Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 01-02-2011) 01-06-2011, n. 22048 Porto abusivo di armi

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

glimento del ricorso.
Svolgimento del processo

1. – M.A. è stato condannato, da ultimo, alla pena di anni 20 (venti) di reclusione, siccome ritenuto colpevole – dalla Corte di Assise di Santa Maria Capua Vetere, prima e dalla Corte di Assise di Appello di Napoli, poi – dei reati di omicidio volontario aggravato dai futili motivi del nipote M.S., di lesioni personali guaribili oltre il 40 giorno in danno di un altro nipote, M.F., e di porto di pistola; fatti commessi in (OMISSIS).

2. – Avverso la sentenza della Corte di Assise di Appello di Napoli, emessa il 22 luglio 2009, ha proposto ricorso per cassazione il M.A., per il tramite dei suoi difensori di fiducia, prospettando un unico ed articolato motivo d’impugnazione, con il quale si denuncia l’illegittimità della decisione impugnata, per violazione di legge e vizio di motivazione, sia relativamente al mancato riconoscimento dell’attenuante della provocazione, sia in relazione alla conferma della contestata aggravante dei motivi abietti e futili.

2.1 – Con riferimento alla prima censura sollevata in ricorso – il diniego dell’attenuante della provocazione – va premesso che secondo la ricostruzione dei fatti operata dai giudici di merito, il motivo scatenante dell’omicidio andava ricercato nella violenta discussione insorta tra l’imputato e la vittima nel pomeriggio del 24 ottobre 2006 all’interno della sede della società Ecologica Meridionale nella quale entrambi i soggetti erano a vario titolo inseriti, provocata da dissapori in merito alla gestione aziendale, a seguito della quale M.A., armatosi di pistola, fece fuoco uccidendo il nipote S. e ferendo gravemente l’altro nipote F., costituendosi poco dopo presso la caserma del Carabinieri, ai quali rendeva piena confessione e provvedeva a consegnare l’arma del delitto.

Secondo i giudici del merito, dalle molteplici testimonianze dei soggetti presenti alla lite, emergeva con certezza, in particolare:

a) che la discussione insorta tra l’imputato e il nipote aveva ad oggetto l’importo di una fattura emessa da una ditta di vigilanza; b) che nella circostanza il M.S., che ne contestava l’importo, aveva usato, nei confronti dello zio, delle parole irrispettose; c) che la condotta dell’imputato aveva trovato impulso emotivo, proprio nell’atteggiamento del nipote e nelle parole da questi pronunciate contro di lui.

Secondo la ricostruzione dei giudici del merito, per altro, la lite non poteva ritenersi preordinata; si era caratterizzata per i risvolti ingiuriosi riferibili ad ambedue le parti e non risultava trascesa nel contatto fisico con gesti di violenza, seppure con un accenno di slancio aggressivo da parte di S., subito represso, vuoi per l’intervento dei cugini vuoi anche per una personale autodeterminazione dello stesso nipote dell’Imputato.

Alla stregua di tali valutazioni in fatto, i giudici di appello, con riferimento ai tre elementi che devono caratterizzare la attenuante (fatto ingiusto, stato d’ira, nesso di causalità), ritenevano che risultava mancare non solo, come già statuito dalla sentenza di primo grado, il nesso di causalità, troppo grande essendo la sproporzione tra il comportamento della vittima e quello dell’imputato, tra la lite e l’omicidio; ma che mancasse anche il primo degli elementi, "il fatto ingiusto"; ritenendo accertato che la vittima, se pure pronunciò delle espressioni offensive del prestigio e dignità dello zio, davanti agli altri cugini, lo fece nel contesto di una discussione animata, durante la quale anch’egli subì offese, lesive della dignità non solo propria, ma anche del proprio genitore, assente. Ciò posto, da parte del ricorrente si contesta la congruità di tali valutazioni della Corte territoriale, ritenute, in particolare, non aderenti alle risultanze processuali (ed in particolare al contenuto delle deposizioni dei testi M. G. e Z.D.) dalle quali agevolmente emergeva, al contrario, il fatto ingiusto del M.S., che muovendo allo zio contestazioni pretestuose ed infondate (la predisposizione di un servizio di guardiania, pure deliberato da tutti i soci; l’asserito proposito di estromettere dalla società, a base familiare, tutti gli altri soci), intendeva provocare e cercare lo scontro, anche fisico, con lo zio.

