Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 01-02-2011) 01-06-2011, n. 22047

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

t. MAZZOTTA Gabriele che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
Svolgimento del processo

1. – I.K. è stato condannato alla pena di anni 6 (sei) di reclusione ed Euro 222.000 (duecentoventiduemila) di multa, siccome ritenuto colpevole – dal Tribunale di Ancona prima e dalla Corte di Appello della sede, poi – del reato di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 12, commi 1 e 3 e comma 3 bis, lett. a), e) e c- bis), perchè, in concorso con M.J. (coimputato non appellante) compiva atti diretti a procurare l’ingresso nel territorio dello Stato, in violazione di legge, di n. 20 (venti) cittadini afgani, nascosti all’interno di un vano "doppio fondo", appositamente realizzato all’interno di un rimorchio appena sbarcato al porto di Ancona, agganciandolo ad una motrice già in sosta presso il porto, per allontanarli dalla zona portuale; con le aggravanti di avere commesso il fatto in relazione all’ingresso di oltre 4 clandestini (comma 3 bis, lett. a, D.Lgs. citato); sottoponendo le persone a trattamento inumano e degradante (comma 3 bis, lett. e), essendo stipati nel doppio fondo; nonchè avvalendosi di servizi internazionali di trasporto (comma 3 bis, lett. c-bis); fatto commesso in (OMISSIS).

2. – Avverso la sentenza della Corte di Appello di Ancona emessa il 22 luglio 2009, ha proposto ricorso per cassazione lo I., personalmente, prospettando quattro motivi d’impugnazione.

2.1 – Premesso che il principale elemento di accusa a carico dell’imputato, secondo la sintonica valutazione dei giudici di merito, è rappresentato dalle dichiarazioni rese, in sede di convalida di arresto, dal coimputato M.I. – colui che, il 4 giugno 2009 era stato fermato per un controllo dalla Guarda di Finanza, allorquando, alla guida di una "motrice", alla quale aveva provveduto ad agganciare il rimorchio al cui interno erano nascosti gli immigrati clandestini, stava per uscire dall’area portuale – emergendo, dalle stesse, li coinvolgevano nell’attività illecita dell’odierno ricorrente, indicato come la persona che, su disposizione di un non meglio identificato committente arabo, aveva accompagnato il M. in Italia dalla Grecia, con l’incarico di prelevare il rimorchio, giunto in Italia a bordo di una motonave, con il primo motivo d’impugnazione il ricorrente ripropone l’eccezione di nullità-inutilizzabilità di tali dichiarazioni, ex art. 106 c.p.p., comma 4 bis, disattesa dai giudici di merito, con motivazioni ritenute incongrue dal ricorrente. Ed invero, chiarito preliminarmente che al momento dell’interrogatorio reso dal M. e lo I. in sede di convalida, gli stessi erano assistiti da un unico difensore, mentre la Corte territoriale ha ritenuto che la dedotta incompatibilità della difesa non poteva considerarsi causa di nullità e conseguente inutiiizzabilità delle dichiarazioni del M., e ciò a ragione sia della brevità dei termini stabiliti per l’espletamento delle formalità finalizzate alla convalida, tenuto conto che la effettiva incompatibilità tra le linee difensive dei due imputati era emersa formalmente solo nel corso dell’Interrogatorio, sia a ragione della scelta del rito abbreviato da parte dell’imputato, nel senso che avendo lo I. accettato di essere giudicato "allo stato degli atti", lo stesso avrebbe rinunciato, sia pure implicitamente, a far valere eventuali cause di inutilizzabilità della prova, da parte del ricorrente si deduce, in ricorso, l’illegittimità di siffatte rationes decidendi, comportando l’incompatibilità della difesa la nullità assoluta di tutti gli atti compiuti sino al momento dell’emissione dell’ordinanza cautelare e non già la mera inutilizzabilità degli stessi, con conseguente nullità anche delle due sentenza di condanna, posto che l’affermazione di responsabilità dello I. risulta fondarsi esclusivamente sulle illegittime dichiarazioni del M..

