Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 01-02-2011) 01-06-2011, n. 22070 Cause di non punibilità, di improcedibilità, di estinzione del reato o della pena

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

. Dott. FODARONI Giuseppina la quale ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.
Svolgimento del processo

1. – Con ordinanza deliberata il 24 marzo 2010 la Corte d’appello di Catanzaro dichiarava inammissibile per manifesta infondatezza, ex art. 634 cod. proc. pen., l’istanza di revisione proposta nell’interesse di C.A. avverso la sentenza della Corte di Assise d’appello di Reggio Calabria, deliberata il 1 giugno 1998, che aveva condannato il predetto imputato alla pena di giustizia, siccome colpevole di concorso in omicidio volontario aggravato in danno di N.L., commesso nel gennaio 1991. 1.2 – Tale revisione era stata richiesta dal C. ai sensi dell’art. 630 c.p.p., lett. c), proponendo quale "nuova prova", le dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia Cu.An. in merito all’omicidio del giovane N.L. – raccolte nell’ambito di due diversi processi, relativi allo stesso episodio omicidiario, ma che riguardavano però altri concorrenti nel reato – le quali escludevano, in particolare, che il C., come a lui specificamente contestato nella sentenza di condanna, avesse partecipato materialmente al sequestro della vittima, guidando l’auto che aveva speronato lo scooter su cui viaggiava la persona offesa, allo scopo di sequestrarlo.

Poichè – sosteneva l’Istante – la condanna era stata basata precipuamente sulle dichiarazioni de relato del collaboratore R.G., che attribuivano al C. – in quanto autista del gruppi di fuoco della cosca Latella – un ruolo nella fase del sequestro, escluso invece dalle dichiarazioni del Cu., ritenute pienamente attendibili dai giudici che le avevano raccolte, gli elementi emersi da tali dichiarazioni, specie se valutati alla luce di alcune acquisizioni probatorie, quali ad esempio la conoscenza da parte della vittima del C. e le ragioni di inimicizia esistenti tra il R. ed il condannato, dovevano far concludere per la necessità della revisione, e della conseguente assoluzione dell’istante, una volta accertato in giudizio il diverso svolgimento del fatti rispetto all’originaria ricostruzione che aveva portato alla condanna dell’istante.

1.3 – Ciò posto, la Corte territoriale osservava, per un verso, che le argomentazioni di critica valutativa rispetto alle prove dichiarative acquisite e valutate in tutti i gradi di giudizio attraverso i quali si era pervenuti al giudicato, dovevano ritenersi inammissibili, sollecitando una "ulteriore valutazione" non consentita In sede di revisione; dall’altro, come la prova nuova indotta dalla difesa non avesse effettivo carattere decisivo ai fini della dimostrazione dell’innocenza del condannato, in quanto il Cu., occasionalmente coinvolto dell’azione omicidiaria da P.G., aveva in effetti dichiarato di essere stato condotto sul luogo in cui fu commesso l’omicidio con un’autovettura a bordo della quale si trovavano anche T.D. e F. V., e che sul posto egli aveva notato la presenza anche di altre persone, tra le quali il C., giunte a bordo di altre due vetture, una delle quali utilizzata per condurre in quel luogo la vittima.

Concludeva dunque la Corte di Appello di Catanzaro affermando come la prova nuova indotta, non porterebbe all’esito specifico e legalmente previsto della dimostrazione della ricorrenza di causa di proscioglimento, in quanto le dichiarazioni del Cu. non si ponevano "in contrasto con gli elementi posti a fondamento della decisione di condanna", ed in particolare con le dichiarazioni del R..

2. – Avverso tale ordinanza, ha proposto ricorso per cassazione il C., che anche attraverso due distinte "memorie di replica" depositate dai suoi difensori a confutazione della requisitoria del Procuratore Generale presso questa Corte, che ha concluso per l’Inammissibilità del ricorso, ne ha richiesto l’annullamento. A sostegno di tale richiesta, in ricorso si evidenzia, in primo luogo, che illegittimamente la Corte territoriale ha dichiarato l’inammissibilità in via preliminare dell’istanza di revisione, osservando al riguardo che la fase dell’accertamento della ammissibilità della relativa istanza implica una "sommaria delibazione" dei nuovi elementi di prova addotti, così da stabilire se essi appaiono "in astratto" idonei ad incidere, in senso favorevole alla tesi dell’istante, sulla valutazione delle prove a suo tempo raccolte e, nello stesso tempo, giustifichino la ragionevole previsione che essi, da soli o congiunti a quelli già esaminati nel corso del procedimento conclusosi con la sentenza di condanna, possano condurre al proscioglimento dell’Istante. Ma proprio perchè l’infondatezza in tale fase deve essere "manifesta", si fa rilevare dal ricorrente attraverso il richiamo alla prevalente giurisprudenza di questa Corte, è palese che essa, per poter giustificare il giudizio di inammissibilità dell’istanza di revisione, deve essere rilevabile "ictu oculi" all’esito di un semplice esame delibativo sulla base di non controvertibili criteri di valutazione e, soprattutto, senza necessità di un approfondito esame di merito.

La Corte territoriale, inoltre, si sostiene in ricorso, ha completamente travisato il contenuto delle dichiarazioni del Cu., erroneamente affermando che il predetto collaboratore non avrebbe specificato le modalità del sequestro della vittima e che le stesse non risultano in contrasto con le propalazione del R..

