Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 16-02-2011) 01-06-2011, n. 22206

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

-1- Con nota del 10 luglio 2009, il PM presso il Tribunale di Cagliari ha chiesto al locale Gip l’applicazione, nei confronti di Z.F. – in servizio presso la Struttura complessa di chirurgia generale, Centro trapianti di fegato e pancreas dell’azienda ospedaliere Brotzu di (OMISSIS) – della misura cautelare interdittiva del divieto temporaneo di esercitare l’attività medico-chirurgica – fatta eccezione per l’attività di trapianto ed espianto di organi – presso la predetta azienda ospedaliera o altra struttura sanitaria pubblica o privata, per la durata di due mesi. Lo Z., responsabile del reparto di chirurgia generale, è indagato, ex art. 589 cod. pen., per avere, in tesi d’accusa, in cooperazione con altri sanitari, cagionato per colpa la morte della paziente C.W.A.. Costei, ricoveratasi il (OMISSIS), sottoposta nella stessa giornata a TAC (che aveva evidenziato un quadro di occlusione intestinale, determinato da ispessimento di natura neoplastica delle pareti del tratto sigma-retto), operata l'(OMISSIS) successivo è deceduta qualche giorno dopo.

Richiesta respinta, con provvedimento del 2 marzo 2010, dal Gip il quale ha rilevato a) che il quadro indiziario, pur significativo, doveva essere ancora approfondito con riferimento alla rilevanza causale della condotta omissiva attribuita all’indagato ed alla riconducibilità della stessa alla violazione di regole cautelari generiche o specifiche; b) che non erano ravvisabili esigenze cautelari, posto che la pendenza di altre vicende giudiziarie a carico dell’indagato – segnalata a conferma delle esigenze di cautela- concernenti pretesi errori commessi dallo stesso nell’esecuzione di interventi chirurgici, non appariva significativa nei termini ritenuti dall’accusa in vista della diversità delle fattispecie in quelle sedi considerate rispetto a quella oggetto delle presenti indagini.

-2- Su appello proposto dal PM ex art. 310 cod. proc. pen., il Tribunale di Cagliari, con ordinanza del 21 aprile 2010, ha applicato allo Z. la misura interdittiva nei termini richiesti.

Diversamente da quanto sostenuto dal Gip, il tribunale ha ritenuto:

A) In punto di gravità indiziaria, che dal complesso indiziario acquisito nei confronti dell’indagato, già considerato significativo dallo stesso Gip, erano emersi gravi indizi della sussistenza degli elementi costitutivi del delitto contestato, tali da giustificare il richiesto provvedimento. In particolare, il tribunale ha ritenuto che il quadro clinico della paziente fosse già chiaro fin dalla data del ricovero ((OMISSIS)) ed indicava l’esigenza di un sollecito ricorso all’intervento operatorio, risolutivo per ambedue la patologie di cui la C. era affetta, che già avrebbe potuto essere eseguito il (OMISSIS) e che è stato invece eseguito con notevole ritardo ( (OMISSIS)), quando ormai le condizioni della C. si erano fortemente deteriorate. Lo Z., quale responsabile del reparto, avrebbe dovuto adottare le decisioni più opportune, anzitutto l’urgente esecuzione di una colonscopia, avrebbe dovuto controllare l’evolversi delle condizioni cliniche della paziente, disporre sollecitamente l’intervento operatorio che, se tempestivamente eseguito, avrebbe assicurato qualificate probabilità di sopravvivenza della paziente, anche in vista della giovane età e delle buone condizioni generali di salute della stessa.

B) In punto di esigenze di cautela, che le stesse potevano essere facilmente desunte: a) dall’estrema gravità dell’evento, consistente nella morte di una giovane donna; b) dai carichi penali pendenti per reati della stessa specie di quello considerato, tali dovendosi considerare quelli contestati in altri procedimenti, concernenti condotte colpose tenute dall’indagato nella esecuzione di interventi chirurgici; 3) dalla personalità dello stesso indagato, connotata, a giudizio del tribunale, da tratti di egocentrismo, superficialità ed irresponsabilità nella gestione clinica della C.; da un approccio negligente dello stesso nei confronti della paziente, ritenuto non un episodio isolato e casuale, destinato a non ripetersi, bensì espressione di un approccio sistematicamente incauto e deontologicamente scorretto verso i pazienti; in tale contesto, è stata ritenuta significativa anche la condotta processuale dell’indagato che, sottrattosi all’esame del tribunale, si è limitato a rendere dichiarazioni spontanee. Emergenze dalle quali è stato dedotto il pericolo di reiterazione di reati della stessa specie di quelli considerati, anche in vista del fatto che l’indagato ha mantenuto la posizione apicale all’interno del reparto di chirurgia, ove continua ad esercitare le funzioni di chirurgo.

