Cass. civ. Sez. III, Sent., 04-10-2011, n. 20290

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza n. 570/2006, depositata il 28 giugno 2006, la Corte di appello di Brescia, in parziale riforma della sentenza emessa in primo grado dal Tribunale di Bergamo, ha dichiarato la cessazione al 15.2.1994 del contratto di locazione di un’area destinata a parcheggio, sita in (OMISSIS), contratto intercorso fra la Cassa per le Pensioni ai Sanitari, locatrice (a cui è oggi subentrato l’INPDAP), e A.A., conduttore, al quale sono oggi subentrati i suoi eredi.

La Corte ha conseguentemente condannato la sublocatrice, s.n.c. Parcheggio S. Alessandro di V. ed E. Fasano, al rilascio dell’area.

Con atto notificato il 12-18 settembre 2006 quest’ultima società propone tre motivi di ricorso per cassazione, illustrati da memoria.

L’intimata non ha depositato difese.

Il Collegio invita l’estensore alla motivazione semplificata.
Motivi della decisione

1.- Tutti i motivi di ricorso sono inammissibili ai sensi dell’art. 366 bis cod. proc. civ., a causa dell’inidonea formulazione dei quesiti.

1.1.- E’ orientamento costante della Corte (confronta la recente Cass. 25 marzo 2009, n. 7197) che il quesito di diritto deve essere formulato in termini tali da costituire una sintesi logico-giuridica della questione, si da consentire al giudice di legittimità di enunciare una "regula iuris" suscettibile di ricevere applicazione anche in casi ulteriori rispetto a quello deciso dalla sentenza impugnata.

Ne consegue che è inammissibile il motivo di ricorso sorretto da quesito la cui formulazione sia del tutto inidonea ad assumere rilevanza ai fini della decisione del motivo e a chiarire l’errore di diritto imputato alla sentenza impugnata in relazione alla concreta controversia.

In altri termini, la formulazione corretta del quesito di diritto esige che il ricorrente dapprima indichi la fattispecie concreta; poi la rapporti ad uno schema normativo tipico; infine formuli il principio giuridico di cui chiede l’affermazione.

Il quesito sul primo motivo – che denuncia nullità della procura alle liti conferita per l’INPDAP dal Dott. D.A., dirigente dell’Ufficio Patrimoniale della Lombardia, con atto 6.6.2002 per notaio Califano, e con atto 25.3.2002 per notaio Valeria Morghen – è cos’ formulato: "Codesta Suprema Corte stabilisca se conferisca validamente la legittimazione processuale la procura, rilasciata dal legale rappresentante dell’ente, conferente al mandatario il solo potere "della rappresentanza legale in sede giudiziale, al fine di consentire il tempestivo rilascio dei mandati a difesa ai legali incaricati del patrocinio dell’istituto".

Non è possibile desumerne quale fosse la fattispecie presa in esame, quale la ratio decidendi della sentenza impugnata, che ha ritenuto valida la procura; quale il principio che sarebbe stato erroneamente affermato e quale la corretta interpretazione, si da consentire alla Corte di cassazione di rispondere in termini, enunciando una regula iuris che risulti applicabile, oltre che al caso di specie, ad altri casi dello stesso genere (cfr., per tutte, Cass. Civ. S.U. 11 marzo 2008 n. 6420. Cass. Civ. Sez. 3^, 30 settembre 2008 n. 24339 e 9 maggio 2008 n. 11535).

Il quesito da poi per dimostrato ciò che sarebbe da dimostrare, cioè il fatto che la procura conferiva al mandatario la sola rappresentanza giudiziale, disgiunta dalla rappresentanza sostanziale, risultando inconferente e inammissibile anche sotto questo profilo.

1.2." Il secondo motivo si conclude con il seguente quesito: "Codesta Suprema Corte stabilisca se sia ammissibile, e non violi il disposto dell’art. 112 cod. proc. civ., la condanna al rilascio dell’immobile detenuto dal conduttore (o dal subconduttore) in mora nel restituire la cosa (ai sensi dell’art. 1591 cod. civ.) che, invece, l’attore aveva chiesto venisse pronunciata nei suoi confronti definendone l’occupazione della cosa come compiuta senza titolo, illecitamente".

Anche qui non si comprende quale sia la fattispecie in discussione;

quale il principio di diritto che sarebbe stato erroneamente affermato e quale la regula iuris che la Corte di cassazione dovrebbe enunciare.

1.3.- Il terzo motivo, che lamenta nell’epigrafe "omessa motivazione su di un fatto controverso e decisivo del giudizio (ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 4) riguardo alla costituzione tra INPDAP e Parcheggio S. Alessandro s.n.c. di un autonomo contratto di locazione che si sarebbe rinnovato fino alla data del 15.2.2009", si conclude: "Indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa: la letterale formulazione dell’intimazione di pagamento dell’INPDAP al Parcheggio S. Alessandro in data 24.11.2003".

A parte l’incongruo richiamo dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 4, anzichè n. 5, presumibilmente ascrivibile ad errore materiale, anche qui il quesito è inidoneo a sintetizzare le ragioni della censura, poichè non è possibile desumerne quale sia la domanda proposta alla Corte di appello, sulla quale sarebbe stata omessa la motivazione.

Si ricorda che anche nei casi previsti dall’art. 360 cod. proc. civ., n. 5, il motivo di ricorso deve contenere un momento di sintesi (analogo al quesito di diritto), che individui le censure rivolte alla sentenza impugnata e ne circoscriva puntualmente i limiti (Cass. civ. Sez. Un. 1 ottobre 2007 n. 20603; Cass. civ. Sez. 3 n. 4646/2008 e n. 4719/2008).

Tale requisito non si può ritenere rispettato quando solo la completa lettura dell’illustrazione del motivo all’esito di un’interpretazione svolta dal lettore, anzichè su indicazione della parte ricorrente – consenta di comprendere il contenuto ed il significato delle censure rivolte alla sentenza impugnata (Cass. civ., Sez. 3^, ord. 16 luglio 2007 n. 16002, n. 4309/2008 e n. 4311/2008).

2.- Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

3. – Le spese processuali – che includono solo la discussione in udienza, oltre che lo studio della controversia e l’esame dei documenti, non essendo stato depositato controricorso – seguono la soccombenza e si liquidano nel dispositivo.
P.Q.M.

La Corte di cassazione rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate complessivamente in Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi ed Euro 3.000,00 per onorari, oltre al rimborso delle spese generali ed agli accessori previdenziali e fiscali di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *