Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 26-04-2011) 03-06-2011, n. 22272 Misure cautelari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Tribunale del riesame di Lecce con ordinanza in data 10-12-2010 confermava l’ordinanza applicativa della custodia cautelare in carcere nei confronti di D.G.L., emessa dal Gip del Tribunale di Lecce il 23-10-2010, con la contestazione provvisoria di tentata estorsione pluriaggravata e di inosservanza degli obblighi inerenti alla sorveglianza speciale con obbligo o divieto di soggiorno (capi a e b).

L’accusa scaturisce dalla denuncia di N.M. in data 19- 3-2009, relativa ad un fatto avvenuto il 14-1-2009, allorchè a Galatina, in occasione della manifestazione Saldi in Fiera, questi era stato avvicinato da D.G. il quale, dopo essersi appartato con lui ai autovettura, gli aveva chiesto, sotto minaccia di morte, la somma di Euro 30.000 quale risarcimento per le dichiarazioni accusatorie nei suoi confronti e nei confronti di C.M., rese nell’ambito di un procedimento che li aveva visti tutti e tre coimputati di partecipazione ad associazione mafiosa (clan Coluccia), reato dal quale il solo N. era stato assolto, mentre gli altri due erano stati riconosciuti colpevoli.

Sempre secondo N., nei giorni seguenti (qualche giorno prima del 16-4) si era verificato un altro fatto. Infatti, allorchè egli aveva informato un dipendente dell’ente fiera, G.M., della propria intenzione di affidare il servizio di sicurezza della manifestazione a tale P.R., G. gli aveva risposto che si trattava di persona non gradita a personaggi del luogo e che, se la notizia fosse venuta a conoscenza del D.G., sarebbe scoppiato il finimondo.

Il tribunale del riesame riteneva attendibili le dichiarazioni di N. in quanto a) la circostanza che avesse atteso due mesi, prima di presentare la denuncia, poteva essere attribuibile al timore nutrito nei confronti di D.G.; b) l’indagato aveva ammesso l’incontro a due durante la manifestazione, pur fornendone una diversa ricostruzione ( N. gli si era avvicinato e lo aveva salutato; egli, alzando la voce, gli aveva contestato le dichiarazioni rese nel procedimento, ad esito del quale era stato condannato alla pena di cinque anni; N. gli aveva quindi chiesto di andare a discutere fuori); c) la circostanza che G. avesse negato di aver pronunciato le frasi attribuitegli da N., era irrilevante in quanto, diversamente, avrebbe dovuto ammettere la propria corresponsabilità con D.G.; d) pure irrilevante era la mancanza di conversazioni intercettate tra l’indagato e G., indicati da N. come in stretti rapporti di amicizia.

Propone ricorso D.G. per il tramite del difensore, avv. Luigi Greco, deducendo due motivi. 1) Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza e dell’aggravante di cui al D.L. n. 152 del 1991, art. 7. Il primo profilo di doglianza investe l’attendibilità del denunciante. Questi si sarebbe indotto alla denuncia quando, essendo trascorsi circa due mesi, era verosimile che D.G., ammesso pure che lo avesse minacciato, avesse desistito dall’attuare la minaccia;

D.G. ha dichiarato di non conoscere G. e, poichè tale affermazione non può essere smentita, come ha ritenuto il tribunale, dal fatto che quest’ultimo ha ammesso di conoscere N., l’attendibilità della p.o. circa l’intero episodio relativo al servizio di sicurezza ne risulta irrimediabilmente compromessa; le intercettazioni non hanno evidenziato contatti dell’indagato con G. e con personaggi del clan Coluccia, nè, contrariamente a quanto ritenuto dal tribunale, la presenza di legami tra i primi due può essere desunta dalla circostanza che, in occasione di un servizio di OCP, l’indagato aveva fatto perdere le proprie tracce nei pressi dell’abitazione di G., in via Catania, dal momento che questi si era trasferito da tempo in via Seneca; i presunti interessi del clan Coluccia alle manifestazioni fieristiche sono stati desunti soltanto da una telefonata tra D.G. e tale F.D., invece indicativa di un approccio di natura sessuale. Il secondo profilo di doglianza investe la sussistenza dell’aggravante di cui al D.L. n. 152 del 1991, art. 7, non essendo sufficiente a tale scopo il richiamo, da parte dell’indagato, a C.M. quale vittima delle dichiarazioni accusatorie della p.o. nell’ambito di altro procedimento, e non essendo provato che la somma richiesta sarebbe andata a beneficio di una organizzazione o persona diversa dal richiedente.

2) Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al mancato riconoscimento della desistenza volontaria, in considerazione a) dell’occasionalità dell’incontro tra indagato e asserita p.o.; b) dell’assenza, in seguito, di qualunque ulteriore iniziativa e quindi dell’interruzione dell’azione in maniera del tutto autonoma. Le richieste sono quindi di annullamento senza rinvio o, in subordine, con rinvio.
Motivi della decisione

Il ricorso è fondato limitatamente alla censura relativa all’episodio dell’Aprile 2009. La doglianza relativa alla gravita degli indizi in ordine all’episodio del Gennaio 2009, che si situa nell’ambito di un incontro tra D.G. e N. ad una manifestazione fieristica in Galatina, è invece priva di fondamento.