2.2 – Con il secondo motivo di impugnazione il ricorrente denuncia l’errata valutazione delle prove e la violazione dell’art. 192 cod. proc. pen., avendo i giudici di appello ritenuto, in base ad argomentazioni incongrue, le dichiarazioni del M. un elemento sufficiente per l’affermazione della sua penale responsabilità, in quanto asseritamente coerenti con i risultati dell’attività di osservazione diretta della Guardia di Finanza, che aveva notato lo I., circa un’ora prima del controllo del M., in compagnia del predetto coimputato, a bordo della motrice, avvicinarsi al rimorchio e nell’atto di "trafficare" con il cordoncino del telone dello stesso, senza In alcun modo considerare, tuttavia, per un verso, che il ricorrente, al momento del controllo, si trovava in un luogo diverso, e che era stato solo il M. ad agganciare il rimorchio alla motrice e a tenere i contatti con l’ignoto committente del trasporto; dall’altro, che nessun concreto elemento di prova dimostrava che esso ricorrente fosse al corrente della presenza degli immigrati clandestini all’interno del rimorchio degli immigrati clandestini, tale consapevolezza costituendo, al pari della ritenuta sussistenza delle contestate aggravanti, il frutto di semplici congetture ovvero di valutazioni apodittiche, ove si consideri che nessuno dei pretesi cittadini extracomunitari risulta essere stato identificato o aver mai dichiarato di aver versato qualche somma ad esso ricorrente, nè di aver subito un "trattamento inumano e degradante". 2.3 – Con il terzo motivo d’impugnazione, strettamente connesso al secondo, il ricorrente denuncia la violazione dell’art. 530 cod. proc. pen. nel senso che gli elementi di prova raccolti a carico di esso ricorrente dovevano ritenersi "scarsi ed Incerti", insufficienti a fondare un’affermazione di penale responsabilità "al di là di ogni ragionevole dubbio". 2.4. – Con il quarto ed ultimo motivo di impugnazione, il ricorrente denuncia, infine, in via gradata, l’illegittimità della sentenza impugnata per violazione di legge e vizio di motivazione, relativamente all’entità della pena inflitta ed al diniego delle attenuanti generiche, immotivatamente escluse, le quali andavano, invece riconosciute e nella loro massima estensione, con giudizio di prevalenza.
Motivi della decisione

1. – L’impugnazione proposta da I.K. è basata su motivi infondati e va quindi rigettata.

2.1 – Con riferimento al primo motivo d’impugnazione, va infatti rilevato che nessun profilo di illegittimità può fondatamente ravvisarsi con riferimento alla decisione della Corte territoriale di disattendere l’eccezione di nullità degli atti successivi all’arresto del ricorrente, per incompatibilità del difensore, sollevata ex art. 106 c.p., comma 1, (Incongruo risultando il riferimento, in ricorso, anche al comma 4 bis della citata norma, che riguarda una diversa fattispecie, non emergendo dagli atti che uno stesso difensore abbia assunto la difesa di giù imputati che abbiano reso dichiarazioni concernenti la responsabilità di altro imputato).

2.1.1 – Pertinente e condivisibile deve ritenersi, anzitutto, il principio di diritto, evocato dai giudici di appello per disattendere l’eccezione, secondo cui "va esclusa la rilevanza della incompatibilità della difesa di più imputati nello stesso procedimento, emersa nel corso di un interrogatorio reso in sede di convalida dell’arresto, in considerazione della brevità dei termini stabiliti per l’espletamento delle formalità finalizzate alla convalida" (Sez. 4, Sentenza n. 2166 del 22/06/1999, dep. il 4/08/1999, Rv. 214583, imp. Sebi).

Ed invero, l’assunto del ricorrente secondo cui già nell’immediatezza dell’arresto il coimputato M. avrebbe reso all’autorità di polizia dichiarazioni accusatorie nei suoi confronti, si rivela infatti privo di adeguato riscontro, non avendo lo I., in violazione del generale principio di autosufficienza del ricorso, allegato allo stesso alcun specifico atto che corrobori tale asserzione.

2.1.2 – In ogni caso, il collegio non può esimersi dal rilevare che anche l’ulteriore argomento fornito dai giudici di appello per disattendere l’eccezione risulta immune da censura.

Anche qualora si ritenga, infatti, così come affermato in un’isolata decisione di questa Corte (Sez. 1, Sentenza n. 26104 del 7/06/2005, dep. il 14/07/2005, Rv. 232123, imp. Perseci, relativa, per altro, ad un’ipotesi di inosservanza dell’art. 106 c.p.p., comma 4 bis), che la violazione del divieto di assumere la difesa di più Imputati con posizioni diverse e tra loro incompatibili, costituisca un motivo di nullità (ma in senso difforme è da segnalare, ex multis, Sez. U, Sentenza n. 21834 del 22/02/2007, dep. il 5/06/2007, Rv. 236373, imp. Dike), si tratterebbe, pur sempre, di un motivo di nullità classificabile tra quelle a regime intermedio ( art. 180 cod. proc. pen.), in quanto derivante dall’inosservanza di norme incidenti sull’assistenza prestata dal difensore, con la conseguenza che la stessa è soggetta al regime stabilito dall’art. 182 c.p.p., comma 2, e deve quindi ritenersi sanata, qualora la parte che abbia assistito all’atto non la abbia eccepita, e in ogni caso non più deducibile, a seguito della scelta del giudizio abbreviato, in quanto la richiesta del rito speciale opera un effetto sanante della nullità ai sensi dell’art. 183 cod. proc. pen. (in tal senso, con riferimento all’omesso espletamento dell’interrogatorio a seguito dell’avviso di cui all’art. 415-bis cod. proc. pen., Sez. 1, Sentenza n. 19948 del 5/05/2010, dep. il 26/05/2010, Rv. 247566, Imp. Meraflna).

2.2 – Quanto poi al secondo e terzo motivo d’impugnazione – con i quali il ricorrente prospetta vizi di violazione dei canoni di valutazione probatoria e di carenza e di manifesta illogicità della motivazione e, conseguentemente l’insufficienza degli elementi di prova a suo carico a fondare una pronuncia di condanna – ritiene anzitutto il collegio che risultando gli stessi tra loro strettamente collegati ed interdipendenti, ben possono essere esaminati unitariamente.

