01-06-2011, n. 21838 Reato continuato e concorso formale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza dell’1 marzo 2010, a Corte di Appello di Milano, riformava parzialmente la sentenza emessa dal GIP Tribunale di Milano in data 10 giugno 2005 con la quale C.V. e L.D., imputati – unitamente ad altri connazionali giudicati separatamente – del reato di associazione a delinquere finalizzata, alla induzione, sfruttamento e favoreggiamento della prostituzione ( art. 416 c.p.), nonchè dei reati di induzione e sfruttamento della prostituzione (art. 81 cpv. c.p.; L. n. 75 del 1958, art. 3, nn. 5, 6, 7 e 8 e art. 4, n. 7) (fatti commessi in varie località dal (OMISSIS) e in permanenza), erano stati ritenuti colpevoli dei predetti reati e condannati alle pene ritenute di giustizia.

In esito all’appello interposto dai predetti imputati, la Corte riduceva al solo C.V. la pena originariamente inflittagli – previa esclusione dell’aggravante di cui alla L. n. 75 del 1958, art. 4 – ad anni due e mesi quattro di reclusione ed Euro 1.600,00 di multa, revocando la pena accessoria della interdizione temporanea dai pubblici uffici e confermava, per il resto, la sentenza impugnata.

Con detta sentenza, la Corte territoriale, dopo aver ripercorso la complessa vicenda giudiziaria in ciò riallacciandosi a quanto articolatamente osservato dal GIP la cui sentenza richiamava riportandone una sintesi assai ampia, riteneva assolutamente solido il quadro probatorio sia in punto di sussistenza del reato associativo, sia in punto di partecipazione consapevole dei due imputati all’associazione, sia in punto di commissione dei singoli reati satelliti di induzione e sfruttamento della prostituzione.

Riteneva, in questo senso, decisive le numerose intercettazioni che davano conto dell’esistenza di una ramificata associazione criminale dedita alla tratta di cittadine albanesi o di altri Stati dell’est Europa, alla induzione alla prostituzione ed al loro capillare ed intensivo sfruttamento, descrivendo ruoli dei sodali, struttura dell’organizzazione criminale e stabilità e continuatività del vincolo associativo; dava rilievo alle testimonianze di alcune donne finite nella rete; ai riconoscimenti fotografici effettuati da quelle donne che avevano reso dichiarazioni contro, alios; alle parziali ammissioni di uno dei due imputati (il C.) in merito al delitto di sfruttamento della prostituzione.

In risposta agli articolati motivi di gravame dei due imputati la Corte rigettava le relative doglianze difensive e, in particolare, quelle sollevate dal C., finalizzate, nell’ordine: a) alla assoluzione dal reato associativo – a suo dire insussistente in quanto fondato su un solo episodio (quello del (OMISSIS)) menzionato in una intercettazione – il cui significato, secondo le asserzioni difensive, era stato travisato dalla Corte; b) alla concessione delle circostanze attenuanti generiche connesse al buon comportamento processuale che la Corte aveva invece svalutato; c) in ordine al trattamento sanzionatorio ritenuto eccessivo.

La Corte, tuttavia, accoglieva – come accennato – la doglianza mossa con riferimento alla ritenuta sussistenza della aggravante di cui alla L. n. 75 del 1958, art. 4, escludendola e riducendo congruamente la pena.

Con riguardo alla posizione del secondo appellante, la Corte disattendeva tutte le doglianze mosse sia con riguardo alla mancata assoluzione dal reato associativo (risultando, a detta della difesa, assolutamente carente sul punto la prova) sia con riguardo alla mancata assoluzione dal reato di induzione alla prostituzione, basato su dichiarazioni di due donne, una delle quali de relato e senza riscontri di alcun genere.

Rigettava, in quanto del tutto infondata, la richiesta difensiva volta ad ottenere l’attenuante di cui all’art. 114 c.p.; quella relativa alla esclusione della circostanza aggravante di cui alla L. n. 75 del 1958, art. 4 ed, infine, quella relativa alla concessione delle circostanze attenuanti generiche (attesa la gravità della condotta) ed al trattamento sanzionatorio (ritenuto eccessivo e giudicato, invece, dalla Corte commisurato alla reale gravità dei fatti).

Propongono ricorso avverso la detta sentenza i due imputati a mezzo dei rispettivi difensori fiduciari.

