Cons. Stato Sez. VI, Sent., 07-06-2011, n. 3428

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con la decisione in epigrafe appellata il Tribunale amministrativo regionale dell’ Abruzzo – Sede di l’Aquila- ha deciso, previa riunione, sei distinti ricorsi proposti avverso le deliberazioni del Consiglio Comunale di Giulianova n. 150 del 07/11/2007 (di approvazione del piano demaniale marittimo comunale) n. 15 del 24.2.2006 (di adozione del medesimo) e n. 32 del 26.2.2007 (contenente le controdeduzioni alle osservazioni presentate dai privati titolari di concessione), nonché gli atti conseguenti destinati ai concessionari.

Le appellanti associazioni di categoria ed i titolari di concessioni erano insorti avverso tali atti ed avevano premesso di avere presentato osservazioni con proposte di modifiche avverso la deliberazione consiliare 24 febbraio 2006 n. 15 di adozione del piano; con la deliberazione 26 febbraio 2007 n. 32 la maggior parte delle suddette osservazioni era stata respinta e l’amministrazione si era limitata a disporre (con riguardo ad uno degli aspetti più contestati, relativo alla scelta dell’amministrazione di procedere alla riduzione del 20% delle concessioni con fronte mare superiore a 70 metri lineari) che l’estensione residua non potesse comunque scendere al di sotto di 70 metri.

La deliberazione approvativa n. 150 del 2007 seguiva uno schema conseguente alla reiezione delle predette osservazioni.

Secondo le originarie ricorrenti sussistevano vizi di forma (le osservazioni erano state respinte in modo sbrigativo e laconico, senza alcuna considerazione di merito così illegittimamente svilendosi la fase partecipativa prevista dalla legge regionale urbanistica) e di merito (lo strumento in questione avrebbe potuto disporre solo per il futuro assetto del territorio, mentre non vi sarebbe stata la possibilità di stravolgere la situazione in atto, determinando il ridimensionamento delle concessioni in corso e, addirittura, la parziale demolizione delle strutture esistenti).

Era stato altresì sottolineato che la salvezza delle situazioni esistenti sarebbe stata tra l’altro, espressamente imposta dai criteri generali del piano regionale (art. 5, commi 1 e 13) e che l’avversato piano comunale avrebbe invaso aspetti sottratti alla potestà pianificatoria (come ad esempio quello relativo al posizionamento e dimensionamento degli ombrelloni: artt. 6 e 10 NTA) in quanto rimessi alla libertà delle scelte imprenditoriali.

La riduzione del 20% delle concessioni estese sopra i 70 metri lineari (sia pure con il correttivo successivamente introdotto dell’impossibilità di decrementarle al di sotto di tale limite) era illegittima e, nel merito, immotivata ed illogica: veniva altresì censurato l’art. 10.2 NTA, che non prevedeva la conservazione dell’esistente.

Ciò perché l’arenile di Giulianova comprendeva già una quota di spiagge libere abbondantemente superiore alla misura minima (20%) imposta dal piano regionale; per altro verso, mentre il piano comunale prevedeva la riduzione di 13 delle concessioni esistenti, contemporaneamente contemplava ulteriori 8/9 concessioni, ricavando il relativo spazio dalle spiagge libere, con fronti talmente ridotti da essere insufficienti per realizzare servizi adeguati ed attrarre clientela.

Ne discendeva che non era ravvisabile alcuna esigenza di ridurre le concessioni esistenti: la volontà di incrementare i tratti soggetti alla libera fruizione avrebbe potuto essere semmai perseguita riducendo il numero delle nuove concessioni e dando a quelle residue un fronte mare di estensione adeguata; la creazione di tre ridotte strisce destinate a spiaggia libera -di per sé inidonee all’insediamento dei servizi minimi- avrebbe potuto essere più adeguatamente perseguita attraverso l’individuazione di un’unica area accorpata.