Di qui l’applicazione della misura interdittiva sopra richiamata, seppur limitata all’esercizio dell’attività medico-chirurgica ordinaria e con esclusione dell’attività di trapianto e di espianto di organi.

-3- Avverso detta ordinanza propone ricorso per cassazione, per il tramite del difensore, lo Z., che deduce:

a) Nullità della consulenza tecnica disposta dal PM – ampiamente utilizzata dal giudicante-disposta ai sensi dell’art. 360 c.p.p. e conseguente vizio di motivazione. Censura il ricorrente l’esclusione dello Z. dal più rilevante atto istruttorio compiuto, benchè il contesto in cui la vicenda si è concretizzata e gli stessi quesiti rivolti ai consulenti già consentissero di individuare il dirigente del reparto quale soggetto coinvolto nelle indagini; tale estromissione avrebbe negativamente inciso sul diritto di difesa dell’indagato;

b) Vizio di motivazione in punto di sussistenza della gravità indiziaria, affermata dal tribunale, secondo il ricorrente, grazie ad una lettura errata ed incompleta di alcuni rilevanti dati probatori, quali la cartella clinica e l’impegno professionale del dott. Z., nonchè alla mancata considerazione di altri dati, quali i pareri espressi dal CT dell’indagato, del tutto ignorati dallo stesso tribunale, impegnato a valorizzare solo le conclusioni cui sono pervenuti i consulenti del PM;

c) Vizio di motivazione in punto di sussistenza di esigenze cautelari. A tale proposito, il ricorrente rileva, anzitutto, forti elementi di contraddittorietà nella decisione, oltre che nella stessa richiesta del PM, di interdire l’indagato dall’esercizio della professione medica limitatamente all’attività medico-chirurgica ordinaria e non anche a quella relativa all’espianto ed al trapianto di organi. Ritiene il ricorrente fortemente contraddittorio il provvedimento interdittivo laddove, da un lato, sono stati espressi giudizi pesantemente negativi sullo Z., sulla sua affidabilità, sulla sua diligenza professionale, dall’altro, è stato allo stesso consentito di svolgere le proprie mansioni nel settore più delicato dell’espianto e dell’impianto di organi. Quanto alla personalità dell’indagato, su cui è stato in buona parte costruito il negativo giudizio espresso dal tribunale, osserva il ricorrente che, contrariamente a quanto sostenuto nel provvedimento impugnato, lo Z. ha adempiuto ai propri compiti in maniera del tutto corretta, acquisendo dai suoi collaboratori notizie sull’andamento clinico della paziente, visitandola personalmente in talune occasioni, una delle quali poco prima di assentarsi per qualche giorno di ferie. Quanto ai carichi pendenti, il ricorrente osserva che, contrariamente a quanto sostenuto dal tribunale, uno dei due casi segnalati (caso M.) non aveva ancora avuto il vaglio del giudice, poichè il titolo del reato contestato non aveva richiesto il passaggio processuale dell’udienza preliminare, di guisa che la fissazione del giudizio è dipesa solo dall’iniziativa del PM procedente; nell’ambito di tale procedimento, inoltre, era stata espletata, in sede di incidente probatorio, una perizia che aveva escluso ogni responsabilità dello Z.. Mentre il secondo caso (episodio Me.) aveva segnalato nel Gip l’esigenza di procedere a perizia medico legale per accertare le cause della morte del paziente e le relative responsabilità, evidentemente ancora tutte da accertare. Anche il riferimento alla condotta processuale è ritenuto incongruo perchè non sarebbe stata considerata la condizione emotiva dell’indagato, nè il divieto di ricavare indici di pericolosità dalle scelte difensive dello stesso.