La difesa dell’imputato C. deduce violazione della legge penale ( art. 416 c.p.) dolendosi della illogicità e carenza di motivazione da parte della Corte, soprattutto con riferimento alla ritenuta consapevolezza da parte dell’imputato di far parte di una associazione delinquenziale da escludere – a dire della difesa – sulla base di elementi non presi in considerazione dal giudice territoriale ed evidenziando come dalle prove dichiarative (ma anche dalle intercettazioni) non emergesse affatto la partecipazione del C. all’associazione.

Con il secondo motivo lamenta illogicità della motivazione in punto di mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, avendo la Corte omesso di considerare gli spunti difensivi e le circostanze favorevoli all’imputato rassegnate nei motivi di appello (segnatamente l’ammissione di responsabilità sia pure parziale riguardante il reato di sfruttamento della prostituzione e la presenza continua al processo).

La difesa del ricorrente L. deduce, con il primo motivo, vizio di motivazione con riguardo al ritenuto reato di induzione e sfruttamento della prostituzione, essendosi la Corte rifatta acriticamente a quanto a suo tempo argomentato dal GUP, senza null’altro aggiungere e disattendendo quindi, senza alcuna logica, quanto sostenuto dall’appellante in ordine alla inattendibilità delle dichiarazioni della ragazza asseritamente sfruttata ( G.) e soprattutto alla inesistenza di riscontri, tali non essendo quelli costituiti dal rinvenimento di alcune donne in sede di perquisizione domiciliare che aveva portato all’arresto di tale D. D., dal rinvenimento di una consistente somma di denaro e di alcune donne ivi stazionanti (elementi che la Corte aveva ritenuto decisivi sia per dimostrare l’esistenza dell’associazione, sia per dimostrare la sussistenza dei reati "satelliti").

Con il secondo motivo il ricorrente denuncia vizio di motivazione in punto di mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.

Nessuno dei motivi dei due distinti ricorsi merita di essere accolto.

Esaminando il ricorso proposto dal difensore del C., si rileva che la principale censura è rivolta verso una sola delle imputazioni mosse al detto imputato, vale a dire quella di cui all’art. 416 c.p., avendo, per le rimanenti imputazioni, il C. confessato le proprie responsabilità, come ricordato dalla Corte territoriale.

Orbene i rilievi critici che afferiscono sostanzialmente ad un’errata interpretazione da parte della Corte della norma penale che delinea tale fattispecie delittuosa oltre ad apparire non sufficientemente specificati, in ogni caso non colgono nel segno.

Il giudice territoriale, oltre a richiamare le articolate considerazioni del GUP, ha correttamente evidenziato che – per ciò che riguarda il reato associativo – non era in discussione il reato nella sua materialità, quanto la partecipazione dell’imputato al sodalizio criminoso:

partecipazione che – con motivazione coerente e logica – è stata desunta, anzitutto, da una serie numerosa di conversazioni telefoniche intercettate (puntualmente menzionate in sentenza) che davano la certezza della partecipazione cosciente del C. all’associazione in termini di interesse verso le sorti delle singole prostitute; ancora, dai rapporti costanti dell’imputato con gli altri membri del sodalizio (tra i quali vengono menzionati K. G., K.K. e S.P. – tutti separatamente giudicati) non già finalizzati a commentare notizie di nessuna rilevanza riguardanti le varie donne meretrici (quasi tutte connazionali), quanto diretti ad organizzare incontri, garantire la continuità dell’attività di prostituzione, interessarsi per le nuove arrivate e per una loro proficua sistemazione, controllarne l’attività anche sul piano economico.

E’ quindi evidente che la Corte, nel passare in rassegna gli elementi probatori a sua disposizione, ha tratto il convincimento della colpevolezza del C. monitorandone i movimenti e sostanzialmente traendo spunto dagli stessi contenuti delle sue esternazioni telefoniche, tanto da poter affermare in modo convincente la sussistenza del dolo proprio del reato associativo.

Dolo che – secondo quanto ripetutamente affermato dalla giurisprudenza di questa Corte – è anzitutto specifico in quanto consistente nella coscienza e volontà di far parte di un impegno collettivo permanente e di svolgere specifiche attività in vista del raggiungimento degli scopi perseguiti dal sodalizio (Cass. Sez. 1A 11.12.1992 n. 709, Beni ed altro, Rv. 192790; Cass. Sez. 6A 23.1.1997 n. 5970, Ramirez, Rv. 208306; Cass. Sez. 1A 29.4.1986 n. 12603, Canicattì, Rv. 174242).