L’attendibilità della p.o. in relazione a tale episodio è in sostanza messa in dubbio sul solo rilievo della pretesa tardività della denuncia, che il tribunale del riesame avrebbe illogicamente attribuito ad atteggiamento attendista per timore di ritorsioni. Il ricorrente trascura, tuttavia, di considerare che, secondo quanto pure evidenziato dal tribunale, l’incontro era certamente avvenuto, come ammesso dall’indagato, e le motivazioni dello stesso erano verosimilmente quelle indicate dalla p.o.. La versione dell’indagato, che lo aveva attribuito ad iniziativa di N. il quale si sarebbe avvicinato a lui per salutarlo, e, alla sua reazione alterata, lo avrebbe invitato ad uscire dai locali della fiera per andare a proseguire la discussione fuori, non appare compatibile con la posizione processuale di N. nell’altro procedimento, di accusatore del D.G. e di C.M., tale da procurare a costoro una lunga carcerazione per il reato di cui all’art. 416 bis c.p.. E’ quindi ben più verosimile, come ritenuto nel provvedimento impugnato, che fosse stato D.G., il quale nutriva comprensibile astio verso N., a volere l’incontro, per contestare a questi il comportamento tenuto nel processo. La circostanza, non contestata, dell’uscita di entrambi dai locali della fiera, avvalora poi ulteriormente la versione di N., essendo in linea con l’esigenza dell’indagato di un faccia a faccia al riparo da occhi indiscreti, mentre appare scarsamente compatibile con quella del D. G..

A fronte di che, conformemente a quanto ritenuto nell’ordinanza impugnata, l’attesa della p.o. prima di sporgere la denuncia, attribuibile alle più varie ragioni (il timore ritenuto dal tribunale è una di esse), è inidonea tanto a spiegare effetti negativi sulla portata gravemente indiziaria delle sue dichiarazioni – che si inseriscono, con piena coerenza, nel contesto rappresentato dalla pregressa vicenda processuale del D.G.’ e del C.-, quanto, anche in considerazione della sua brevità, ad avvalorare l’ipotesi della desistenza volontaria dall’azione da parte di D. G., mentre è irrilevante l’assenza di iniziative di questi successive alla denuncia, attribuibile alla emersione della vicenda.

Del pari infondata la censura relativa all’aggravante di cui al D.L. n. 152 del 1991, art. 7, punto sul quale il tribunale ha reso ampia e condivisibile motivazione, immune dal vizio denunciato, sia sotto il profilo delle modalità mafiose della minaccia, sia sotto il profilo della finalità agevolativa dell’attività dell’associazione, evidenziando come fosse stata evocata l’appartenenza al clan Coluccia, frangia della "sacra corona unita", già oggetto di accertamento giudiziale con riferimento tanto a D.G. quanto a C.M., destinatari della somma richiesta a N. quale risarcimento.

La motivazione del provvedimento impugnato appare invece carente laddove attribuisce gravita indiziaria nei confronti dell’indagato, alle risultanze relative al successivo episodio estorsivo, avvenuto nel corso dell’incontro tra N. e G.M., al quale D.G. rimase pacificamente estraneo. Invero l’ipotesi che la condotta di G., intesa a far affidare il servizio di sicurezza della fiera a persone gradite al clan Coluccia, fosse stata ispirata da D.G., non risulta sufficientemente corroborata, nell’ordinanza del riesame, da elementi a sostegno dello stretto rapporto che sussisterebbe tra l’indagato e G.. Rapporto che, non ammesso da nessuno dei due interessati (erroneamente il tribunale ha citato, a smentita, l’affermazione di G. di conoscere N., in quanto ciò non implica l’ammissione di conoscere D. G.), neppure risulta da loro contatti telefonici – non evidenziati dalle intercettazioni -, mentre è scarsamente significativa l’unica circostanza che D.G., in occasione di un pedinamento, avesse fatto perdere le proprie tracce nei pressi dell’abitazione di G. (circostanza peraltro contestata nel ricorso, ma senza dati a supporto). Inoltre neanche l’ipotesi dell’esistenza di interessi del clan Coluccia nelle manifestazioni fieristiche di Galatina, risulta assistita da elementi indiziari di qualche spessore, non ravvisabili in particolare nella telefonata tra D.G. e tale F.D., da cui emerge soltanto, al riguardo, che la donna aveva vinto l’appalto per l’organizzazione della fiera campionaria. Pertanto, sotto il profilo evidenziato, l’ordinanza va annullata con rinvio al giudice a quo per nuovo esame.
P.Q.M.

La Corte annulla il provvedimento impugnato limitatamente all’episodio contestato in concorso con G.M. e collocato nell’Aprile 2009, con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Lecce.

Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

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