T.A.R. Calabria Catanzaro Sez. II, Sent., 07-06-2011, n. 827 Demolizione di costruzioni abusive Edilizia e urbanistica

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ricorso notificato l’11 novembre 2008 al Comune di Cosenza ed alla controinteressata, la ricorrente impugna l’ordinanza emessa il 18.8.2008 dal Dirigente del Comune di Cosenza Pianificazione e Gestione del Territorio, Sviluppo Locale- Servizio Edilizia Urbana, con la quale veniva disposta la rimessione in pristino dello stato dei luoghi, previa demolizione delle opere abusivamente realizzate e consistenti in un manufatto di m. 4,00 x 2,50 con altezza pari a m. 2,80 posto nel cavedio del fabbricato condominiale ed in ampliamento dell’attiguo appartamento di proprietà, con il quale comunica mediante una porta interna.

La sig.ra Iuele espone di essere proprietaria sia dell’appartamento che del cavedio, ovvero del pozzo di luce ed allega le seguenti circostanze:

1) che il fabbricato condominiale a cui accede l’opera abusiva è stato realizzato in forza di concessione edilizia del 18 settembre 1953;

2) che nella planimetria dell’appartamento depositata presso l’UTE di Cosenza in data 9/8/1954 per l’accertamento della consistenza catastale, risultava la pertinenza oggetto dell’ordinanza di demolizione quale "pozzo luce adibito a deposito con pollaio e piccolo sottoscala";

3) che il manufatto di cui si dispone la demolizione preesisteva alla data del 9/8/1954, in quanto risultava censito al Nuovo Catasto Urbano.

Avverso la sopra richiamata ordinanza di demolizione del manufatto realizzato nel cavedio, con l’odierno gravame, la ricorrente articola i seguenti motivi di ricorso:

1) abuso ed eccesso di potere – violazione di norme di legge ( legge 47/1985; dpr 380/2001; legge 1150/1942)- illogicità e contraddittorietà manifesta – travisamento dei fatti, in quanto si assume che erroneamente il Comune avrebbe ritenuto che il manufatto fosse stato realizzato nel 1995, mentre si tratterebbe di manufatto esistente e qualificato pollaio alla data dell’accatastamento del 1954 mentre successivamente sono state realizzate solo opere di manutenzione (sostituzione della copertura) e quand’anche non fosse da ricomprendersi nella concessione edilizia del 1953 si tratta di variazione non essenziale in quanto riguarda una cubatura inferiore allo 0,1 % dell’intero fabbricato;

2) eccesso di potere – contrarius actus – travisamento dei fatti e dei presupposti sotto il profilo della illogicità e contraddittorietà manifesta – omessa ed insufficiente motivazione in relazione alla individuazione del pubblico interesse tutelato, atteso che i lavori eseguiti riguardavano esclusivamente la sostituzione del tetto in eternit, non modificavano quindi l’impianto edilizio preesistente e dovevano farsi correttamente rientrare nell’ambito dei lavori di ordinaria manutenzione per i quali la ricorrente ha presentato Denuncia di Inizio di Attività ed ha pagato le maggiori somme dell’ICI;

3) violazione di legge ed eccesso di potere per difetto di motivazione in ordine al pubblico interesse, alla luce del tempo trascorso;

4) violazione di legge atteso che, in base alla normativa applicabile ratione temporis, legge 1150/1942, legge 10/1977 e legge 47/1985, l’ordine di demolizione doveva essere rivolto al responsabile dell’abuso e non al proprietario.

Conclude chiedendo l’annullamento dell’atto impugnato e la condanna del risarcimento del danno derivante dal mancato incameramento dei canoni di locazione ad uso commerciale dell’appartamento per 12 anni, in quanto la sussistenza dell’atto gravato ha impedito che il contratto di locazione venisse perfezionato.

Si sono costituiti la controinteressata ed il Comune che resistono nel merito.

Con ordinanza n. 40/2009 il Tribunale ha respinto la richiesta misura cautelare.

Alla pubblica udienza del 5 maggio 2011 il ricorso è trattenuto in decisione.
Motivi della decisione

Il ricorso è infondato.

Il provvedimento impugnato è una ordinanza di demolizione di un manufatto, privo di titolo, di circa 10mq e di 2,80 m. di altezza, contiguo all’appartamento della ricorrente e ad esso collegato da una porta interna, realizzato nello spazio destinato a pozzo di luce/cavedio di un fabbricato nel quale insistono altri 9 appartamenti.

Assume la ricorrente con il primo motivo di ricorso che il manufatto da abbattere esiste da data risalente, ovvero dal 1954, che esso risulta regolarmente accatastato nel 1954, che la sua superficie non supera 0,1 % dell’intero fabbricato, che pertanto non vi era alcuna necessità di richiedere un titolo edilizio per realizzare sullo stesso lavori di ordinaria manutenzione quali sarebbero quelli realizzati dalla ricorrente.

Il motivo è infondato.

La ricorrente non ha infatti dimostrato che il manufatto esisteva dal 1954, ovvero dal tempo in cui è stato realizzato l’intero fabbricato, in disparte l’estraneità del corpo edilizio per configurazione e materiali, visibile dalle fotografie allegate, non costituisce prova dell’esistenza di tale fabbricato l’avere chiesto l’accatastamento nel 1957 di un pozzo di luce adibito a deposito con pollaio.

Il pollaio, in disparte la sua compatibilità con un edificio condominiale del centro abitato, presenta caratteristiche ben diverse dal manufatto in questione, non è chiuso su tutti i lati e, proprio per la sua destinazione, non comunica con gli altri vano dell’abitazione.

La circostanza è comunque smentita dalla planimetria del 9/8/1954 prodotta dal Comune.

Quanto al calcolo della volumetria essa è erroneamente compiuta in relazione all’intero fabbricato, che non appartiene alla ricorrente, mentre dovrebbe computarsi esclusivamente in relazione al suo appartamento, con una ben diversa percentuale di aumento di superficie e cubatura.

Deve poi escludersi che possa trattarsi di mera pertinenza atteso che il collegamento con l’appartamento e la cubatura del locale finiscono per configurare il manufatto come ampliamento dei vani dell’appartamento.

Il Collegio, non discostandosi dalla prevalente giurisprudenza in materia, ritiene che costituisca " pertinenza urbanistica ", ai sensi dell’art. 7 comma 2, lett. a), l. 25 marzo 1982 n. 94, un’opera preordinata ad un’oggettiva esigenza dell’edificio principale, funzionalmente inserita al servizio dello stesso, sfornita di un autonomo valore di mercato, non valutabile in termini di cubatura o comunque dotata di un volume minimo, tale da non consentire, in relazione anche alle caratteristiche dell’edificio principale, una sua destinazione autonoma e diversa da quella a servizio dell’immobile a cui accede. Pertanto, in materia edilizia, la natura pertinenziale di un’opera deve essere desunta da inequivoci dati obiettivi, i quali devono al tempo stesso escludere che l’opera stessa possa essere altrimenti utilizzata, se non per il servizio e/o l’ornamento dell’edificio principale (ex multis Tar Lazio Roma, sez. II, 17 novembre 2005, n. 11517, che ha escluso la natura pertinenziale di un vano realizzato in area discosta dall’edificio principale, finalizzato al servizio come garage solo in base alle intenzioni ed alle dichiarazioni dell’interessato).

Vi è inoltre da aggiungere, in relazione ai lavori di sostituzione del tetto del manufatto, che, condividendo un consolidato orientamento del giudice amministrativo, il Collegio ritiene che in presenza di manufatti abusivi non sanati né condonati, gli interventi ulteriori (sia pure riconducibili, nella loro oggettività, alle categorie della manutenzione straordinaria, del restauro e/o risanamento conservativo, della ristrutturazione, della realizzazione di opere costituenti pertinenze urbanistiche) ripetono le caratteristiche di illegittimità dell’opera principale alla quale ineriscono strutturalmente" (cfr. Tar Campania, Napoli, sesta sezione, sentenze 5 maggio 2010, n. 2811, 10 febbraio 2010, n. 847 e 28 gennaio 2010, n. 423; sezione seconda, 7 novembre 2008, n. 19372;ma vedi anche Cass. penale, sezione terza, 24 ottobre 2008, n. 45070), con conseguente "obbligo del comune di ordinarne la demolizione".