Si sottolineava altresì che il piano comunale era incorso in un grossolano errore di interpretazione dell’art. 1, 5° comma, del piano regionale (che imponeva una riserva di spiagge libere pari ad almeno il 20% "delle spiagge in concessione"): il Comune, aveva infatti calcolato tale riserva su tutto il litorale.

Se avesse invece correttamente inteso la portata della norma (e quindi effettuato il calcolo sulla sola parte data in concessione) si sarebbe così avveduto che l’ampia dotazione delle spiagge libere esistenti era di per sé in grado di soddisfare lo standard minimo.

La scelta di ricavare gli ulteriori spazi di libera fruizione esclusivamente attraverso la riduzione delle concessioni superiori ai 70 metri(anziché procedere ad una riduzione, fissa o proporzionale, di tutte le concessioni esistenti) era del tutto iniqua; il detto piano interferiva piano sulle scelte imprenditoriali allorché pretendeva addirittura di stabilire misure e distanze degli ombrelloni.

Le censure formali e sostanziali dedotte dalle odierne appellanti sono state in parte dichiarate inammissibili (in quanto dirette a censurare valutazioni di merito) ed in parte respinte dal Tribunale amministrativo regionale, che le ha analiticamente prese in esame previa illustrazione delle disposizioni di legge che regolamentavano la materia.

In particolare, è stato preliminarmente evidenziato dal primo giudice che il piano impugnato era stato assunto in attuazione del Piano regionale di utilizzazione delle aree del demanio marittimo con finalità turistiche e ricreative approvato con deliberazione del Consiglio regionale dell’Abruzzo 9 luglio 2004, n.141/1 e contenente i criteri cui i singoli comuni avrebbero dovuto attenersi nella redazione dei piani comunali, ed era stato approvato seguendo l’ordinario iter procedimentale previsto dalla legislazione vigente nella regione Abruzzo per la formazione degli strumenti urbanistici comunali (L.R. Abruzzo 12 aprile 1983, n.18, così come integrata dall’art. 43 della L.R. Abruzzo 3 marzo 1999, n.11).

Il Tribunale amministrativo ha rilevato l’infondatezza della pretesa di fondo sottesa ai gravami, secondo cui il "diritto di insistenza" delle vantato dalle odierne appellanti (peraltro fondato su una specifica disposizione del piano regionale -art. 5, 1° comma), avrebbe precluso ogni possibilità di ridimensionare l’estensione delle concessioni in atto.

La Legge 8 luglio 2003, n.172, art. 13 aveva introdotto il principio del rinnovo automatico delle concessioni demaniali marittime in atto ma ciò non poteva rendere del tutto vincolato il rinnovo e tendenzialmente perenni le concessioni come erroneamente preteso.

Al contrario, al titolare di concessione demaniale marittima doveva essere riconosciuta la legittima aspettativa al rinnovo: ma non poteva dubitarsi che tale "rinnovo", lungi dal configurarsi come incondizionato ed automatico, fosse assoggettabile alla permanente verifica dell’interesse pubblico a che il demanio marittimo venisse utilizzato nelle medesime forme e con la medesima intensità ed entità oggetto della precedente concessione.

Sussisteva il persistente potere dell’Amministrazione di regolare l’uso del territorio marittimo e costiero e ciò poteva avere l’effetto di "conformare" la consistenza della posizione giuridica di vantaggio attribuita.

L’amministrazione aveva dato ampio conto delle sue scelte a partire dalla relazione introduttiva e le osservazioni proposte dalle concessionarie erano state esaminate proprio alla luce della premessa maggiore sottesa alla scelta conformativa (l’arenile di Giulianova risultava pressoché interamente affidato in concessione e vistosamente carente di spiagge libere che, invece, dovevano essere incrementate).

L’impostazione fondamentale del piano (diretta a recuperare spazi per spiagge libere attraverso la revoca parziale delle concessioni di più ampia estensione – vale a dire superiore a quella massima di m. 50 fissata dal piano regionale) era coerente con detta premessa.