-4- Con memoria depositata presso la cancelleria di questa Corte il 6 ottobre 2010, il ricorrente ribadisce le censure già proposte, allegando varia documentazione.

Con successiva memoria, presentata il 7 ottobre 2010, il ricorrente propone motivi nuovi, allegando altra documentazione. Con il primo, ribadisce la nullità della consulenza medicolegale disposta dal PM ex art. 360 cod. proc. pen. e conseguente nullità dell’ordinanza impugnata, vizio di motivazione sul punto; con il secondo, eccepisce inosservanza e violazione dell’art. 289 c.p.p., comma 2, artt. 64 e 65 cod. proc. pen. in relazione al mancato rispetto, da parte del giudice chiamato a decidere sull’appello del PM, delle disposizioni di cui alle citate norme.

All’odierna udienza il difensore dello Z. ha prodotto ulteriori note difensive.

-5- Il ricorso è fondato nei termini di seguito esposti.

Occorre, anzitutto, rilevare l’infondatezza dei motivi nuovi proposti con la memoria difensiva depositata il 7 ottobre 2010, con la quale è stata eccepita la violazione degli artt. 64 e 65 cod. proc. pen. in relazione all’asserito mancato interrogatorio dello Z..

In proposito, si osserva, da un lato, che il rispetto formale delle norme sopra richiamate è da questa Corte ritenuto non essenziale, nel senso che non è richiesta l’osservanza tassativa delle modalità di cui all’art. 65 cod. proc. pen., essendo sufficiente che l’imputato abbia avuto contezza dei fatti (Cass. n. 205/07);

dall’altro, che è stato lo stesso imputato, come si sostiene nella medesima memoria, a dichiarare di non volere rispondere al tribunale, in tal guisa dovendosi ritenere adempiuto dal giudice il dovere di informazione di cui alla normativa sopra indicata. E’ stato, invero, in proposito condivisibilmente affermato da questa Corte che "ove la persona che deve rendere l’interrogatorio dichiari in via preliminare di non voler rispondere alle domande che gli saranno rivolte, non sussiste l’obbligo del giudice di procedere alla contestazione del fatto" (Cass. n. 9338/01).

Per il resto, osserva la Corte quanto segue.

A) Infondato è il primo motivo di ricorso.

In realtà, se è vero che nel caso di accertamenti tecnici non ripetibili l’art. 360 c.p.p. (richiamato, per l’autopsia, dall’art. 116 disp. att. c.p.p.) prescrive che il PM provveda ad avvisare, senza ritardo, la persona indagata, oltre che la persona offesa ed i difensori, è altresì vero che l’applicazione di tali disposizioni necessariamente presuppone che la persona sottoposta ad indagini, cioè la persona alla quale il PM ha attribuito il reato, sia stata individuata (da ultimo, Cass. n. 20591/10). Se è pur vero, d’altra parte, che ai fini di tale individuazione non è necessaria la formale iscrizione del soggetto nel registro degli indagati, occorre, tuttavia, che la qualità di indagato emerga dagli atti alla stregua di specifici e concreti elementi indizianti, non essendo sufficienti generici sospetti.

Orbene, nel caso di specie, al momento del conferimento, da parte del PM, dell’incarico ai consulenti, nulla indicava lo Z. come soggetto in qualche modo coinvolto nella vicenda; nel senso non erano ancora emersi a suo carico indizi di sorta. Nella stessa denuncia (allegata dal ricorrente alla memoria del 7.10.10) sporta dal marito della C., dopo il decesso della stessa, non si è fatto riferimento alcuno allo Z., presente in ospedale fino alla mattina del (OMISSIS) e poi assente per un periodo di ferie, bensì ai medici che avevano preso parte all’intervento operatorio del (OMISSIS) ed a quelli che avevano seguito la fase post operatoria, per cui le indagini si sono inizialmente giustamente dirette nei confronti di costoro. Ad un primo esame dei fatti, cioè prima del conferimento del predetto incarico, giustamente i dubbi ed i sospetti si sono incentrati sui medici che avevano eseguito l’intervento operatorio, ad una complicanza ad esso conseguente essendo stato attribuito il decesso della paziente. Solo dopo il deposito della consulenza il PM ha ravvisato indizi di reità a carico dello Z., ed ha quindi correttamente provveduto alla nomina del difensore di fiducia e ad avvertirlo di tale deposito.

