Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 20-01-2011) 01-06-2011, n. 22197 Omicidio colposo

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1- In data 12 giugno 2007 M.G. ha avanzato, per il tramite del difensore, munito di procura speciale, richiesta di riparazione per l’ingiusta detenzione sofferta, dal 1 maggio 1994 al 11 giugno 1995, in conseguenza di tre provvedimenti cautelari emessi dal Gip del Tribunale di Bologna nelle seguenti date: a) il 20.4.94, con imputazioni di omicidio, tentato omicidio, rapina ed altro; b) il 21.5.94, per il delitto di partecipazione ad associazione a delinquere di stampo mafioso; c) il 11.6.94, per il delitto di rapina ed altro. Le vicende riferite a detti provvedimenti custodiali sono state oggetto di tre diversi procedimenti penali, separatamente definiti con: a) decreto di archiviazione del 5.5.96; b) sentenza di non luogo a procedere del 27.6.96; c) sentenza assolutoria ex art. 530 cpv. cod. proc. pen. del 6.10.05.

Con ordinanza del 19 febbraio 2008, la Corte d’appello di Bologna, premesso che la richiesta di riparazione si riferiva a tre diversi procedimenti penali ed a tre diverse ordinanze di custodia cautelare, che tali processi erano autonomi l’uno dall’altro, erano stati separatamente trattati e definiti con provvedimenti diversi, l’ha respinta, rilevando: 1) con riguardo ai primi due procedimenti, in relazione ai quali erano state emesse le ordinanze cautelari del 20.4.94 e del 21.5.94, che essi erano stati definiti con provvedimenti, rispettivamente, del 5.5.96 e del 27.6.96, di guisa che doveva ritenersi ampiamente decorso, nei confronti degli stessi, il termine biennale di cui all’art. 315 cod. proc. pen., essendo stata la richiesta riparatoria proposta solo in data 12.7.07; 2) con riguardo al terzo procedimento, relativo al provvedimento custodiale dell’I 1.6.94, definito con sentenza assolutoria del 6.10.05, che la richiesta, questa volta tempestiva, non poteva essere accolta poichè l’istante, con la sua condotta gravemente colposa, aveva contribuito a dar causa al provvedimento restrittivo.

2 – Avverso tale ordinanza propone ricorso, per il tramite del difensore, il M., che deduce: a) Violazione di legge in relazione alla ritenuta tardività della richiesta di riparazione relativa alle misure custodiali del 20.4.94 e del 21.5.94, laddove la corte d’appello ha ritenuto autonomi i relativi procedimenti, rispetto a quello definito con sentenza del 6.10.05; procedimenti che, viceversa, presentavano una chiara connessione, estesa ai provvedimenti cautelari, in virtù della contestazione del delitto associativo; b) Vizio di motivazione del provvedimento impugnato con riguardo all’individuazione, in capo al ricorrente, in relazione alla vicenda definita con la citata sentenza del 6.10.05, di comportamenti gravemente colposi, ostativi al riconoscimento del diritto alla riparazione.

3- Il ricorso è infondato. a) Infondato è il primo dei motivi proposti, avendo i giudici della riparazione esattamente considerato l’autonomia e la diversità dei provvedimenti custodiali, adottati in tempi diversi e relativi a fattispecie criminose del tutto distinte tra loro. Proprio la diversità dei procedimenti e delle fattispecie criminose contestate ha giustamente indotto gli stessi giudici ad escludere la presenza di concrete ragioni per ritenere la sussistenza dell’invocata connessione tra le diverse vicende oggetto di quei procedimenti;

connessione che, d’altra parte, ove anche inizialmente ipotizzabile in ragione della contestazione del reato associativo (al quale si riferisce il secondo dei tre provvedimenti custodiali) è certamente venuta meno dopo la sentenza assolutoria del 27.6.96. Di guisa che, se, rispetto al primo dei provvedimenti cautelari, l’attesa della definizione del secondo procedimento, afferente il delitto associativo, aveva una sua valida giustificazione, viceversa, l’attesa che fosse definito il terzo autonomo procedimento, avente ad oggetto distinte vicende delittuose, prive di collegamento tra loro, si presenta del tutto irragionevole proprio in vista della diversità dei fatti contestati, dei provvedimenti cautelari adottati, dei procedimenti autonomamente avviati e definiti.

