Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 27-04-2011) 03-06-2011, n. 22279 Sequestro preventivo

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

imento del processo

Il Tribunale del Riesame di Lecce con ordinanza in data 21-1-2011 confermava quella con la quale il GIP di quella città aveva convalidato il sequestro preventivo – disposto d’urgenza dal PM il 28- 12-2011 (rectius 2010), ed emesso il decreto di sequestro dell’impresa BRIN.CAR, corrente in (OMISSIS), intestata a P. E., e di tutti i beni aziendali, sull’assunto della partecipazione del predetto all’associazione, di tipo mafioso, denominata "sacra corona unita". La sussistenza del fumus commissi delicti era ravvisata nelle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Pe.

E., appartenente al clan dei Mesagnesi, il quale aveva riferito che, dopo un attentato dinamitardo alla concessionaria di P., sita a (OMISSIS) in quartiere (OMISSIS), la moglie ed il figlio di B.S., boss del clan Buccarella/Campana, in quel periodo detenuto, si erano recati da lui per chiedere conto dell’accaduto, avendo appreso che l’attentato era da ricondurre al suo clan di appartenenza, e, nell’occasione, la donna gli aveva detto che il loro interesse nasceva dal fatto che P. era persona a loro vicina e dava loro da mangiare. Espressione che i giudici del riesame ritenevano non riconducibile ad una posizione di soggezione di P. al clan Buccarella/Campana (ad esempio quale persona soggetta ad estorsione), perchè in tal caso sarebbe stata inspiegabile la scelta della sua concessionaria come obiettivo dell’attentato (che costituiva ritorsione ad analoga azione condotta contro il gruppo del Pe.), scelta invece compatibile con l’appartenenza di P. al clan avverso a quello dei Mesagnesi.

Le dichiarazioni del collaborante erano ritenute riscontrate da quelle di un altro collaborante, Pa., già affiliato al gruppo Campana, il quale aveva riferito che tra le persone vicine a B.S. vi era E. della concessionaria di (OMISSIS) (il nome di P. è E., e (OMISSIS) è la zona di Brindisi dove è ubicata la sua concessionaria), mentre al momento non ricordava altri affiliati a B.: con ciò dimostrando che i termini vicino e affiliato sono fungibili e che di conseguenza P. era affiliato a quel clan. Ulteriore riscontro era rintracciato in attività d’indagine che avevano evidenziato un incontro, il 1-9-2009, tra P. e C. F., nella villa della figlia di B., G.. Il tribunale del riesame riteneva che tanto bastasse a ritenere la sussistenza del fumus, non essendo richiesti i gravi indizi di colpevolezza necessari per l’applicazione delle misure cautelari personali, pur occorrendo dar conto delle risultanze a sostegno dell’impostazione accusatoria. In conseguenza reputava irrilevante la circostanza che il GIP non avesse convalidato il fermo di P. e non gli avesse applicato misure cautelari personali proprio per la mancanza di gravi indizi di colpevolezza.

Inoltre nel corso di una perquisizione a carico di C. A., moglie di B.S., erano state trovate cambiali per Euro 10.000, emesse da questa in favore del P., ritenute non riconducibili all’acquisto di autovetture da parte della donna e della nuora, in quanto molto antecedente.

Il rapporto di pertinenzialità delle cose sequestrate al reato, era ravvisato nella frase della C. secondo la quale P. dava loro da mangiare, da intendersi nel senso che ciò avveniva attraverso l’attività da questi gestita, sua unica fonte di reddito accertata. Inoltre l’interesse mostrato dalla moglie del boss per l’attentato subito da P., era significativo di rilevante interesse economico della famiglia Buccarella nella concessionaria.

Ricorre P. per il tramite dei difensori avv. D’Amuri e Tana, con vari motivi.

1) Motivazione apparente in ordine al fumus commissi delicti. Il tribunale non ha fornito motivazione della validità indiziaria dell’ambigua frase della C. riferita dal pentito Pe. ed ha omesso qualunque spiegazione circa l’esistenza delle cambiali, limitandosi a negarne la pertinenza ad acquisti di autovetture.

2) Violazione di legge in relazione al D.L. n. 306 del 1992, art. 12 sexies (norma richiamata soltanto dal tribunale del riesame, ma non nel decreto di convalida del sequestro, emesso ex art. 321 c.p.p., commi 1 e 2 e art. 416 bis c.p., comma 7), all’art. 416 bis c.p., comma 7, e alla mancanza di motivazione circa la sussistenza dei requisiti per il sequestro preventivo. In ordine al sequestro D.L. n. 306 del 1992, ex art. 12 sexies si deduce che è stato ignorato del tutto il requisito della sproporzione di beni rispetto al reddito e quello della mancata dimostrazione della legittima provenienza delle risorse impiegate per l’acquisto.