Ciò posto, giova premettere che questa Corte ha da tempo chiarito, che il compito del giudice di legittimità non è quello di sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito in ordine all’affidabilità delle fonti di prova, bensì di stabilire se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano fornito una corretta interpretazione di essi, dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti (così Cass., Sez. U, Sentenza n. 930 del 29/1/1996, Rv.

203428). In applicazione di tale condivisibile principio di diritto è agevole rilevare come nessun profilo di illegittimità è fondatamente ravvisa bile nella decisione impugnata, avendo la Corte territoriale fornito esauriente e logica spiegazione delle ragioni – solo concisamente indicate al paragrafo 2.1 della esposizione in fatto – per cui doveva ritenersi che lo I. avesse fornito un contributo casuale rilevante al trasporto di stranieri nello Stato e dovesse rispondere, a titolo di concorso con il M., del delitto ad essi contestato. Ed invero entrambi i giudici di merito hanno ritenuto, in base ad un percorso argomentativo del tutto logico e coerente, che costituiva un dato fattuale certo, nel presente giudizio, sulla scorta delle dichiarazioni del M. ma anche in base a circostanze direttamente percepite dal personale della Guardia di Finanza che aveva operato l’arresto degli imputati, dal contenuto di un messaggio SMS inviato dal M., dallo scambio di comunicazioni telefoniche intercorse tra coimputati, dall’unicità della prenotazione del viaggio in Italia effettuato dagli stessi, che lo I. aveva materialmente partecipato alla consumazione del reato, avendo proceduto, di concerto con il M., all’attività di recupero del rimorchio, arrivato In Italia con una motonave che svolgeva un servizio di trasporto dalla Grecia, apparentemente vuoto e dal quale, a detta del personale di polizia giudiziaria, emanava "un forte odore nauseabondo" ed al cui interno, risultavano stipati venti stranieri di nazionalità afgana, costretti a convivere in un spazio particolarmente angusto, nell’impossibilità "di poter soddisfare esigenze fisiologiche primarie".

In presenza di un siffatto plausibile percorso argomentativo, è agevole rilevare che le deduzioni dello I., riguardanti, nelle loro poliformi articolazioni, la valutazione di attendibilità e coerenza dei dati valorizzati dai giudici di merito, nonchè l’effettiva consapevolezza da parte del ricorrente dell’esistenza nel rimorchio di un "doppiofondo" e della presenza nello stesso di cittadini stranieri, nonchè la sussistenza delle aggravanti contestate, lungi dal dimostrare un effettivo ed inconfutabile travisamento delle emergenze processuali, si risolvono in una generica protesta d’innocenza, In una sollecitazione a compiere una "rilettura" degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, non consentita a questa Corte di legittimità. 2.3 – Infondato risulta, infine, anche l’ultimo motivo di impugnazione relativo a pretese carenze motivazionali in merito all’esame delle censure sollevate nell’atto di appello relativamente al diniego delle attenuanti generiche ed alla misura della pena inflitta al ricorrente, ove si consideri che, contrariamente a quanto dedotto nel ricorso, i giudici di appello hanno fornito una adeguata motivazione sul punto riferita specificamente alla persona dello I., espressamente evidenziando che allo stato di incensuratezza non sono ricollegabili "automaticamente" le attenuanti generiche, la cui concessione era da escludersi anche a ragione del suo comportamento processuale, specificando altresì, che la natura del reato e la oggettiva gravita del fatto giustificavano la determinazione della pena nella misura inflitta dal primo giudice.

Tale pur concisa motivazione, deve ritenersi, infatti, del tutto adeguata e conforme a principi ripetutamente affermati da questa Corte, secondo cui:

– al fini dell’assolvimento dell’obbligo della motivazione in ordine al diniego della concessione delle attenuanti generiche, il giudice non è tenuto a prendere in considerazione tutti gli elementi prospettati dall’imputato, essendo sufficiente che egli spieghi e giustifichi l’uso del potere discrezionale conferitogli dalla legge con l’Indicazione delle ragioni ostative alla concessione e delle circostanze ritenute di preponderante rilievo" (così ex multis Cass., sez. 2, sentenza n. 2285 dell’11/10/2004 – 25/1/2005, riv.

230691 rie. Alba ed altri);

– l’obbligo della motivazione in ordine alla entità della pena irrogata deve ritenersi sufficientemente osservato, qualora il giudice dichiari di ritenere "adeguata" o "congrua" o "equa" la misura della pena applicata o ritenuta applicabile nel caso concreto, essendo la scelta di tali termini, infatti, sufficiente a far ritenere che il giudice abbia tenuto conto, intuitivamente e globalmente, di tutti gli elementi previsti dall’art. 133 cod. pen. (in tal senso, ex multis Cass., Sez. 6, Sentenza n. 7251 del 24/5/1990, Rv. 184395).

3. – Il rigetto del ricorso comporta le conseguenze di cui all’art. 616 cod. proc. pen. in ordine alla spese del presente procedimento.
P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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