La dotazione di spiagge libere nella misure del 20% di quelle date in concessione era una misura minima: ben avrebbe potuto il Comune porsi l’obiettivo di dotarsi di una superficie maggiore.

Ne discendeva che il lamentato errore di computo (per cui tale percentuale minima era stata calcolata sull’intera estensione del litorale anziché sul totale delle spiagge oggetto di concessione) doveva considerarsi irrilevante: la circostanza che la percentuale che ne era derivata fosse alla fine superiore a quella minima imposta in sede regionale non rivestiva comunque portata viziante.

Privo di vizi logici e tutt’altro che iniquo è apparso al primo giudice l’intento dell’amministrazione di operare il recupero incidendo sulle concessioni più estese, anziché operare un taglio generalizzato che coinvolgesse anche situazioni assai meno consistenti e del pari non illogica è sembrata la scelta di ridislocare le spiagge libere esistenti assicurando una dotazione adeguata delle medesime nella zona centrale del litorale.

Né la previsione di nuove concessioni contraddiceva la dichiarata volontà di creare spiagge libere.

Le restanti censure involgevano scelte di merito (quale quella in ordine alla possibilità di creare una sola zona libera anziché una pluralità di minore estensione) e dovevano essere dichiarate inammissibili; del pari inammissibili erano i motivi volti ad avversare le disposizioni dettagliate del posizionamento degli ombrelloni e gli standard dei medesimi nonché quelli sulla mancanza di norme che assicurassero la conservazione dell’esistente in quanto proposti in carenza di atti applicativi (questi ultimi non ancora emessi dal Comune).

Avverso la sentenza in epigrafe le originarie ricorrenti rimaste soccombenti hanno proposto un articolato appello evidenziando che sia la deliberazione consiliare 24 febbraio 2006 n. 15 di adozione del piano che la deliberazione 26 febbraio 2007 n. 32 di reiezione delle osservazioni proposte dalle ditte interessate avevano mantenuta inalterata la scelta restrittiva del’amministrazione di ridurre del 20% le concessioni con fronte mare superiore a 70 metri lineari, stabilendo unicamente il modesto correttivo che l’estensione residua delle medesime non potesse essere inferiore a settanta metri: la deliberazione del Consiglio Comunale di Giulianova n. 150 del 07/11/2007 di definitiva approvazione del piano aveva mutuato detta prescrizione.

Esse hanno riproposto tutti i motivi di doglianza contenuti nei riuniti ricorsi di primo grado, ed hanno in proposito richiamato la disposizione di cui all’art. 10 della legge n. 88 del 2001 affermando che il rinnovo automatico sessennale ivi previsto doveva intendersi far riferimento (non soltanto al dato temporale, bensì anche) agli stessi termini e condizioni della concessione originariamente assentita (comprensiva, quindi, delle dimensioni della medesima).

L’art. 5 del Piano Demaniale Marittimo Regionale di cui alla deliberazione del Consiglio Regionale n. 141/1 del 29 luglio 2004 – cui lo strumento regolatorio comunale impugnato avrebbe dovuto conformarsi- faceva salvi i diritti quesiti dei concessionari, stabilendo unicamente una riserva del 20% delle spiagge in concessione, da destinare alla libera balneazione.

Al contrario, le concessioni esistenti erano state ridotte della indicata percentuale; era stato altresì obliato che il calcolo della indicata percentuale non dovesse fare riferimento al 20% complessivo del litorale (e quindi alla superficie totale delle spiagge destinate alla balneazione).

Al contrario dall’operato dell’amministrazione comunale era discesa una situazione per cui la percentuale di spiaggia libera era pari al 42,63% del litorale complessivo.

Anche le prescrizioni di dettaglio (divieto di posizionamento delle "palme" e dei tendoni familiari) avevano natura immediatamente cogente: erroneamente si era dichiarata la inammissibilità dei gravami volti a censurare tali profili in quanto non erano stati ancora emanati gli atti applicativi.