Quanto poi all’esclusione dell’ulteriore elemento rappresentato dal nesso di causalità tra fatto ingiusto e reazione, da parte del ricorrente si contesta come incongrua la valutazione espressa dai giudici di appello relativamente all’assoluta sproporzione ravvisarle tra i due momenti della discussione e dell’omicidio, evidenziando al riguardo: in diritto, che un rapporto di causalità psicologica tra l’offesa e la reazione può sussistere, secondo la prevalente giurisprudenza di legittimità, indipendentemente dalla proporzionalità tra le stesse; in fatto, che erroneamente la Corte territoriale aveva ritenuto che sulla condotta dell’imputato avesse influito un "malanimo profondo" un "odio covato da anni", trattandosi di valutazioni che non trovavano alcun fondamento "nelle emergenze dibattimentali" dalle quali, in conclusione, emergeva al contrario come il ricorrente avesse agito, non già per futili motivi, ma in preda alla collera suscitata dal fatto ingiusto del nipote, che lo aveva volontariamente provocato, al dichiarato scopo di estrometterlo dalla impresa familiare che aveva contribuito a fondare, attraverso accuse false ed infondate.

2.2 – Per quanto attiene, poi, il secondo profilo di illegittimità della sentenza impugnata denunziato in ricorso – la sussistenza dell’aggravante ex art. 61 c.p., n. 1 – va premesso che secondo i giudici di appello la decisione del giudice di prime cure di ritenere sussistente l’aggravante dei motivi futili, era senz’altro da condividere e confermare, in quanto doveva ritenersi "assolutamente riprovevole il comportamento di chi, per reagire a incomprensioni o contestazioni di carattere gestionale, a motivi di interesse o anche di predominio familiare, si determini alla scelta estrema di togliere la vita ad un altro uomo, peraltro legato a lui da vincoli di stretta parentela". Secondo i giudici di appello, in particolare, sussisteva una "assoluta sproporzione tra la spinta omicidiaria tutta interna, innescata dal motivo della discussione sulla opportunità o meno di una scelta aziendale…. e l’azione delittuosa attuata, la più grave che potesse essere deliberata…".

Orbene, con riferimento a tale statuizione, in ricorso si fa rilevare che le stesse argomentazioni svolte per sostenere la concessione dell’attenuante della provocazione, valgono evidentemente ad escludere la sussistenza dell’aggravante del futili motivi.
Motivi della decisione

1. – L’impugnazione proposta nell’interesse di M.A. è fondata limitatamente alla censura relativa all’aggravante dei futili motivi.

2.1 – Con riferimento al primo profilo di illegittimità della sentenza impugnata, relativo al mancato riconoscimento dell’attenuate della provocazione, va rilevato, anzitutto, che costituisce orientamento ormai consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, quello secondo cui ai fini della configurabilità dell’attenuante della provocazione occorrono: a) lo "stato d’ira", costituito da una situazione psicologica caratterizzata da un impulso emotivo incontenibile, che determina la perdita del poteri di autocontrollo, generando un forte turbamento connotato da impulsi aggressivi; b) il "fatto ingiusto altrui", costituito non solo da un comportamento antigiuridico in senso stretto ma anche dall’inosservanza di norme sociali o di costume regolanti la ordinaria, civile convivenza, per cui possono rientrarvi, oltre ai comportamenti sprezzanti o costituenti manifestazione di iattanza, anche quelli sconvenienti o, nelle particolari circostanze, inappropriati; c) un rapporto di causalità psicologica tra l’offesa e la reazione, indipendentemente dalla proporzionalità tra esse, (in tal senso Cass. sez. 5^ sentenza n. 12558 13 febbraio – 16 marzo 2004, ric. Fazio). In particolare questa Corte, con riferimento all’indagine diretta a stabilire l’adeguatezza psicologica della condotta "omicidiaria" all’afflizione determinata nell’agente dall’altrui comportamento, ha precisato che l’esistenza di una evidente sproporzione tra reazione ed offesa, rappresenta un "parametro utile alla valutazione dello stato d’animo del reo", in quanto idonea ad evidenziare nell’autore della condotta materiale, "sentimenti e stati psicologici diversi dallo stato d’ira" (in tal senso Cass., sez. 5^ sentenza n. 24693 del 2 marzo 2004 – 31 maggio 2004 ric. Vannozzi).

Orbene, è agevole rilevare che in punto di negazione dell’attenuante ex art. 62 c.p.p., n. 2 la motivazione della sentenza impugnata – riportata nelle sue linee essenziali in sede di esposizione dello svolgimento del processo – risulta pienamente rispettosa dei principi di diritto sin qui evidenziati ed aderente alle risultanze processuali, specie allorquando, oltre ad escludere la ravvisabilità del "fatto ingiusto" della vittima in considerazione della reciprocità delle offese chiaramente emersa dalle emergenze istruttorie, ha correttamente evidenziato, che pur non richiedendosi nella provocazione la proporzione tra reazione ed offesa, occorre tener conto, comunque, di un criterio di adeguatezza, proprio per valutare lo stato d’animo dell’agente, che, nel caso di evidente sproporzione della condotta, tradisce, in effetti, sentimenti e stati psicologici diversi dallo stato d’ira.

