Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 01-02-2011) 01-06-2011, n. 22046

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Il 23 febbraio 2010 la Corte di appello di Ancona confermava la sentenza del Tribunale della stessa città, in data 16.9.2009, con la quale Z.M.A. è stato condannato alla pena di anni sei di reclusione ed Euro 360.000,00 di multa, con le pene accessorie e l’espulsione dal territorio dello Stato, in relazione al reato di cui all’art. 110 cod. pen. e D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 12, comma 3 e comma 3-bis, lett. a) e z-bis), perchè, al fine di trarre profitto, unitamente ad altre due persone, organizzava ed eseguiva il viaggio dalla Germania alla Grecia con un camper, che sbarcava poi il 26.7.2007 al porto di Ancona con una motonave proveniente dalla Grecia, trasportando ventuno cittadini sedicenti iracheni.

Come si rileva dalle sentenze di primo e secondo grado, il camper al momento dello sbarco nel porto di Ancona e del controllo della polizia di frontiera era condotto dal coimputato B.M. O. insieme alla compagna P.P.D.; la presenza dell’imputato, sbarcato a piedi e sfuggito ai controlli, emergeva dai primi accertamenti.

La responsabilità dell’imputato veniva, quindi, affermata sulla base delle dichiarazioni auto ed etero accusatorie rese dal coimputato, B.M.O., acquisite ai sensi dell’art. 512 cod. proc. pen.; questi aveva riferito in maniera specifica, logica e coerente i fatti che risultavano trovare univoco riscontro nella circostanza che al momento dell’arresto il predetto veniva trovato in possesso dei biglietti di viaggio, dell’andata e del ritorno, intestati all’imputato che, peraltro, compariva In una foto scattata con il telefono cellulare di uno dei coimputati che lo ritraeva davanti al bar del porto di Ancona.

Di tal che, ad avviso dei giudici di merito, la tesi difensiva dell’imputato – di essersi fatto accompagnare dal B. in Grecia per far visita ad alcuni parenti e di averlo poi incontrato solo per caso sulla nave del ritorno – risultava non solo inverosimile, ma assolutamente smentita.

In ordine alla utilizzabilità delle dichiarazioni rese dal coimputato, acquisite ai sensi dell’art. 512 cod. proc. pen., contestata dal difensore con i motivi di appello, la Corte territoriale rilevava che l’irreperibilità sopravvenuta del soggetto – alla quale non può attribuirsi presuntivamente il significato della scelta volontaria di sottrarsi all’esame dell’imputato – laddove accertata con rigore, integra senza dubbio l’ipotesi di oggettiva impossibilità della formazione della prova in contraddittorio e di conseguente irripetibilità dell’atto dovuta a fatti imprevedibili; nella specie, non era ragionevolmente prevedibile che il coimputato, cittadino tedesco residente in Lussemburgo, identificato a mezzo di regolare passaporto tedesco, si rendesse irreperibile.

Quanto al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, la Corte richiama la decisione del giudice di primo grado evidenziando che, nella specie, tale riconoscimento non può essere fondato su alcun argomento, pur in considerazione della incensuratezza dell’imputato, tenuto conto che il fatto è di entità non trascurabile e di notevole allarme sociale.

2. L’imputato ha proposto ricorso per cassazione, tramite il difensore di fiducia, denunciando violazione di legge e vizio di motivazione:

a) in relazione all’applicazione dell’art. 512 c.p.p. e art. 526 c.p.p., comma 1-bis, atteso che – tenuto conto che la responsabilità dell’imputato è stata affermata soltanto sulla base delle dichiarazioni del coimputato – la difficoltà di rintracciare il predetto da parte dell’accusa non può considerarsi impossibilità di natura oggettiva, nè tanto meno era imprevedibile; in specie, agli atti non risultano, neppure in copia, i passaporti dai quali sarebbero stati identificati i coimputati e tratti gli indirizzi ritenuti affidabili, nè è stata fatta alcuna ricerca dei predetti presso le autorità consolari tedesca e brasiliana;

b) in relazione all’art. 192 c.p.p., comma 3, contesta che il possesso del biglietto di viaggio possa costituire idoneo riscontro, tenuto conto, peraltro, che si tratta di biglietti con numeri non consecutivi e per posti diversi dal che deve desumersi che non erano stati acquistati insieme;

c) in relazione al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 12, comma 3 e comma 3- bis, lett. a) e c-bis), afferma che non può ritenersi configurabile il reato contestato in mancanza della prova del profitto e della condizione di cittadini extracomunitari delle persone trasportate sul camper.