Al contrario, tali inammissibili ed illegittime prescrizioni contenute nel piano comunale costituivano prova tangibile dell’illegittimità complessiva del medesimo (che, del pari, era errato in punto di fatto, essendosi fondato su cartografie non esatte né aggiornate, tanto che era in corso di avvio un procedimento di accertamento in contraddittorio della consistenza delle concessioni demaniali in atto).

L’appellata amministrazione comunale ha depositato articolati scritti difensivi chiedendo la reiezione dell’appello in quanto infondato nel merito.

Ha in via preliminare sostenuto la carenza di legittimazione a ricorrere in capo alle due associazioni categoriali appellanti (posto che esse non agivano a tutela della totalità degli iscritti) ed ha rammentato che le singole concessioni che costituivano il presupposto dei ricorsi promossi dalle ditte asseritamente incise erano scadute in data 31 dicembre 2007 (antecedentemente, quindi, alla operatività dello strumento regolatorio impugnato).

Ha inoltre sottolineato la situazione di estremo favore in cui si sono venute a trovare le appellanti in quanto esse avevano conservato le concessioni in passato assentite (con la sola modesta riduzione del frontemare); l’amministrazione comunale aveva infatti fatto salve le precedenti e già scadute concessioni sebbene tale procedura di sostanziale rinnovo automatico potesse sollevare dubbi in quanto non scaturente da processi di valutazione comparativa a natura pareevidenziale.

Era paradossale che le ditte concessionarie (e le rispettive associazioni sindacali) sebbene destinatarie di un trattamento di estremo favore fossero insorte a cagione della circostanza che la dimensione spaziale delle concessioni era stata -in misura spazialmente modesta- ridotta.

Alla camera di consiglio del 10 luglio fissata per l’esame dell’istanza cautelare di sospensione della esecutività della sentenza appellata la delibazione sull’istanza cautelare è stata rinviata al merito.

Alla odierna pubblica udienza del 12 aprile 2011 la causa è stata posta in decisione.
Motivi della decisione

1.L’appello è infondato e merita la reiezione.

1.1. La infondatezza delle censure di merito articolate dalle appellanti consente di prescindere dall’esame delle eccezioni formulate dall’appellata amministrazione comunale e volte a sostenere la carenza di legittimazione processuale delle associazioni categoriali e di carenza dell’interesse a ricorrere in capo ai titolari di concessione.

2. Deve in primo luogo premettersi – il che costituirà premessa maggiore dell’iter motivazionale seguito dal Collegio- che il codice della navigazione demanda alla ampia discrezionalità dell’amministrazione la verifica del ricorrere della opportunità di concedere le aree demaniali marittime, nel presupposto che ciò risponda ad un più rilevante interesse pubblico (si veda in proposito l’art. 37 comma I: "Nel caso di più domande di concessione, è preferito il richiedente che offra maggiori garanzie di proficua utilizzazione della concessione e si proponga di avvalersi di questa per un uso che, a giudizio dell’amministrazione, risponda ad un più rilevante interesse pubblico.").

Appare importante rammentare che il privato istante non vanta una posizione giuridica qualificata laddove l’amministrazione non ritenga di volere concedere l’area.

Ed a tale valutazione l’amministrazione può pervenire in svariate ipotesi (ed anche laddove siano presentate una pluralità di domande): esemplificativamente, allorchè nessuno degli istanti offra le garanzie di affidabilità soggettiva che costituiscono presupposto per l’affidamento del bene, ovvero, a monte, laddove ritenga che l’arenile debba essere integralmente destinato a spiaggia libera.

La "necessità di una adeguata istruttoria amministrativa e di motivazione delle ragioni di preferenze, in modo da assicurare la trasparenza e l’imparzialità del procedimento di comparazione di tutti gli istanti."(ex multis Consiglio Stato, sez. VI, 16 novembre 2000, n. 6144) non implica affatto che l’affidamento di porzioni dell’arenile in concessione costituisca unico ed inevitabile approdo cui debba giungere l’amministrazione.