In particolare il dato che il predetto collaboratore non aveva attribuito alcun ruolo specifico al C. nella fase del sequestro del Nettuno, nonostante la sua rilevanza, era stato del tutto illogicamente svalutato dalla Corte. Orbene, si sostiene in particolare nelle "memorie di replica", tale dato non può venire superato, come prospettato nella requisitoria del Procuratore Generale, a ragione della circostanza che anche il Cu. ha riferito di una presenza del C. sul luogo in cui venne commesso l’omicidio, in quanto lo stesso, ove adeguatamente valutato, avrebbe dovuto condurre la Corte territoriale adita ad accogliere l’istanza e a disporre lo svolgimento di un necessario approfondimento istruttorio da effettuarsi, nel contraddittorio delle parti, mediante il confronto dei nuovi mezzi di prova con le risultanze probatorie poste a fondamento del giudizio di condanna.
Motivi della decisione

1. – Il ricorso, infondato, deve essere rigettato con tutte le dovute conseguenze di legge.

L’assunto difensivo secondo cui la Corte territoriale, investita dell’istanza del riesame, avrebbe espresso un erroneo giudizio di irrilevanza degli elementi posti a base della stessa, anticipando in qualche misura l’esito di un’attività istruttoria da svolgere, contraddittoriamente ritenuta non decisiva, non considera infatti, adeguatamente, il principio più volte affermato da questa Corte secondo cui, pur non potendosi ammettere – nell’ambito della valutazione ex art. 634 cod. proc. pen. – un’approfondita anticipazione del giudizio di merito, pur tuttavia è necessaria e legittima la delibazione prognostica circa il grado di affidabilità e conferenza dei nova (così Cass. Sez. 1, sentenza n. 29660 del 17 giugno 2003, Rv. 226140, ric. Asdutto).

Tale delibazione deve quindi inevitabilmente transitare attraverso un giudizio di comparazione delle prove nuove dedotte con quelle già raccolte nel normale giudizio di cognizione, per giungere, in una prospettiva complessiva, ad una valutazione sulla loro effettiva attitudine a far dichiarare il proscioglimento o l’assoluzione dell’istante (così Cass. Pen. Sez. 4, sentenza n. 35697 del 19 giugno 2007, Rv. 237455, ric. Bozi). Più esplicitamente: "In tema di revisione, nella fase del giudizio sull’ammissibilità della richiesta, il giudice non può esimersi dall’obbligo di apprezzare la manifesta inidoneità e inefficacia dimostrativa, rispetto al prospettato risultato finale del proscioglimento, dei nuovi elementi di prova" (così Cass. Pen. Sez. 1, n. 45612 in data 05.11.2003, Rv.

227131, Drozdzik).

Ed infine, sul punto, va ancora ribadito che il carattere di manifesta infondatezza – che la richiesta deve rivestire per poter essere delibata come tale nel giudizio de plano ex art. 634 cod. proc. pen. – debba essere inteso con riferimento alla forza dimostrativa, in senso logico e concettuale, dell’argomentazione che la contraddistingua, forza dimostrativa che si deve porre ex se, pena la negazione del suo presupposto, e cioè dell’essere strutturalmente logica. Del resto, dal punto di vista più strettamente normativo, va pure rilevato come l’art. 634 cod. proc. pen., nel suo comma 1, richiami l’art. 631 cod. proc. pen. che, a sua volta, impone l’inammissibilità della domanda ove gli elementi proposti non siano tali da "dimostrare" che il condannato deve essere prosciolto.

Dunque, se non si vuole disattendere nè tradire tale precetto, occorre una dimostrazione, cioè un apparato logico inferenziale comunque esplicativo delle ragioni che fondano – concettualmente – anche solo la resa valutazione di immediatamente percepibile infondatezza.

Ciò detto, è del tutto evidente che non sussiste allora vizio di eccessiva penetrazione nel merito, anche nella fase di delibazione ex art. 634 cod. proc. pen., laddove l’ordinanza che dichiari l’inammissibilità della domanda di revisione proceda (poco importa con quale abbondanza, o sovrabbondanza, quantitativa del discorso esplicativo, il che rimane solo un eventuale sintomo, a volte equivoco) con sequenza logica di concetti risolutivi che si impongano per la loro valenza dimostrativa, ex se (per l’insuperabile forza logico-argomentativa, nel contesto processuale in questione). Tutto ciò premesso, è di naturale conseguenza che del tutto correttamente la Corte territoriale ha compiuto, nello specifico caso, il giudizio delibativo – ex art. 634 c.p.p., de plano – circa l’inefficacia del novum proposto a condurre al proscioglimento dell’istante, dandosi l’immediata evidenza, che sgorgava dalla mera lettura del giudicato di condanna, che le dichiarazioni rese da Cu.An. – e di cui in ricorso si evoca genericamente il contenuto, asseritamene travisato, senza provvedere alla loro allegazione, in violazione del principio di autosufficienza del ricorso -lasciava immutata la forza argomentativa della condanna stessa, basata su molteplice ed autonomamente sufficiente materiale accusatorio, in particolare le dichiarazioni accusatorie del R., ritenute compatibili con quelle del nuovo collaboratore, specie nella parte in cui quest’ultimo ha riferito che allorquando giunse sul luogo dell’omicidio, aveva notato anche la persona del C. tra quelle presenti sul luogo dell’omicidio.

2. – In conclusione il ricorso, infondato in ogni sua prospettazione, deve essere rigettato.

Alla completa reiezione del gravame consegue ex lege, in forza del disposto dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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