T.A.R. Lazio Roma Sez. II ter, Sent., 07-06-2011, n. 5039

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con il ricorso, notificato il 29 ottobre 2008 e depositato il successivo 12 novembre, il sig. V.M., proprietario del locale commerciale sito in Roma Via Labicana n. 29 accatastato con cat. C1 ed in regola con le norme igienicosanitarie, ha impugnato l’atto meglio specificato in epigrafe perché lesivo del proprio interesse connesso all’esercizio di un’attività commerciale – con laboratorio – per la somministrazione al pubblico di alimenti e bevande.

Al riguardo, il medesimo ha prospettato come motivi di impugnazione la violazione di legge e l’eccesso di potere sotto svariati aspetti sintomatici.

Si è costituito in giudizio il Comune di Roma, il quale ha eccepito l’infondatezza delle doglianze prospettate.

Nella Camera di Consiglio del 26 gennaio 2009 con ordinanza n. 374/2009 questo Tribunale ha accolto la domanda di sospensione degli effetti del provvedimento impugnato e con successiva ordinanza n. 1158/2009 del 3 settembre 2009 ha ordinato al Comune soccombente, in attesa della definizione nel merito della presente controversia, il rilascio dell’autorizzazione richiesta.

All’udienza del 20 aprile 2011 la causa è stata posta in decisione.

La motivazione del provvedimento impugnato è la seguente:

"Il presente diniego è motivato dal combinato disposto delle disposizioni contenute nell’ordinanza sindacale n. 6/2007 e dell’art. 25, comma 6, della legge Regionale n. 21 del 29.11.2006 secondo il quale fino alla determinazione dei criteri dei comuni di cui all’art. 5 non possono essere autorizzati nuovi esercizi di somministrazione, ad eccezione dei casi di subingresso e di trasferimento di sede nonché di procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della presente legge".

Gli argomenti addotti, secondo la tesi prospettata dal ricorrente nel primo motivo di gravame, sono in evidente contrasto con le norme comunitarie in materia di libera concorrenza e libera circolazione delle merci e dei servizi e con la normativa nazionale secondo cui le attività commerciali, come individuate dal D.Lgs. n. 114/1998, sono svolte senza limiti e prescrizioni previste.

La doglianza sopra descritta è fondata essendosi al riguardo consolidato un orientamento di questa sezione (cfr., da ultimo, TAR Lazio, Sez. II ter, 6 ottobre 2010 n. 32688).

Infatti, come ribadito in altre vertenze, questo stesso Tribunale ha già deciso una serie di questioni del tutto simili in senso favorevole al ricorrente (Cfr. tra le tante, TAR Lazio, Sez. II ter, sentenza n. 114 del 9.1.2008), annullando un analogo provvedimento di diniego basato sull’applicazione dell’art. 25,comma 6, della L.R. n. 21 del 29.11.2006, sul presupposto dell’entrata in vigore della normativa dettata dal D.L. 4 luglio 2006, n. 223, convertito in legge, con modificazioni, dalla Legge 4 agosto 2006, n. 248. Ne consegue l’illegittimità della delibera comunale n. 36/2006 e di tutti gli atti applicativi, incluso quello ora impugnato con il ricorso in epigrafe.

I precedenti giurisprudenziali unitamente alla citata decisione di questa sezione, peraltro, precisano anche che la Regolamentazione Comunale applicata è antecedente alla L.R. Lazio 29.11.2006, n. 21, la quale comunque (e in disparte ogni suo eventuale contrasto con i principi Comunitari della concorrenza e della libera circolazione delle merci e dei servizi) prevede la preventiva determinazione di criteri da parte delle amministrazioni comunali (nel rispetto degli indirizzi definiti dalla Giunta Regionale come pubblicati in BURL 30.8.2007); criteri che alla data di emanazione del provvedimento gravato non erano ancora posti in essere dal Comune di Roma.

Dunque, anche sotto tale profilo, risulta confermata l’illegittimità del diniego annullato dalla predetta sentenza, così come del diniego ora in esame, atteso che in entrambi i casi alcun riferimento vien fatto alla sussistenza ostativa di locali in un contesto urbano di particolare pregio artistico o architettonico, né alle altre condizioni indicate dall’art. 10, comma 3, della ripetuta L.R. n. 21 del 2006, come limite da rispettarsi per lo svolgimento dell’attività di somministrazione di alimenti e bevande.

I più volte citati orientamenti giurisprudenziali (Cfr. Tar Lazio, Sez. II ter, sentenze: nn. 906 del 6.2.2007; 4616 del 5.5.2009; 964 del 26.1.2010 e 3207 dell’1.3.2010) hanno dichiarato illegittimi i dinieghi e le limitazioni all’apertura di nuovi esercizi commerciali che si fondano esclusivamente su quote di mercato predefiniate o calcolate in modo astratto e autoritativo. Tale interpretazione ha trovato ulteriore conforto in decisioni di altri Tribunali Amministrativi, TAR Lombardia (ordinanza Sez. IV, 12 novembre 2007, n. 6259, 26 marzo 2008, n. 475), TAR Piemonte (ordinanza Sez. II n. 696 del 5.9.200), secondo cui è illegittimo il diniego alla domanda di autorizzazione per somministrazione di alimenti e bevande fondata sulle disposizioni del regolamento comunale, la cui efficacia, almeno per quanto concerne le limitazioni numeriche all’insediamento di nuove attività, è venuta meno alla data di entrata in vigore del D.L. n. 223 del 2006; nello stesso senso il Consiglio di Stato (Sez. V, Sentenza n. 2808 de15.5.2009), secondo cui in attuazione del principio di libera concorrenza, si deve ritenere impedito alle Amministrazioni di adottare misure regolatorie che incidano, direttamente o indirettamente, sull’equilibrio fra domanda e offerta, che deve invece determinarsi in base alle sole regole del mercato.

Per tutte le ragioni espresse, il Collegio accoglie il ricorso e conseguentemente annulla il provvedimento impugnato perché viziato da violazione di legge ed eccesso di potere per difetto di presupposti e di motivazione, facendo comunque salvi gli ulteriori provvedimenti della p.a..

Le spese seguono come di norma la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto annulla il provvedimento impugnato nei termini di cui in motivazione.

Condanna il Comune di Roma, resistente, al pagamento delle spese di giudizio che si liquidano in complessivi Euro 2.000 (duemila/00) a favore del ricorrente.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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