3. Tale punto di partenza trova una significativa conferma nella legislazione successiva al codice della navigazione.

La previsione contenuta nel comma II dell’art. 1 del D.L. 5 ottobre 1993, n. 400 come sostituito dall’articolo 10, comma 1, della legge 16 marzo 2001, n. 88 e successivamente modificato dall’articolo 13, comma 2, della legge 8 luglio 2003, n. 172

("Le concessioni di cui al comma 1, indipendentemente dalla natura o dal tipo degli impianti previsti per lo svolgimento delle attività, hanno durata di sei anni. Alla scadenza si rinnovano automaticamente per altri sei anni e così successivamente ad ogni scadenza, fatto salvo il secondo comma dell’articolo 42 del codice della navigazione".") fa espressamente salvo il potere revocatorio di cui all’art. 42 comma II del codice della navigazione

Quest’ultima disposizione così recita:

Le concessioni di durata non superiore al quadriennio e che non importino impianti di difficile sgombero sono revocabili in tutto o in parte a giudizio discrezionale dell’amministrazione marittima.

Le concessioni di durata superiore al quadriennio o che comunque importino impianti di difficile sgombero sono revocabili per specifici motivi inerenti al pubblico uso del mare o per altre ragioni di pubblico interesse, a giudizio discrezionale dell’amministrazione marittima.

La revoca non dà diritto a indennizzo. Nel caso di revoca parziale si fa luogo ad un’adeguata riduzione del canone, salva la facoltà prevista dal primo comma dell’articolo 44.

Nelle concessioni che hanno dato luogo a costruzione di opere stabili l’amministrazione marittima, salvo che non sia diversamente stabilito, è tenuta a corrispondere un indennizzo pari al rimborso di tante quote parti del costo delle opere quanti sono gli anni mancanti al termine di scadenza fissato.

In ogni caso l’indennizzo non può essere superiore al valore delle opere al momento della revoca, detratto l’ammontare degli effettuati ammortamenti.".

Per pacifica giurisprudenza peraltro anche nel caso in cui la concessione sia assistita dalla più alta garanzia di stabilità (vedasi comma IV dell’articolo citato) non si dubita della circostanza per cui essa resta soggetta alla potestà revocatoria del concedente (si veda Consiglio Stato, sez. VI, 06 luglio 2000, n. 3775, in tema di limiti all’indennizzo in caso di revoca anticipata)

4. Non v’è dubbio pertanto che la determinazione ampliativa dell’amministrazione sia suscettibile di ampia discrezionalità in punto di revoca, seppur "limitata", quanto agli scopi da perseguire in relazione a "specifici motivi inerenti al pubblico uso del mare o per altre ragioni di pubblico interesse".

E’ altresì agevole per l’interprete rilevare che l’ultima parte del citato comma amplia notevolmente il perimetro della statuizione revocatoria, laddove esso fa riferimento anche ad "altre ragioni di pubblico interesse".

4.1. La pretesa delle appellanti alla intangibilà nell’an dei titoli concessori ad esse rilasciati non trova conferma normativa a livello sistematico. A fortiori, come si dimostrerà di seguito,neppure può ravvisarsi una asserita intangibilità ed immutabilità dei titoli concessori con riguardo alla ampiezza dei poteri attributi al concessionario, l’estensione dell’area, etc.

5. Comprova dell’assenza di alcuna previsione di intangibilità si rinviene nella condivisibile interpretazione della giurisprudenza laddove questa ha osservato che l’articolo 18 del regolamento della navigazione marittima stabilisce l’obbligo di pubblicazione delle domande di concessione di particolare importanza per l’entità e lo scopo, senza fare alcuna distinzione tra domande di concessione originarie e domande di rinnovo di concessione già scadute o in scadenza (Cons. Stato, sez. VI, 30 settembre 2010, n. 7239).