In particolare, nella specie, i giudici di merito, all’esito di un’attenta ricostruzione fattuale, che ha riguardato (conformemente alle linee interpretative suggerite da Cass., sez. 1^, sentenza n. 40550 del 22 settembre – 15 ottobre 2004, imp. Angiuoni) la condotta del ricorrente nel suo globale svolgimento, rivelatrice di uno stato "d’incontenibile risentimento o stizza" nei confronti del nipote, tale da indurlo ad armare la sua mano e tornare sul cantiere per chiudere in modo violento il dissidio, sono pervenuti alla conclusione, immune da vizi logici o giuridici, che mancava un rapporto di adeguatezza tra il preteso fatto ingiusto della vittima e la reazione dell’agente.

2.2 – Fondato e meritevole di accoglimento deve ritenersi, invece, il motivo di impugnazione prospettato con riferimento alla ritenuta sussistenza dell’aggravante del motivi futili.

Al riguardo non è superfluo precisare che in tema di aggravanti questa Corte ha da tempo chiarito che costituisce motivo futile "la determinazione criminosa che trova origine in uno stimolo tanto lieve, quanto sproporzionato, da prospettarsi più come un pretesto che non una causa scatenante della condotta antigiuridica". In particolare, questa Corte ha già avuto modo di evidenziare come "la peculiare caratteristica del motivo futile, il quale non attiene alla sfera intellettiva o volitiva, bensì a quella morale, è data dalla enorme sproporzione tra il motivo e l’azione delittuosa, che suscita un senso di riprovazione da parte della generalità delle persone in cui vive ed agisce il soggetto attivo del reato" (in termini si veda Sez. 1, Sentenza n. 7034 del 30/01/1996, dep. l’11/07/1996, Rv.

205325, imp. Sassano). Il giudizio sulla futilità del motivo, per altro, secondo l’orientamento ormai prevalente nella giurisprudenza di questa Corte, non può essere astrattamente riferito ad un comportamento medio, difficilmente definibile, ma va ancorato agli elementi concreti della fattispecie, tenendo conto delle connotazioni culturali del soggetto giudicato, nonchè del contesto sociale in cui si è verificato il tragico evento e dei fattori ambientali che possono aver condizionato la condotta criminosa (in tal senso, ex multis, Sez. 1, Sentenza n. 26013 del 14/06/2007, dep. Il 5/07/2007, Rv. 237336, imp. Vallelunga). Orbene, è agevole rilevare, che la Corte territoriale, allorquando, per affermare l’esistenza della aggravante di cui trattasi, ha valorizzato l’esistenza di un’assoluta sproporzione tra la spinta omicidiaria tutta interna, innescata dalla contestazione da parte della vittima dell’opportunità di una scelta aziendale e la grave azione delittuosa, non ha fatto corretta applicazione del principi illustrati in precedenza, pervenendo ad una valutazione di futilità della determinazione criminosa, in base a considerazioni del tutto astratte, che risultano prescindere, In definitiva, dal contesto sociale in cui si è verificato il tragico evento e del fattori ambientali che possono aver condizionato la condotta criminosa.

Al riguardo non è superfluo rammentare che questa Corte, proprio con riferimento ad una fattispecie che presenta significative analogie con quella in esame (omicidio, aggravato da rapporto di parentela), ha già avuto modo di precisare che "se di norma è sufficiente, per ritenere sussistente la circostanza aggravante dei futili motivi, far riferimento, alla sproporzione (oggettiva) esistente tra movente e azione delittuosa, in particolari circostanze sono necessarie indagini più approfondite per accertare che la sproporzionata reazione allo stimolo sia, piuttosto che rivelatrice di un istinto criminale più spiccato – da punire più severamente -, il portato di una concezione particolare, che annette a certi eventi un’importanza di gran lunga maggiore rispetto a quella che la maggior parte delle persone vi riconnette" (Sez. 1, Sentenza n. 853 del 27/11/1995, dep. 27/01/1996, Rv. 203499, Imp. Coppolaro).

L’astrattezza ed incompletezza della valutazione compiuta dalla Corte territoriale in merito alla sussistenza dell’aggravante, risulta ancora più evidente ove si consideri che, proprio i giudici di appello, sia pure al fine di motivatamente escludere l’applicabilità dell’attenuante della provocazione, non hanno mancato di evidenziare (pag. 8 della sentenza Impugnata), che l’omicidio di cui è processo è avvenuto "in un contesto rurale familiare, dove anzianità è ancora sinonimo di prestigio e dove un’offesa recata da un giovane ad un anziano, davanti ad altri congiunti, può assumere toni particolarmente dolorosi per chi la riceve". 3. – Alla stregua delle considerazioni che precedono, s’impone allora l’annullamento della sentenza impugnata limitatamente all’aggravante dei motivi futili, con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte d’Assise di Appello di Napoli, che si atterrà ai principi precedentemente esposti.
P.Q.M.

annulla la sentenza impugnata limitatamente all’aggravante dei motivi futili e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte d’Assise di Appello di Napoli. Rigetta nel resto il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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