Quanto al pagamento dell’ICI in misura maggiore si tratta di circostanza del tutto estranea ed irrilevante ai fini della valutazione dell’abusività dell’opera, atteso che la misura del pagamento non risulta imposta a seguito di accertamento in ordine alla regolarità del titolo edilizio.

Anche il secondo motivo va quindi respinto.

Infondata è anche la censura di difetto di motivazione in ordine all’interesse pubblico attuale, atteso che, per consolidato indirizzo anche di questa Sezione, l’ordinanza di demolizione di opere abusive non richiede una specifica motivazione sulle ragioni di pubblico interesse che ne giustificano l’emanazione, tranne i casi in cui, a causa del lungo lasso di tempo trascorso dalla violazione, si sia creata a favore del privato una situazione di fatto del tutto consolidata per la cui modificazione l’Autorità comunale procedente è tenuta ad indicare le ragioni che a distanza di tempo giustificano l’adozione del provvedimento sanzionatorio (Cfr. Cons. Stato, Sez. V, 12 marzo 1996 n. 247, e T.A.R. Friuli Venezia Giulia 27 novembre 2000 n. 1246, e più di recente Tar, Abruzzo, Pescara n. 924/07).

Si è già ampiamente interloquito in ordine all’incertezza sull’epoca dell’abuso, risultando certamente assai più verosimile che lo stesso, nella sua attuale consistenza, sia stato realizzato in epoca di poco precedente alla proposizione dell’atto di citazione notificato dalla controinteressata e vicina sig.ra Motta nel 1996.

Ciò premesso, il tempo trascorso non appare tale da giustificare la necessità di una specifica motivazione in relazione all’interesse pubblico alla demolizione di un manufatto posizionato nel cortile interno di una palazzina e qualificato "deposito con pollaio" in una scheda di accertamento catastale del 1957.

Deve, peraltro, evidenziarsi che, nel caso di specie, le ragioni di pubblico interesse possano ritenersi implicite nel provvedimento impugnato, in considerazione della collocazione del manufatto abusivo all’interno del pozzo di luce di una palazzina destinata a civile abitazione ed abitata da altri 9 diversi residenti, ovvero in ragione dell’area occupata che, ferma restando la proprietà della stessa in capo alla ricorrente, costituisce fonte di luce ed aria per tutti gli appartamenti che vi si affacciano.

Infondata è anche la censura di violazione di legge che imporrebbe di indirizzare l’ordinanza di demolizione al responsabile dell’abuso e non al proprietario.

La censura è infondata atteso che anche prima dell’espressa previsione di cui all’art. 31, comma 2, del dpr 380/01, la rimozione o la demolizione del manufatto abusivo poteva essere ingiunto anche al proprietario, in quanto, per giurisprudenza costante, considerando che l’abuso edilizio costituisce un illecito permanente e che l’ordinanza stessa ha carattere ripristinatorio e non prevede l’accertamento del dolo o della colpa del soggetto, l’ordinanza di demolizione poteva essere emanata anche nei soli confronti del proprietario (cfr ex multis Tar Sardegna, Cagliari, sez. II, 8 agosto 2008, n. 1649).

La legittimazione passiva del proprietario è spiegabile con il fatto che quest’ultimo, proprio in virtù del suo diritto dominicale, può eseguire la prescrizione ripristinatoria fatti salvi i rapporti interni con il responsabile in ordine al risarcimento dei danni e al rimborso delle spese sostenute (in questo senso TAR Lazio – Roma n. 10470/10; TAR Campania – Napoli n. 13455/08; Cass. penale n. 39322/09).

In conclusione il provvedimento impugnato va esente dalle dedotte censure, con conseguente rigetto anche della domanda risarcitoria.

Le spese di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria (Sezione Seconda)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta.

Condanna la ricorrente al pagamento delle spese di giudizio a favore della controinteressata e del Comune che liquida in euro 1.000 (mille) per ciascuna parte, oltre accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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