Peraltro, come ritenuto da una diffusa e consolidata giurisprudenza del Consiglio di Stato che è sufficiente in questa sede richiamare (sez. VI, 25 gennaio 2005, n. 168; sez. VI, 30 gennaio 2007, n. 362), l’obbligo di dare corpo a forme idonee di pubblicità deriva in via diretta dai principi del Trattato dell’Unione Europea, direttamente applicabili a prescindere dalla ricorrenza di specifiche norme comunitarie o interne, in guisa da tenere in non cale disposizioni interne di segno opposto.

‘E noto, invero, che "l’indifferenza comunitaria al nomen della fattispecie fa sì che la sua sottoposizione ai principi di evidenza trovi il suo presupposto sufficiente nella circostanza che con la concessione di un’area demaniale marittima si fornisce un’occasione di guadagno a soggetti operanti sul mercato, così da imporre una procedura competitiva ispirata ai principi di trasparenza e non discriminazione" (Cons. Stato, sez. VI, 17 febbraio 2009, n. 902).

Del pari, appare non inopportuno rammentare che con la decisione n. 6477 del 2010 questa Sezione del Consiglio di Stato, pronunciandosi proprio su due ricorsi involgenti la legittimità della deliberazione del Consiglio Comunale di Giulianova n. 150 del 07/11/2007 ha avuto modo di precisare che " a proposito del c.d. diritto di insistenza – conferito dall’art. 37 cod. nav. in favore del titolare della concessione demaniale marittima in scadenza, in occasione del suo rinnovo – che quel diritto non può essere inteso come meccanismo capace di escludere ogni confronto concorrenziale tra più istanze, ma occorre aver riguardo ai principi comunitari che impongono gare pubbliche ogni volta che si debbano affidare commesse o beni pubblici di rilevante interesse economico; a detti principi fondamentali derivanti dalla normativa comunitaria (libertà di stabilimento, di libera prestazione di servizi, par condicio, imparzialità e trasparenza) non può sottrarsi la materia delle concessioni in esame.

In senso contrario non può valere l’argomento testuale tratto da un’acritica lettura del secondo comma dell’art. 01 del d.l. n. 400 del 1993, convertito nella legge n. 494 del 1993 (introdotto dall’art. 10, comma 1, della legge n. 88 del 2001), secondo il quale le concessioni demaniali destinate alla gestione di stabilimenti balneari hanno durata di 6 anni e alla scadenza si rinnovano automaticamente per altri sei anni, perché tale disposizione va ora letta alla luce del principio concorrenziale enunciato dall’art. 37 del cod. nav. rinvigorito dalla implementazione nel nostro sistema dei richiamati precetti di fonte comunitaria".

6. L’insieme delle disposizioni richiamate, e dei condivisibili arresti giurisprudenziali riportati, induce a concordare con le valutazioni in ultimo espresse dal Comune di Giulianova con la memoria datata 10 marzo 2011, secondo cui il provvedimento gravato non ha certo espresso un disfavore nei confronti dei precedenti concessionari ma, anzi, in qualche misura ne ha protetto le aspettative in modo superiore a quello prevedibile.

6.1. La tendenziale stabilità del provvedimento concessorio, poi, non priva certo l’amministrazione del potere regolatorio, conformativo del territorio, e programmatorio.

6.2. Vanno pertanto decisamente respinte tutte le doglianze volte a postulare uno straripamento di potere nel caso in oggetto: ed al contempo deve essere disattesa la tesi fondata su una immutabilità del titolo concessorio, di guisa che esso non potrebbe essere motivatamente ridotto, per soddisfare pubbliche esigenze.

Chè altrimenti si perverrebbe alla paradossale ed illogica conclusione per cui l’amministrazione che- come si è prima dimostatrato- potrebbe legittimamente revocare i titoli concessori al ricorrere di preminenti esigenze pubbliche non potrebbe incidere in forma meno invasi conformandole, riducendone l’ampiezza, etc.