Il ricorrente deduce, infine, il vizio di motivazione in ordine al diniego delle circostanze attenuati generiche, trattandosi di motivazione generica nella quale non si è tenuto conto del comportamento dell’imputato che non ha mai cercato di sottrarsi alla giustizia, tanto che è stato tratto in arresto in esecuzione di m.a.e. nel febbraio 2009 dopo essersi presentato spontaneamente alla polizia.
Motivi della decisione

Il primo motivo di ricorso – preliminare ed assorbente – relativo alla valutazione in ordine alla utilizzabilità delle dichiarazioni rese dal coimputato è fondato alla luce degli arresti della giurisprudenza di questa Corte.

Come è stato evidenziato, il tema della possibilità di derogare alla regola generale della formazione della prova orale nel contraddittorio, fissata dall’art. 526 cod. proc. pen. in attuazione del disposto dell’art. 111 Cost., comma 5, assume particolare delicatezza anche in relazione al rispetto del dettato dell’art. 6, comma 3, lett. d) della Cedu, come interpretato dalla Corte Europea.

Ciò impone di offrire un’interpretazione degli artt. 512 e 512-bis cod. proc. pen. rigorosa che limiti ai casi di effettiva impossibilità le ipotesi di compressione del pieno esercizio del diritto dell’imputato di esaminare direttamente la persona che ha reso dichiarazioni a lui sfavorevoli.

Il bilanciamento fra le opposte esigenze condensato negli artt. 512 e 512-bis cod. proc. pen. ha formato oggetto di plurime pronunce di questa Corte, che hanno prospettato interpretazioni non sempre coerenti tra loro.

E’ stato affermato che la "assoluta impossibilità dell’esame dibattimentale" prevista dall’art. 512-bis cod. proc. pen. non consiste nella "totale e definitiva impossibilità materiale" di ottenere la presenza del dichiarante, assumendo valore decisivo ai fini della utilizzazione delle dichiarazioni predibattimentali la circostanza che risulti "realisticamente impossibile ottenere in tempi ragionevoli" tale presenza (Sez. 2, n. 32845 del 2007).

Ancora, in alcune decisioni (Sez. 2, n. 41260 del 2006; Sez. 6, n. 28845 del 2002, rv. 222437, e n. 9964 del 2003, rv. 224710) è stata ritenuta sufficiente l’avvenuta citazione della persona all’estero con le forme previste dall’art. 727 cod. proc. pen..

In altre occasioni è stato evidenziato che la deroga alla regola della formazione della prova in contraddittorio richiede una più incisiva attivazione dell’organo giudicante e la necessità che siano esperite tutte le attività che l’ordinamento mette a disposizione dell’autorità giudiziaria per ottenere la formazione della prova nel contraddittorio, non potendo assumere rilievo le eventuali "difficoltà logistiche" all’esperimento della rogatoria internazionale (Sez. 2, n. 5101 del 2009, rv 246277; Sez. 3, n. 25979 del 2009, rv 243956; Sez. 3, n. 12940 del 2006, rv 234637; Sez. 6, n. 28845 del 2002, rv 22743).

Tale ultimo, più rigoroso orientamento, risulta ulteriormente confermato alla luce dell’avviso di decisione delle S.U. del 25/11/2010 con la quale è stato affermato che, con riferimento all’art. 512-bis cod. proc. pen., l’assoluta impossibilità dell’esame dibattimentale della persona residente all’estero deve essere intesa in senso oggettivo.

Nel caso di specie, i giudici di merito hanno ritenuto sussistente una oggettiva impossibilità di formazione della prova in contraddittorio a causa della sopravvenuta irreperibilità del coimputato che aveva reso dichiarazioni predibattimentali, motivando in ordine alla imprevedibilità di detta irreperibilità, atteso che non era ragionevolmente prevedibile che il coimputato, cittadino tedesco residente in Lussemburgo, identificato a mezzo di regolare passaporto tedesco, si rendesse irreperibile. Tuttavia, la Corte non ha fornito alcuna indicazione in ordine alla assoluta ed oggettiva impossibilità di procedere all’esame del coimputato ed alla effettiva esecuzione delle attività che l’ordinamento mette a disposizione dell’autorità giudiziaria per ottenere la formazione della prova nel contraddittorio, previa adeguate ed approfondite ricerche e, se possibile anche eventuale rogatoria (partecipata).

Neppure, invero, tale valutazione può essere tratta dalla motivazione del giudice di primo grado che si è limitato ad indicare una nota del 14.9.2009 del Ministero dell’Interno nella quale si attestava l’irreperibilità del coimputato e della compagna dello stesso perchè sconosciuti alle autorità lussemburghesi, dal momento che il dichiarante risultava – per quanto si riferisce – cittadino tedesco ed in Germania non risultano svolte ricerche.

Stante, quindi, l’assoluta rilevanza e centralità delle dichiarazioni etero accusatorie ai fini dell’affermata responsabilità dell’imputato, la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Perugia.

Restano assorbiti gli ulteriori motivi di ricorso.
P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio alla Corte di appello di Perugia.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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