Detto questo, va anche aggiunto che, mentre in rapporto all’associazione ontologicamente considerata occorre che il pactum sceleris sia finalizzato al compimento di una serie indeterminata di delitti sulla base di un programma, in rapporto ai singoli componenti occorre soltanto che ciascuno abbia la consapevole volontà di partecipare a quel programma e contribuire alla sua riuscita: il che consente di ritenere provato il reato sul piano soggettivo riferito a ciascuno dei componenti anche laddove essi (o taluno di essi) abbiano svolto una attività di tipo partecipativo circoscritta ad un solo episodio (Cass. Sez. 6A 10.5.1994 n. 11446, Nanerini, Rv. 200938).

Non è quindi corretto affermare – come pretenderebbe la difesa del ricorrente – che essendo stata desunta la prova della partecipazione cosciente da un solo episodio, ciò equivarrebbe a dover escludere la sussistenza del dolo di partecipazione.

Peraltro la Corte, nel richiamare i contenuti delle varie conversazioni esaminate, si è puntualmente soffermata proprio sull’atteggiamento psicologico del C., non senza analizzare le singole condotte di partecipazione ed il ruolo di intermediario, tipico quindi di una contribuzione cosciente all’organizzazione.

Ma, a smentire in modo ancor più netto tale errata impostazione difensiva, valgono i richiami contenuti in sentenza alla decisione di primo grado nella quale il GUP pone in luce – in modo non di certo dispersivo ed illogico – i vari profili che caratterizzano la condotta del C.. E’ noto, in proposito, il principio in forza del quale la struttura motivazionale della sentenza di appello, laddove le due pronunce di primo e di secondo grado risultino concordanti nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a base delle rispettive decisioni, si salda e si integra con quella precedente di primo grado (Cass. Sez. 2A 10.1.2007 n. 5606, Conversa e altri; Rv. 236181; Cass. Sez. 1A 26.6.2000 n. 8868, Sangiorgi, Rv. 216906; Cass. Sez. Un. 4.2.1992 n. 6682, Pm: p.c, Musumeci ed altri, Rv. 191229): con la conseguenza che è pienamente legittima da parte del giudice di secondo grado una motivazione per relationem, peraltro, nel caso di specie non esauritasi nel mero richiamo alla sentenza, già di per sè estremamente analitica, del Tribunale, ma estesa in modo specifico anche all’analisi dei vari profili prospettati dall’imputato con l’atto di appello.

La Corte ha, in particolare, esaminato correttamente ed esaustivamente i vari punti menzionati nel gravame, fornendo risposte adeguate e coerenti sia in ordine all’attendibilità delle dichiarazioni delle varie vittime, in coerenza con le regole che governano la valutazione del teste-persona offesa, sia, infine, in termini di esaustività del complessivo quadro probatorio. Al riguardo va osservato che il giudice di merito ha dato conto del consistente materiale probatorio raccolto a carico dell’imputato, indicando specificamente tali elementi: a) dichiarazioni delle prostitute; b) dichiarazioni parzialmente confessorie dello stesso imputato in ordine ai reati riguardanti la prostituzione; c) riscontri di tipo oggettivo riguardanti la presenza materiale del C. nella abitazione occupata da altro sodale ( K.K.) presentatosi con una "ragazza" al seguito e intento – per come la Corte ha correttamente desunto dall’analisi della intercettazione e dall’ascolto delle voci in sottofondo – ad organizzare insieme al C. il controllo e la sistemazione delle prostitute e soprattutto delle "nuove arrivate".

E nel fare ciò la Corte non si è affatto adagiata, come sostenuto dalla difesa del ricorrente, sulle argomentazioni sviluppate dal primo giudice, ma ne ha rielaborato i vari passaggi in modo del tutto autonomo, pervenendo così, in termini di assoluta logicità, alle stesse conclusioni del Tribunale in punto di colpevolezza del C..