Il potere revocatorio, che permane immutato in capo all’amministrazione, è a maggior ragione comprensivo del potere riduttivo e conformativo

7.Al contempo, devono essere disattese le considerazioni critiche delle appellanti sul modo con cui il Comune appellato ha effettuato tale riduzione.

7.1. Innanzi tutto non rileva il alcun modo l’asserito errore di calcolo in cui il Comune sarebbe incorso, sol che si consideri che la riduzione del 20% costituiva la percentuale minima prevista a livello regionale, e che non è neppure contestato che attraverso lo strumento regolatorio impugnato si sia sforata la previsione massima: sul punto la decisione impugnata appare resistere alle critiche proposte.

7.2. Per altro verso, la scelta di ridurre le concessioni "esistenti" (ed in scadenza) in misura proporzionale, oltre che logica e direttamente discendente dalla assenza di prescrizioni volte a prevedere l’istituzione di spiagge libere in una particolare area del litorale, appare altresì rispettosa della identica posizione rivestita dagli aspiranti al rinnovo e manifestazione di assoluta imparzialità nell’operato dell’amministrazione.

La critica a tale determinazione, frutto di una motivata scelta all’evidenza ascrivibile alla lata discrezionalità in materia spettante all’amministrazione, sconfina in inammissibili ed apodittiche valutazioni di merito.

In ultimo, è errato affermare che non vi sia stata alcuna comparazione dell’interesse privato con quello pubblico, atteso che semmai, tale scelta a monte era stata effettuata dal Piano Regionale allorchè aveva previsto una percentuale di arenile destinato a spiaggia libera. In tale solco si è innestata la premessa maggiore dell’attività regolatoria comunale che ha preso le mosse dalla constatazione che l’arenile di Giulianova risultava pressoché interamente affidato in concessione e vistosamente carente di spiagge libere che, invece, dovevano essere incrementate.

8. Quanto alle ulteriori censure, attingenti le prescrizioni di dettaglio del piano comunale (posizionamento degli ombrelloni, etc) se anche le stesse dovessero essere considerate (in carenza dei puntuali atti applicativi dei quali il primo giudice ha riscontrato la mancanza, perciò dichiarando le doglianze inammissibili) immediatamente cogenti, valgono le analoghe considerazioni rese allorchè si è dichiarata priva di fondamento la pretesa immutabilità (anche nel quomodo) dei titoli concessori in passato rilasciati.

9. Le parti appellanti hanno lamentato l’asserita insufficienza del piano a tutelare gli interessi ambientali dei quali questo si faceva portatore senza denunciare alcuna concreta manifestazione di tale inettitudine; hanno affermato di non volere tutelare interessi individuali e pur tuttavia hanno apoditticamente censurato (con valutazioni squisitamente di merito e perciò solo inammissibili) la successiva deliberazione giuntale di affidare temporaneamente otto nuove spiagge e "suggerito" la creazione (non già di tre ridotte aree da destinare a spiaggia libera ma) di "un’unica area accorpata".

Ma anche tali ultime censure non tengono conto che la riduzione "lineare" ha consentito la salvaguardia della posizione delle appellanti, che sono state sottratte alla procedura di rinnovo comparativa; ha consentito l’individuazione di un criterio oggettivo all’evidenza immune da profili di disparità di trattamento e peraltro logico in quanto direttamente connesso alla premessa maggiore, riposante nella esigenza di consentire la libera fruizione di tratti di arenile.

Tutti gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.

10.Pare conclusivamente al Collegio che la impugnata decisione resista alle doglianze contenute nel ricorso in appello che deve, pertanto, essere respinto.

Devono essere compensate le spese processuali sostenute dalle parti a cagione della specificità della situazione di fatto sottesa alla controversia.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)definitivamente pronunciando sull’appello, numero di registro generale 5212 del 2010 come in epigrafe proposto, lo respinge e per l’effetto conferma l’appellata sentenza.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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