Evidente, quindi, è l’infondatezza della censura.

B) Manifestamente infondate sono le censure proposte, con il secondo motivo di ricorso, in tema di gravità indiziaria. In realtà, insussistente è il dedotto vizio motivazionale, laddove si consideri l’attenta ed analitica ricostruzione della vicenda da parte del tribunale, la piena sintonia della stessa rispetto alle acquisizioni probatorie, la coerenza delle argomentazioni poste a fondamento della decisione contestata.

Correttamente richiamando le valutazioni espresse e le conclusioni rassegnate dai consulenti del PM, i giudicanti hanno ritenuto che le indagini svolte abbiano evidenziato un quadro indiziario significativo, pur nei limiti propri del giudizio cautelare, in ordine al delitto colposo ipotizzato anche nei confronti dello Z. – responsabile del reparto – in relazione al ritardo con il quale erano stati disposti ed eseguiti i necessari approfondimenti diagnostici della malattia accusata dalla paziente ed all’ulteriore e conseguente ritardo con il quale è stato deciso il ricorso all’intervento operatorio. Intervento che, se tempestivamente eseguito, avrebbe avuto effetti positivi e risolutivi per le patologie di cui era affetta la C., donna ancor giovane ed in buone condizioni generali di salute.

Alle considerazioni svolte dal tribunale, il ricorrente oppone, peraltro, osservazioni in punto di fatto, non deducibili nella sede di legittimità, laddove, ad esempio, si dilunga nell’esame dei contenuti della cartella clinica reclamando, a dimostrazione della corretta gestione della paziente, presunti miglioramenti delle condizioni della stessa nelle giornate del (OMISSIS), ed ancora, laddove, per allontanare da sè ogni responsabilità, segnala la sua partenza per le ferie nella mattinata del (OMISSIS).

Argomentazioni svolte, peraltro, senza considerare che l’addebito mosso ai medici del reparto è di avere colpevolmente ritardato l’acquisizione dei risultati degli approfondimenti diagnostici indispensabili per accertare la natura delle patologie di cui soffriva la C. che, secondo quanto accertato in sede di consulenza medico-legale, fin dal (OMISSIS) presentava segni evidenti dell’occlusione intestinale che già allora imponeva il ricorso all’intervento chirurgico. Urgenza e necessità certamente indipendenti da eventuali occasionali miglioramenti delle condizioni generali di salute della paziente e dalla assenza per ferie dell’odierno ricorrente, il quale fino alle ore 12 del 6 (OMISSIS) si trovava in ospedale, aveva in carico l’ammalata e ne aveva, quindi, la responsabilità.

Anche le critiche svolte alle conclusioni alle quali sono pervenuti i consulenti del PM si pongono nel novero delle considerazioni di merito che non intaccano la sostanza delle accuse rivolte al dirigente del reparto, incentrate sul colpevole ritardo con il quale sono state diagnosticate le patologie della C., che ha reso l’intervento chirurgico, tardivamente eseguito, a rischio a causa delle deteriorate condizioni di salute della paziente.

C) Fondato è, viceversa, il terzo motivo di ricorso, con il quale il ricorrente contesta la sussistenza di esigenze di cautela, e dunque l’applicazione della misura interdittiva del divieto di esercitare la professione medica per il periodo di due mesi, limitatamente all’attività medico-chirurgica ordinaria e con esclusione di quella relativa all’espianto ed all’impianto di organi.

La decisione impugnata, in realtà, offre spazio alle censure proposte in termini di incoerenza e di manifesta illogicità della motivazione del provvedimento impugnato.

