Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 16-02-2011) 01-06-2011, n. 22207 Detenzione abusiva e omessa denuncia

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

-1- A.T. propone, per il tramite del difensore, ricorso per cassazione avverso l’ordinanza della Corte d’Appello di Milano, del 14 aprile 2010, con la quale è stata rigettata l’istanza di riparazione per l’ingiusta detenzione dallo stesso sofferta in quanto imputato del reato di cui alla L. n. 685 del 1975, art. 71 bis del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, commi 1, 2 e 3, per avere partecipato ad un’associazione a delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti. Secondo l’accusa, l’ A. aveva fornito al gruppo capeggiato da S.D., tra il (OMISSIS), date, rispettivamente, della scarcerazione e dell’uccisione dello stesso S., costante disponibilità per la custodia di ingenti somme di denaro derivanti da tale traffico.

Il quadro indiziario a carico dell’ A. era rappresentato dalle dichiarazioni di un collaboratore di giustizia che lo aveva indicato quale persona amica dello S., nel cui interesse custodiva ingenti somme di denaro, consegnategli anche dopo la morte di quest’ultimo; in particolare, sono stati indicati i proventi della vendita della villa e dell’autovettura dello S..

Dichiarazioni confermate da altra persona, che aveva indicato l’ A. quale cassiere del gruppo S. e tutore del figlio di costui, al quale egli faceva sovente elargizioni di denaro.

Da tale reato l’ A., dopo una iniziale condanna in primo grado inflittagli dalla corte d’assise di Palmi, è stato assolto dal Tribunale di Como – ritenuto dalla Corte d’assise d’appello di Reggio Calabria territorialmente competente – con sentenza irrevocabile del novembre 2007.

I giudici della riparazione hanno ritenuto che l’ A. avesse concorso a dare causa con colpa grave alla custodia cautelare subita, tale giudizio avendo dedotto dall’esame della sentenza assolutoria che aveva evidenziato, nella condotta dell’odierno ricorrente antecedente l’applicazione della misura cautelare, atteggiamenti ritenuti riconducibili ai presupposti ostativi all’accoglimento dell’istanza riparatoria, nei termini indicati dall’art. 314 cod. proc. pen..

Avverso tale decisione ricorre, dunque, l’ A. che, con unico motivo, denuncia violazione di legge e vizio di motivazione del provvedimento impugnato, laddove il giudice della riparazione ha ritenuto la sussistenza della colpa grave, ostativa al riconoscimento del diritto all’indennizzo, basandosi, secondo il ricorrente, su semplici supposizioni e comunque senza considerare il comportamento tenuto dall’istante nel periodo immediatamente successivo all’arresto.

Con memoria prodotta presso la cancelleria di questa Corte, l’Avvocatura Generale dello Stato, ritualmente costituitasi nell’interesse del Ministero dell’economia e delle finanze, ha chiesto dichiararsi inammissibile ovvero rigettarsi il ricorso.

-2- Il ricorso è fondato nei termini di seguito precisati.

L’art. 314 cod. proc. pen. prevede che chi abbia dato o concorso a dare causa, con dolo o colpa grave, alla custodia cautelare, non ha diritto al relativo indennizzo; il giudice della riparazione, quindi, può disconoscere il diritto e, di conseguenza, rigettare l’istanza, allorchè accerti che il richiedente ha tenuto una condotta, processuale o extraprocessuale, dolosa o gravemente colposa, che abbia avuto un’effettiva e concreta incidenza nella decisione del giudice di adottare la misura cautelare, ovvero di mantenerla. A tal fine, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, il giudice deve prendere in considerazione non solo la condotta precedente l’adozione del provvedimento restrittivo, ma anche quella successiva, sia pure, in quest’ultimo caso, con particolare cautela, dovendosi sempre avere rispetto per le strategie difensive che abbia ritenuto di adottare chi è stato ingiustamente privato della libertà personale.

Orbene, nel caso in esame, la corte territoriale si è diffusa nella ricostruzione della vicenda processuale che ha coinvolto l’ A. ed ha eseguito un’analisi corretta e coerente dei fatti, limitando, tuttavia, il proprio esame alla condotta tenuta del richiedente in epoca precedente l’adozione del provvedimento custodiale. Ha, quindi, la stessa corte in tale ottica evidenziato, richiamando quanto emergente dall’esame della documentazione acquisita, come dagli atti processuali fossero emersi frequenti, pregressi ed equivoci rapporti di natura economica tra l’odierno istante e personaggi coinvolti in gravi vicende delittuose, come lo S.; rapporti in apparenza inspiegabili, in quanto caratterizzati da ripetuti conferimenti di denaro da parte di quest’ultimo all’ A., legittimamente ritenuti significativi in tesi d’accusa in quanto interpretabili quali riscontri delle dichiarazioni del collaboratore di giustizia.

Rapporti che il giudice della riparazione ha coerentemente ritenuto indicativi di una condotta fortemente imprudente e negligente da parte dell’odierno ricorrente, disposto a ricevere ingenti somme di denaro da simili personaggi, nella quale sono stati riscontrati gli estremi della colpa grave, ostativa al diritto alla riparazione.

La stessa corte, tuttavia, che pure, come già rilevato, è stata attenta ed ha approfondito l’analisi della condotta dell’ A. precedente all’adozione del provvedimento cautelare, ha viceversa del tutto omesso di considerarne i comportamenti per il periodo successivo, come pure sarebbe stato necessario.

Ciò benchè l’odierno ricorrente avesse nella richiesta di indennizzo precisato come le ripetute istanze di scarcerazione e le relative argomentazioni di sostegno fossero state sempre respinte dall’autorità giudiziaria procedente con motivazioni che non avevano, a suo giudizio, tenuto conto delle giustificazioni addotte dall’imputato.

A tale proposito, gli stessi giudici della riparazione hanno dato atto nel loro provvedimento che l’ A. aveva ricordato di avere sempre tenuto, nel corso del procedimento, comportamento collaborativo, avendo indicato la natura dei rapporti intrattenuti con lo S. caratterizzati, tuttavia, solo da sentimenti di amicizia e di solidarietà, non anche da equivoci interessi. In tale ottica egli ha spiegato la custodia, dopo la morte dello S., di consistenti somme di denaro destinate al figlio minorenne, parte delle quali aveva erogato in favore dello stesso.

Comportamenti, giustificazioni, argomentazioni certo rilevanti ai fini della verifica della sussistenza del diritto all’indennizzo per il periodo successivo all’arresto, in relazione ai quali la corte territoriale ha omesso qualunque valutazione, essendosi limitata a concludere, apoditticamente, che la condotta segnalata aveva avuto efficacia sinergica non solo nella applicazione, ma anche nella protrazione dello stato detentivo. Affermazione che, proprio con riferimento al protrarsi dello stato di detenzione, si presenta inidonea a giustificare in termini negativi anche la condotta del ricorrente relativa al periodo successivo all’arresto.

Sotto tale profilo, del tutto assente si presenta la motivazione dell’ordinanza impugnata che deve essere, dunque, annullata, con rinvio, per nuovo esame sul punto, alla Corte d’Appello di Milano.
P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio alla Corte di appello di Milano.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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