In ordine al sequestro finalizzato alla confisca ex art. 416 bis c.p., comma 7, il nesso di derivazione o collegamento del bene con il reato, è stato basato, con motivazione apparente, soltanto sulla frase attribuita da Pe. alla C..

Quanto al sequestro di cui all’art. 321 c.p.p., comma 1, cd. impeditivo, la pertinenzialità tra l’attività di P. e il reato associativo è stata del pari desunta soltanto dalla frase di cui sopra.

3) Violazione di legge per avere il tribunale del riesame utilizzato per la decisione un’annotazione di PG (allegata al ricorso) che non faceva parte degli atti trasmessi, attribuendole tra l’altro un contenuto diverso da quello effettivo, in quanto dalla stessa non risulta che P. si fosse incontrato con C.F. nella villa di B.G..
Motivi della decisione

L’attentato alla concessionaria BRIN.CAR di cui P. è titolare, rientra con tutta verosimiglianza nelle faide tra gruppi criminali organizzati del (OMISSIS), in posizione antagonistica tra loro. Ne consegue che, posto il collegamento tra il clan Campana-Buccarella e l’indagato, il solo esame da effettuare è quello circa la natura di tale collegamento e quindi circa l’esistenza del fumus commissi delicti, alla stregua delle concrete risultanze processuali e della effettiva situazione emergente dagli elementi offerti dalle parti. E’ infatti precluso sia l’accertamento del merito dell’azione penale che il sindacato sulla concreta fondatezza dell’accusa, nè sono estensibili alle misure cautelari reali le condizioni generali per l’applicabilità delle misure cautelari personali (Cass. 18078/2010), con conseguente irrilevanza della mancata convalida del fermo e della mancata applicazione di una misura cautelare personale al P..

Il nodo da sciogliere, dunque, è, secondo il citato parametro del fumus, e nei limiti della violazione di legge, unico vizio deducibile mediante il ricorso per cassazione, se la scelta dell’obiettivo da parte del gruppo avverso, fosse stata determinata dall’appartenenza dell’indagato al predetto clan – con conseguente pertinenzialità dell’azienda in sequestro al reato associativo -, oppure da altre circostanze.

1) L’adesione alla prima soluzione appare giustificata, sottraendosi dunque l’ordinanza impugnata alla censura di motivazione apparente dedotta con il primo motivo, dagli argomenti richiamati dal tribunale, che, a sostegno del fumus dell’appartenenza di P. ad un gruppo emanazione della sacra corona unita, ha citato l’esistenza dei plurimi indizi rappresentati, da un lato, dalle convergenti chiamate in correità provenienti da Pe. e Pa., attestanti il rapporto di affiliazione di P. al clan Campana- Buccarella, dall’altro dalla frase rivolta da C a.A., moglie del boss detenuto, B.S., al pentito Pe., esponente del clan avverso dei Mesagnesi, che l’indagato era persona a loro Vicina e dava loro da mangiare.

Interesse, quello mostrato dalla moglie del boss, che appare allo stato in linea con le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, e incompatibile con l’ipotesi alternativa della posizione di impresa estorta della BRIN.CAR, a favore della quale non milita neppure il ritrovamento presso la C. delle cambiali emesse in favore dell’indagato. Non ricorrendo il vizio di motivazione apparente, il motivo è inammissibile.

2) Analoghe considerazioni valgono a superare le doglianze di violazione di legge e difetto di motivazione sollevate con il secondo motivo. Premesso che lo stesso difensore ha dato atto, nella discussione orale, della non pertinenza delle considerazioni svolte nel ricorso relativamente alla violazione del D.L. n. 396 del 1992, art. 12 sexies trattandosi di sequestro non emesso in base a tale norma, sì osserva che sul punto del nesso funzionale tra l’azienda e il reato – ancorato dal tribunale non solamente alla frase, peraltro sintomatica, pronunciata dalla C., e riferita da Pe., ma anche alle convergenti dichiarazioni dei pentiti, non sono ravvisabili violazione di legge, nè mancanza di motivazione, palesandosi quindi il motivo inammissibile in questa sede.

3) Da ultimo l’asserito utilizzo per la decisione di atto non trasmesso al tribunale del riesame, che vi avrebbe per di più attribuito un significato in contrasto con il suo contenuto, non è controllabile sotto il primo profilo, in quanto nel fascicolo è presente soltanto il decreto di sequestro, e non anche gli altri atti trasmessi, mentre, alla prova di resistenza della motivazione del provvedimento impugnato, il preteso incontro tra P. ed il boss C. si rivela comunque, alla stregua degli altri elementi evidenziati, non indispensabile ai fini dell’accertamento del fumus.

Al rigetto del ricorso segue la condanna alle spese.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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