T.A.R. Lazio Roma Sez. II ter, Sent., 07-06-2011, n. 5040

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con il ricorso, notificato il 4 febbraio 2000 e depositato il successivo 29 febbraio, il sig. C.S., quale acquirente dell’azienda condotta dal sig. Distaso per la vendita di generi alimentari e non alimentari in un chiosco soggetto ad autorizzazione di installazione in un sito individuato in Via Maresciallo Pilsudski del Municipio II, ha impugnato l’atto meglio specificato in epigrafe perché lesivo del proprio interesse connesso allo svolgimento dell’attività commerciale nei locali sopra specificati. Nello stesso atto di gravame è stata, altresì, formulata una richiesta di accertamento del diritto al risarcimento del danno conseguente alla revoca della concessione di O.S.P..

Al riguardo, il medesimo ha prospettato come motivi di impugnazione la violazione di legge e l’eccesso di potere sotto svariati aspetti sintomatici.

Si è costituito in giudizio il Comune di Roma attraverso un mero atto formale di opposizione.

All’udienza del 20 aprile 2011 la causa è stata posta in decisione.
Motivi della decisione

Prima di esaminare nel merito le doglianze esposte dalla parte istante è opportuno fare delle premesse in fatto per definire l’ambito temporale ed il contesto concreto su cui va ad incidere il procedimento posto in essere dal Comune di Roma per dichiarare la decadenza della concessione di cui alla Determinazione Dirigenziale n. 439 del 2000.

Con nota del 6 luglio 2007 inviata al sig. Distaso ed al sig. C. il Direttore responsabile del Municipio II di Roma ha comunicato l’avvio del procedimento in discussione ai sensi e per l’effetto dell’art. 7 della legge n. 241 del 1990, ponendo in evidenza che l’aspetto concreto che ha dato avvio all’agire della p.a. è strettamente legato all’accertamento della mancata realizzazione del chiosco in disapplicazione di quanto stabilito nella citata determinazione n. 439 del 3 maggio 2000.

Successivamente, in data 6 novembre 2007, lo stesso Municipio II ha adottato il provvedimento di revoca della concessione di suolo pubblico per la vendita di generi compresi nel settore merceologico alimentare e non alimentare nel chiosco di 24 mq. con pensilina in Viale Maresciallo Pilsudski dal numero civico 2 in direzione Piazzale Ankara.

Tale provvedimento, impugnato dalla parte istante, si fonda sul rilievo della mancata attivazione – nei termini previsti dall’art. 8, comma 1, della delibera C.C. n. 119/2005 – dell’occupazione a suo tempo autorizzata a favore del dante causa nell’ambito del contratto di cessione di azienda stipulato il 3 agosto 2006 tra il sig. Distaso ed il sig. C..

Con il primo motivo di gravame il ricorrente si duole della nullità della notifica del provvedimento impugnato o comunque della sua inefficacia.

La censura non ha pregio atteso che un eventuale difetto di notifica non inficia la validità del provvedimento adottato dalla p.a., ma semmai la sua legale conoscenza ed esecutorietà.

Infatti, risulta pacifico in giurisprudenza che la mancata e/o non corretta notifica non determina l’illegittimità del provvedimento, bensì incide esclusivamente sulla decorrenza dei termini per impugnare. Pertanto, nel caso di esperita introduzione del ricorso da parte dell’interessato, la predetta mancanza si risolve esclusivamente in una mera irregolarità che risulta finalisticamente sanata dal tempestivo esercizio dell’atto di tutela dei suoi diritti (Cfr. da ultimo TAR Lazio, Sez. II, 4 febbraio 2011 n. 1061).

Con il secondo motivo di impugnazione la parte istante sostiene che la concessione di suolo pubblico è stata attivata dal sig. C. per semplice sub ingresso rispetto al chiosco assentito a favore del sig. Distaso. Tale sub ingresso è riferito all’autorizzazione amministrativa n. 474 del 2003 ed alla concessione di O.S.P. n. 439 del 2000.

Si precisa, altresì, che il dante causa aveva già attivato la predetta concessione mediante la realizzazione di una struttura mobile di mq. 24 con pensilina di mt. 0,40 sui quattro lati e per una superficie complessiva di mq. 32,64, facendo ricorso ad una istanza di proroga dei termini imposti nel provvedimento concessorio n. 439 del 2000.

Gli argomenti prospettati a difesa della parte istante non sono di per sé sufficienti per smentire in fatto la circostanza che – nei termini originariamente imposti dalla determinazione dirigenziale n. 439 del 2000 e dalla successiva proroga intervenuta con provvedimento del Municipio II n. 59622 del 19.12.2003, nonché dal connesso e collegato permesso di costruire n. 1328 del 18.11.2004 – non sono stati mai avviati i lavori per l’installazione del summenzionato chiosco da adibire alla vendita di generi alimentari e non alimentari.

Infatti, al di là della parziale descrizione dei fatti compiuta dal ricorrente, non risultano provate due circostanze:

a) il tempo esatto in cui sono iniziati e terminati i lavori per la realizzazione del chiosco in discussione, anche ai fini di determinare in concreto l’occupazione di suolo pubblico;

b) l’effettivo rilascio di un provvedimento di proroga dei predetti termini a favore del sig. Distaso.

Giova, altresì, rilevare che le dichiarazioni allegate al ricorso e la nota del direttore Dipartimento IX, indirizzata via fax al Municipio II l’11.2.2008, dimostrano, da un lato, che alla scadenza dei termini imposti originariamente non era stata data esecuzione al permesso di costruire n. 1328 del 2004, e dall’altro, che al momento dell’invio del fax non era stato ancora adottato alcun provvedimento di rinnovo dei termini per costruire.

Ciò induce il Collegio a ritenere che il ricorrente non può giovarsi né dell’atto di acquisto dell’azienda dal sig. Distaso (avvenuta il 3.8.2006, mentre i termini del permesso di costruire – mai prorogati – scadevano il 17 novembre 2005), né del provvedimento di sub ingresso nell’autorizzazione amministrativa rilasciata a favore del sig. Distaso dato che quest’ultimo si è sempre dichiarato nell’impossibilità economica di realizzare il summenzionato chiosco.

L’infondatezza delle doglianze e la correttezza dell’agire della p.a. conducono altresì a non poter accogliere la generica richiesta di risarcimento danni.

Per tutte le ragioni espresse, il Collegio respinge il ricorso perché infondato.

Sussistono giusti motivi, legati alla complessità ed alla durata della procedura, per compensare fra le parti le spese di giudizio.
P.Q.M.

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Compensa integralmente fra le parti le spese di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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