Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 16-02-2011) 01-06-2011, n. 22209 Omicidio colposo

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

-1- Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Novara ha proposto appello, in seguito convertito dalla Corte d’Appello di Torino in ricorso per cassazione, avverso la sentenza del Gup dello stesso tribunale, dell’ 11 gennaio 2007, con la quale è stato dichiarato non luogo a procedere nei confronti di O.F., imputata di omicidio colposo in pregiudizio di M.S. V..

Alla O., responsabile del Centro Polifunzionale di (OMISSIS), ove la M., affetta da "decadimento cerebrale precoce con quadro di demenza", era stata ricoverata, è stato contestato di avere cagionato la morte di quest’ultima per colpa, consistita nel non avere adottato specifiche precauzioni per la vigilanza di persone non in grado di badare a sè stesse, in specie, della M., alla quale non era stato impedito di uscire dalla struttura nella serata del (OMISSIS), benchè priva di adeguato abbigliamento, in tal guisa avendone cagionato la morte per progressiva ipotermia, intervenuta nella notte del (OMISSIS).

Il Gup, richiamate le conclusioni rassegnate dal consulente del PM (secondo il quale la gestione socio-sanitaria della paziente era stata corretta e non erano stati rilevati elementi dimostrativi di un difetto nelle procedure di custodia), nonchè i rilievi eseguiti dal gabinetto di polizia scientifica della Questura di Novara (che aveva verificato le strutture esterne del Centro, in particolare le inferriate ed i cancelli d’ingresso), ha rilevato che nessun addebito potesse essere rivolto alla O. perchè, ove presenti, ha sostenuto il Gup, eventuali esigenze di particolare controllo della paziente avrebbero dovuto essere segnalate dalla direzione sanitaria che, viceversa, non aveva prospettato alcunchè. I controlli eseguiti sulla struttura, peraltro, avevano escluso che il sistema di apertura dei cancelli pedonali e carrai fosse inadeguato; mentre se, come ipotizzato dalla polizia, la M. fosse sgusciata fuori passando attraverso una deformazione della cancellata, inesistente sarebbe il nesso causale tra l’ipotizzato inadempimento e l’evento determinatosi.

Avverso tale decisione ricorre, dunque, il PM che, dopo avere criticato le risultanze della consulenza, richiamate dal Gup, ritenute frutto di superficialità, ha rilevato come la stessa fosse stata clamorosamente smentita dagli accertamenti svolti successivamente al deposito della relazione, che avrebbero evidenziato gravi carenze di controllo dei punti di ingresso e di uscita dal Centro, anche per l’assenza di un operatore addetto alla sorveglianza e di un sistema di allarme; carenze, peraltro, ben note, tanto da essere state segnalate. Sarebbe stato anche snaturato, a giudizio del PM, il concetto di posizione di garanzia ricoperto dall’imputata che, a prescindere dalle disposizioni del direttore sanitario, aveva certamente il dovere di assicurare, data la presenza nel Centro persone incapaci di badare a sè stesse, un adeguato monitoraggio delle uscite, rivelatosi invece carente e solo apparente. Era del resto nota, soggiunge il PM, la tendenza della M. di vagare senza sosta e senza cautele, cosi come erano noti, o avrebbero dovuto esserlo, precedenti fughe o tentativi di fughe della donna; aspetto che, già di per sè, avrebbe meritato adeguati approfondimenti dibattimentali.

Chiede, quindi, il PM l’accoglimento dell’impugnazione proposta, qualificata appello, alla stregua degli artt. 424 e segg., 593 e 605 cod. proc. pen., alla luce della pronuncia della Corte Costituzionale n. 26 del 2007, applicabile anche alle sentenze di proscioglimento posto che l’art. 593 c.p.p. disciplina, genericamente, le sentenze di proscioglimento nel cui "genus" si inserisce quella pronunciata dal giudice dell’udienza preliminare. Ulteriormente richiede lo stesso PM, nel caso dovesse ritenersi la vigenza dell’attuale art. 428 cod. proc. pen., che venga valutata la legittimità costituzionale di tale norma nella parte in cui non consente di proporre appello.

-2- Premesso che, con sentenza n. 242 del 2009, la Corte Costituzionale ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art 428 cod. proc. pen., come sostituito dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46, art. 4 nella parte in cui non consente al pubblico ministero di proporre appello avverso le sentenza di non luogo a procedere – sentenza che risolve i dubbi sul punto espressi dal ricorrente, osserva la Corte che il ricorso è fondato.