Appare anzitutto sorprendente, perchè contraddittoria e manifestamente illogica, la decisione – e la stessa richiesta del PM- di applicare la misura in questione alla sola attività chirurgica ordinaria. Incongruo sembra sostenere la esistenza di esigenze cautelari con riguardo ad una sola parte dell’attività medico chirurgica svolta dallo Z., quella meno rilevante sotto il profilo scientifico e professionale, escludendo quella più significativa, riguardante le attività di espianto e di impianto di organi. Sembra legittimo chiedersi perchè le circostanze dalle quali sono state desunte le esigenze di cautela e le forti critiche rivolte al sanitario per "l’approccio negligente" tenuto nei confronti della C., approccio considerato "sistematicamente incauto e deontologicamente scorretto verso i pazienti", non siano state ritenute estensibili anche all’attività esclusa dalla misura interdittiva, benchè la stessa fosse ancor più rilevante sotto il profilo scientifico e coinvolgente dal punto di vista umano. In proposito, il tribunale, oltre a non avere chiarito l’origine di giudizi così trancianti, sotto l’aspetto personale ed umano, espressi nei confronti dello Z., nulla ha rilevato circa la contraddittorietà di fondo della stessa richiesta di applicazione della misura interdittiva, essendosi limitato ad osservare che la scelta del PM non poteva, in quella sede, esser posta in discussione.

Affermazione, pur formalmente corretta, che sembra adombrare una non condivisione, per difetto, di tale scelta, che tuttavia non esimeva il giudicante dal porsi il tema della coerenza interna della richiesta del PM, e dunque dello stesso provvedimento adottato.

A prescindere da tali considerazioni, rileva la Corte che i giudici del merito hanno desunto la sussistenza delle esigenze di cautela da tre circostanze: a) "dall’innegabile estrema gravità dell’evento consistente nella morte di una giovane donna", b) "dai carichi pendenti per reati della stessa specie di quello per cui si procede" -il riferimento è a due procedimenti nell’ambito dei quali sono state elevate, nei confronti dello Z., imputazioni ex art. 590 c.p. (per le gravi lesioni riportate da M.E.) e art. 589 cod. pen. (per il decesso del paziente Me.), c) "dalla personalità dell’indagato".

Orbene, non sembra a questa Corte che l’iter argomentativo tracciato dal giudice del merito presenti i necessari caratteri della coerenza e della logicità ma che, al contrario, esso evidenzi i dedotti vizi motivazionali ed un’errata applicazione dell’art. 274 cod. proc. pen.. a) Il richiamo alla "estrema gravità dell’evento" non si presenta significativo, nei termini intesi dal tribunale, nel senso che, pur essendo la dedotta gravità indiscutibile per la perdita di una vita umana (giovane o meno giovane che sia), essa si presenta necessariamente in ogni vicenda medica nella quale si discute della morte del paziente. A seguire il ragionamento del tribunale, dovrebbe disporsi la misura interdittiva in ogni vicenda del genere, laddove, eventualmente, essa (o altre misure) potrebbe giustificarsi non per la gravità dell’evento – scontata, bensì per il grado della colpa, per la macroscopicità della violazione di regole di condotta, generica o specifica; circostanze, tuttavia, dallo stesso tribunale non considerate. b) Scarsamente significativo è anche il richiamo ai carichi pendenti dell’indagato, non solo per l’equivocità, in sè, del riferimento, ma anche per l’esito di uno dei due procedimenti ai quali si è accennato (caso M.), conclusosi con l’assoluzione dell’imputato, secondo quanto sostenuto dalla difesa dello Z., che ha allegato la relativa sentenza, nonchè per la fase nella quale ancora si trova il secondo (caso Me.) che registra l’esecuzione, in sede di incidente probatorio, di una perizia medico legale (diretta ad accertare le cause della morte del paziente ed eventuali responsabilità); perizia che, sostiene il ricorrente, sarebbe stata recentemente depositata e che avrebbe escluso ogni responsabilità dello Z.. c) Di nessun rilievo, infine, è il riferimento alla personalità dell’imputato, nei termini rilevati nel provvedimento impugnato, per la genericità dei giudizi espressi, come già sopra accennato, senza giustificarne l’origine. Mentre il riferimento alla strategia processuale si presenta improprio, essendo la decisione dell’indagato, di rendere solo dichiarazioni spontanee, oltre che indiscutibilmente legittima, non rilevabile quale elemento di riscontro della sussistenza di esigenze di cautela.

Da quanto sopra osservato discende che indebitamente il tribunale ha tratto, dalle citate circostanze, una propensione dello Z. alla reiterazione di condotte colpose analoghe a quelle contestate nel presente procedimento.

L’errata interpretazione della norma di riferimento comporta l’annullamento senza rinvio dell’ordinanza impugnata.
P.Q.M.

Annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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