Cass. civ. Sez. III, Sent., 04-10-2011, n. 20286 Responsabilità civile per ingiurie e diffamazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza 29 gennaio – 14 febbraio 2008 la Corte di appello di Trento ha rigettato la domanda di T.A., titolare di officina meccanico auto, intesa ad ottenere risarcimento danni per ingiuria e diffamazione da due clienti P.M. e B. T. la quale ultima secondo quanto esposto in citazione 11 maggio 2004-avrebbe pronunciato al telefono le seguenti frase, a lui indirizzate: "Bastardo, disonesto, figlio di puttana, ti faccio spaccare le gambe da chi so io". Le due convenute non negavano di avere avuto contrasti con l’attore in conseguenza dell’acquisto di una motocicletta risultata poi affetta da numerosi vizi.

Negavano tuttavia di avere usato nei suoi confronti le espressioni offensive riferite.

I giudici di appello di Trento concludevano che la istruttoria compiuta non aveva condotto ad una prova certa dei fatti addebitati alle due donne.

Avverso tale decisione il T. ha proposto ricorso per cassazione, sorretto da due motivi, cui resistono le intimate con controricorso.

Il Collegio ha raccomandato una motivazione breve della decisione.
Motivi della decisione

Con il primo motivo il ricorrente denuncia carenza ed illogicità della motivazione in ordine alla attendibilità dei testimoni.

L’appellante aveva ribadito la assoluta inattendibilità del testimone indotto dalle convenute, facendo presente i rapporti di amicizia esistenti tra lo stesso e le convenute. In modo inspiegabile, invece, i giudici. di appello avevano dato peso solo a questa testimonianza, ritenendo inattendibili i testimoni della parte attrice (rispettivamente segretaria del T. ed assicuratore, notoriamente in rapporti di amicizia e di lavoro con il titolare della officina).

Con il secondo motivo, si deduce la carenza e/o illogicità della motivazione in ordine alla asserita assenza di prova sul proferimento di frasi offensive, basata sulla testimonianza del G., il quale aveva riferito di avere assistito da una telefonata intercorso tra il T. e la P., escludendo che questa – nel corso di tutta la conversazione telefonica – avesse pronunciato parole offensive o ingiuriose nei confronti del titolare della officina.

Non poteva del resto escludersi che tra le due parti fossero intercorse altre conversazioni telefoniche nello stesso periodo.

Osserva il Collegio: attraverso la denuncia di vizi della motivazione, il ricorrente sollecita una diversa ricostruzione delle risultanze processuali, inammissibile in questa sede.

Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, la valutazione delle risultanze della prova testimoniale ed il giudizio sulla attendibilità dei testimoni e sulla loro credibilità involgono apprezzamenti di fatto, riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della decisione una fonte di prova, con esclusione di altre, non incontra alcun limite se non quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare ogni deduzione difensiva.

In altre parole, non occorre che il giudice valuti analiticamente tutte le risultanze processuali ed ogni singola argomentazione prospettata dalle parti, essendo invece sufficiente che egli indichi gli elementi sui quali intende fondare il proprio convincimento e l’"iter" seguito nella valutazione degli stessi, implicitamente disattendendo quelli logicamente incompatibili con la decisione adottata.

Nel caso di specie, i giudici di appello hanno preso in esame le deposizioni testimoniali raccolte ed hanno concluso che non vi era la prova dei fatti contestati, anche se alcuni elementi raccolti nel corso della istruttoria deponevano a favore della parte attrice.

In particolare, sottolinea la Corte territoriale, proprio i rapporti di amicizia o di lavoro intercorrenti tra le parti ed i (rispettivi) testimoni erano tali da incidere sulla genuinità delle dichiarazioni rese da questi ultimo, determinando "uno stato di assoluta incertezza sulla verificazione del fatto costitutivo del diritto azionato, sì che non può ritenersi soddisfatto l’onere probatorio da parte di T.A.".

Di fronte a tale, motivata, conclusione si infrangono tutte le censure formulate dal ricorrente, che deve essere condannato al pagamento delle spese liquidate in dispositivo in favore delle controricorrenti.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese che liquida in Euro 3.200,00 (tremiladuecento/00) di cui Euro 3.000,00 (tremila/00) per onorari di avvocato, oltre spese ed accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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