Come ha più volte affermato questa Corte, la sentenza di non luogo a procedere, ex art. 425 cod. proc. pen., ha natura prevalentemente processuale, e non di merito; essa non è diretta ad accertare la colpevolezza o l’innocenza dell’imputato, ma ha essenzialmente lo scopo di evitare che giungano alla fase del giudizio vicende in relazione alle quali emerga l’evidente infondatezza dell’accusa, allorchè vi sia in atti la prova dell’innocenza dell’imputato, ovvero l’insufficienza o la contraddittorietà degli elementi probatori acquisiti depongano per un giudizio prognostico negativo circa la loro idoneità a sostenere l’accusa in giudizio.

Il giudice dell’udienza preliminare è, in altri termini, chiamato, non ad accertare la colpevolezza o l’innocenza dell’imputato, bensì a formulare una diagnosi di sostenibilità dell’accusa, alla stregua del materiale probatorio raccolto, con specifico riferimento alla tesi che il PM chiede di sostenere in dibattimento. Solo ove detta tesi si presenti insostenibile ed insuperabile in dibattimento in ragione dell’evidente infondatezza della stessa, ovvero per l’insufficienza o contraddittorietà delle fonti di prova e per la loro inidoneità a subire concreti sviluppi nella sede dibattimentale, attraverso l’acquisizione di nuovi elementi probatori ovvero una possibile diversa valutazione del compendio probatorio già acquisito, legittimamente il giudice può emettere sentenza di proscioglimento dell’imputato.

Orbene, a tali principi non si è attenuto, nel caso di specie, il giudice del merito.

Egli, invero, non ha limitato il proprio intervento alla verifica della tenuta dell’accusa in dibattimento, ma si è spinto a valutazioni ultronee rispetto al compito che avrebbe dovuto assolvere, essendosi cimentato in valutazioni che sono di specifica competenza del giudice del dibattimento. Peraltro, attraverso un percorso argomentativo che non si qualifica per la coerenza e congruenza delle argomentazioni elaborate e che, anche sotto tale profilo, presta il fianco alle critiche mosse nell’atto d’impugnazione.

In particolare, sembra anzitutto affrettata, e comunque meritevole di approfondimento nella sede dibattimentale, la valutazione del ruolo ricoperto, all’interno della struttura, dalla O. (indicata quale coordinatrice responsabile del Centro polifunzionale), al fine di accertare se alla stessa competesse o meno di provvedere alla sicurezza dei ricoverati, e dunque di porre in essere le misure necessarie per evitare che gli stessi, anche in considerazione del tipo di patologie di cui risultavano affetti, potessero sfuggire al controllo e uscire all’esterno della struttura, mettendo a rischio la propria incolumità. Sotto tale profilo, il riferimento, nella sentenza impugnata – quale circostanza significativa in termini di difesa dell’imputata alla mancata segnalazione, da parte del direttore sanitario, di particolari esigenze di controllo nei confronti della M., si presenta non perspicuo se, come assume l’accusa, senza essere smentita, sul punto, dal Gup, alla stessa imputata spettasse di adottare le misure generali necessarie a garantire la sicurezza di quei particolari pazienti, la cui patologie imponevano l’esistenza ed il corretto funzionamento dei sistemi di controllo e delle vie di uscita al Centro, al fine di evitare che gli stessi potessero allontanarsi dalla struttura.

A tale proposito, ancora meritevole di approfondimenti dibattimentali è l’ipotesi, pure richiamata nella sentenza impugnata, che la M. fosse uscita all’esterno passando attraverso una deformazione della cancellata che recinge il Centro, alla luce dell’obbligo, incombente sul responsabile dello stesso, di assicurare l’insuperabilità del recinto. In proposito, il Gup ha anche sostenuto l’inesistenza del nesso causale tra l’ipotizzato inadempimento e l’evento determinatosi in termini, tuttavia, assolutamente generici, senza, cioè, indicare le ragioni di tale convincimento.

Sulle indicate tematiche, la sentenza impugnata ha del tutto sorvolato, ovvero si è espressa in maniera generica e, in ogni caso, secondo regole di giudizio tipiche del dibattimento, non della udienza preliminare.

La sentenza impugnata deve essere, quindi, annullata, con rinvio al Tribunale di Novara per l’ulteriore corso.
P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata con rinvio al Tribunale di Novara per l’ulteriore corso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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