Non pertinente, peraltro, è il richiamo del ricorrente alla sentenza di questa Corte n. 2770/2000 posto che, come esattamente osserva il PG di legittimità nella sua requisitoria, unico era stato, in quel caso, il provvedimento restrittivo, relativo a due diversi titoli di reato, in relazione ai quali è stata giustamente affermata la necessità di una loro definizione processuale, unico ed inscindibile essendo il periodo di detenzione ad essi imputabile. b) Infondato è anche il secondo motivo di ricorso.

Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, in tema di riparazione per ingiusta detenzione al giudice del merito spetta, anzitutto, di verificare se chi l’ha patita vi abbia dato causa, ovvero vi abbia concorso, con dolo o colpa grave. A tal fine, egli deve prendere in esame tutti gli elementi probatori disponibili, relativi alla condotta del soggetto, sia precedente che successiva alla perdita della libertà, allo scopo di stabilire se tale condotta abbia determinato, ovvero anche solo contribuito a determinare, la formazione di un quadro indiziario che ha indotto all’adozione o alla conferma del provvedimento restrittivo. Tale condizione, ostativa al riconoscimento del diritto all’indennizzo, deve manifestarsi attraverso comportamenti concreti, precisamente individuati, che il giudice di merito è tenuto ad apprezzare, in modo autonomo e completo, al fine di stabilire, con valutazione "ex ante", non se essi abbiano rilevanza penale, ma solo se si siano posti come fattore condizionante rispetto all’emissione del provvedimento di custodia cautelare. Nulla vieta al giudice della riparazione di prendere in considerazione gli stessi comportamenti oggetto dell’esame del giudice penale, sempre che la valutazione di essi sia eseguita dal primo non rapportandosi ai canoni di giudizio del processo penale, bensì a quelli propri del procedimento riparatorio, che è diretto non ad accertare responsabilità penali, bensì solo a verificare se talune condotte abbiano quantomeno concorso a determinare l’adozione del provvedimento restrittivo.

Orbene, nel caso di specie, la corte distrettuale si è attenuta a tali principi, avendo ritenuto, con motivazione adeguata e coerente sotto il profilo logico, che la condotta del M. aveva sostanzialmente contribuito ad ingenerare, sia pure in presenza di errore dell’autorità inquirente, la rappresentazione di una condotta illecita dalla quale è scaturita, con rapporto di causa-effetto, la detenzione ingiustamente sofferta. E’ stato, in particolare, ricordato che il richiedente intratteneva rapporti con un esponente della criminalità milanese, già coinvolto in gravi delitti, in periodo prossimo all’adozione del provvedimento restrittivo, e con ambienti di criminalità, come emerso dai contenuti di una conversazione ambientale nella quale gli interlocutori, tra cui il M., facevano chiaro riferimento a programmi illeciti da realizzare. Condotte che il giudice della riparazione ha legittimamente ritenuto idonee a determinare negli inquirenti la convinzione di un coinvolgimento dell’odierno ricorrente nei reati ipotizzati.

Una condotta, quindi, che, seppur considerata priva di rilievo penale, è stata legittimamente ritenuta gravemente negligente ed integrante gli estremi della colpa grave, ostativa al riconoscimento del diritto alla riparazione, che ha quantomeno contribuito alla formazione di un quadro indiziario certamente significativo che ha determinato l’adozione del provvedimento restrittivo.

Il sindacato del giudice di legittimità sul provvedimento che rigetta o accoglie la richiesta di riparazione è, d’altra parte, limitato alla correttezza del procedimento logico-giuridico attraverso cui il giudice di merito è pervenuto alla decisione;

mentre resta di esclusiva pertinenza di quest’ultimo la valutazione dell’esistenza e dell’incidenza della colpa o dell’esistenza del dolo. Anche in ragione di ciò, l’ordinanza in esame non merita di essere censurata, essendo la decisione impugnata del tutto coerente rispetto alle circostanze emerse in sede processuale, correttamente valutate dalla corte territoriale e perfettamente in linea con i principi di diritto affermati da questa Corte in tema di riparazione.

Il ricorso deve essere, quindi, rigettato ed il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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