Peraltro, come ripetutamente affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, nel giudizio di appello è consentita la c.d. "motivazione per relationem" in tutte quelle ipotesi in cui le censure mosse nei riguardi della sentenza di primo grado vengano riproposte negli stessi termini di quelle deduzioni difensive già esaminate dal primo giudice e dallo stesso disattese (Cass. Sez. 4A 17.9.2008 n. 38824, Raso ed altri, Rv. 241062; Cass. Sez. 6A 14.6.2004 n. 31080, Cerrone, Rv. 229299).

Sempre con riferimento al denunciato vizio di mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione per omessa valutazione di circostanze acquisite agli atti, come costantemente affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, il ricorrente non può limitarsi alla indicazione di atti del processo non correttamente o adeguatamente interpretati dal giudicante, essendo invece preciso onere – pena l’inammissibilità della impugnazione -individuare quegli elementi o dati probatori che risultano inconciliabili con la ricostruzione svolta nella sentenza e soprattutto indicare le ragioni per le quali l’atto asseritamente non esaminato comprometta la coerenza logica della motivazione (v. da ultimo, Cass. Sez. 6A 2.12.2010 n. 45036, Dannano, Rv. 249035).

Con riguardo al secondo motivo di impugnazione attinente all’omessa o illogica motivazione in ordine al diniego delle circostanze attenuanti generiche, le motivazioni adottate sul punto dalla Corte risultano ampie e prive di vuoti logici soprattutto con riguardo ad un argomento -il comportamento processuale ammissivo (ma parziale) di responsabilità da parte dell’imputato – che la Corte territoriale ha tenuto ben presente al momento della valutazione complessiva in ordine alla meritevolezza delle invocate circostanze, non attribuendogli quella importanza esclusiva e dirimente pretesa dal ricorrente: anche i richiami all’unico (ma dalla Corte ritenuto significativo) precedente penale a carico del C. appaiono pienamente contestualizzati in quella generale opera di svalorizzazione della personalità del prevenuto (ivi compresa la sua giovane età) a fronte di una gravità del fatto e della condotta in genere che la Corte ha ritenuto assolutamente preponderante.

Nè possono trovare ingresso considerazioni quali il contegno processuale tenuto dall’imputato rispetto agli obblighi processuali impostigli, del quale la Corte non poteva certamente tener conto come esattamente argomentato.

Parimenti infondati i rilievi difensivi contenuti nel ricorso proposto nell’interesse del L., per il quale, richiamati i criteri generali in ordine ai rapporti di interdipendenza tra la decisione di primo grado e quella di appello ed i confini entro i quali possono considerarsi ammissibili le censure rivolte contro una motivazione ritenuta carente, contraddittoria e/o illogica, va ulteriormente precisato quanto segue.

Al contrario del primo ricorrente, il L. lamenta vizio di motivazione con riferimento ai c.d. "reati-scopo" dell’associazione a delinquere contestata anche al detto ricorrente. Orbene sul punto le considerazioni svolte dalla Corte integrano ed ampliano i già corposi elementi di responsabilità a carico dell’imputato anche per il delitto di sfruttamento e favoreggiamento della prostituzione: il giudice territoriale ha sottoposto ad attento criterio il materiale probatorio raccolto, non ritenendo bastevole ai fini della conferma del giudizio di colpevolezza le sole dichiarazioni della parte offesa (tale CE.Su., alias " G.") ma valorizzando altri e ben più significativi elementi di riscontro puntualmente elencati ed altrettanto logicamente esaminati (presenza del ricorrente nell’abitazione di altro sodale in occasione del suo arresto e presenza di una "ragazza" nell’abitazione del ricorrente al momento del suo arresto cui la Corte attribuisce rilevante significato non certo di ospite occasionale; dichiarazioni di altra prostituta aventi diretta attinenza con il contegno del L. che la Corte ha correttamente inquadrato in un contesto di prevaricazione tipica dello sfruttatore).

Quanto alla censura rivolta verso la insufficienza motivazionale in ordine alle circostanze attenuanti generiche invocate in sede di appello, valgono per il L. le medesime considerazioni svolte con riferimento alla posizione del primo ricorrente, senza bisogno di altre aggiunte o puntualizzazioni, dovendosi, semmai, ritenere ancor più persuasive sul piano (non solo) logico le argomentazioni di tipo negativo riferite alla pessima personalità criminale dell’imputato ostative alla concessione di quelle attenuanti.

Segue al rigetto dei ricorsi, la condanna di ciascuno dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna ciascuno dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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