Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 26-04-2011) 03-06-2011, n. 22262

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza 15-4-2010 la Corte d’Appello di Caltanissetta, confermando quella emessa dal Gup della stessa città in data 14-7- 2008, riconosceva B.R.C., C.S., G.A. e M.E. colpevoli del reato di estorsione pluriaggravata, per aver costretto, in varie epoche, Cu.Ro., titolare della (OMISSIS) corrente in (OMISSIS), a corrispondere varie somme di denaro a titolo di "pizzo", facendo valere la propria appartenenza ad associazioni mafiose ( B., in particolare, si era fatto somministrare gratutitamente alimenti e bevande per sè e per altri).

La condanna di GU.VI. per lo stesso reato era invece annullata con trasmissione degli atti al PM presso la ODA. L’affermazione di responsabilità era fondata sulle dichiarazioni della p.o. rese con incidente probatorio, sulle ricognizioni personali dal medesimo effettuate, sul contenuto di telefonate intercettate tra lui e la moglie nelle quali il primo narrava alla seconda i fatti di cui era stato vittima facendo anche i nomi di taluni degli estorsori.

Quanto a Gu., l’annullamento era motivato con la diversità del fatto ritenuto rispetto a quello contestato, avendo il primo giudice ritenuti provati – valutazione condivisa anche dalla corte territoriale -, soltanto i fatti antecedenti al 20-7-1992, mentre la contestazione era relativa al periodo da luglio 1992 al 1995.

Con unico motivo di ricorso, GU., per il tramite dei difensori avv.ti Giacomo Ventura e Salvatore Daniele, deduce contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione essendo stato ritenuto, posto che nel Luglio 1992 l’imputato era stato tratto in arresto in Germania, che gli atti estorsivi potessero essere stati commessi antecedentemente, nonostante la dichiarazione della p.o. Cu. di aver assunto la titolarità della pizzeria appunto nel Luglio 1992.

Si assume quindi che Gu. avrebbe dovuto essere assolto e si chiede l’annullamento della sentenza.

M. deduce per il tramite dell’avv. Antonio Gagliano due motivi di ricorso. 1) Violazione di legge e vizio di motivazione. La p.o. Cu. era da anni sottoposto a richieste estorsive alle quali M. era pacificamente estraneo. Quando, nel 1995, queste aumentavano nell’ammontare, Cu., tramite un amico, contattava il ricorrente onde ottenere, grazie all’autorevole intervento di questi, una riduzione del "pizzo", obiettivo che infatti conseguiva e la relativa somma era riscossa direttamente da M..

L’intervento di questi integrerebbe pertanto, secondo la doglianza in esame, una mera forma di aiuto in favore dell’estorto, senza alcun collegamento con gli autori dell’estorsione, e senza che egli avesse posto in essere alcuna forma di intimidazione nei confronti di Cu.. Essendo pacificamente assente il previo accordo criminoso, l’intervento in corso d’opera attribuito dalla corte territoriale al ricorrente, avrebbe dovuto integrare la condotta tipica, e quindi la violenza o minaccia e l’ottenimento di un profitto proprio o dell’associazione di appartenenza, per contro totalmente mancanti (gli estorsori facevano parte di "cosa nostra", il ricorrente della "stidda").

2) Violazione dell’art. 81 c.p. avendo la corte disconosciuto la sussistenza della continuazione con precedenti reati associativi mafiosi (1989-1999) ed estorsioni (2004/2005) per la ritenuta impossibilità di configurare una preventiva programmazione dell’intervento – qualificato estemporaneo -, senza però tener conto di aver ritenuto la condotta del M., quale esponente della "stidda", funzionale al sistema delle estorsioni in essere sul territorio di Gela, quindi da inquadrare in quell’unitario programma criminoso.

Con unico motivo di ricorso, C., per il tramite del difensore avv. Sergio Iacona, deduce mancanza o manifesta illogicità della motivazione con riferimento all’art. 81 cpv c.p., per avere la corte territoriale disatteso la richiesta di applicazione della continuazione con argomentazione illogica e priva di fondamento giuridico.

Premesso che i reati per i quali il ricorrente è già stato giudicato, sono la partecipazione ad associazione mafiosa (sentenze 26-3-2003 della Corte d’Appello di Caltanissetta: art. 416 bis fino al 2000, e GUP di Caltanissetta: 416 bis dal 2000 al Luglio 2007) ed altre estorsioni (fatto del 16-3-2000 con la prima sentenza, fatti del gennaio ed aprile 2007 con la seconda), il ricorrente lamenta, da un lato, che la corte di merito abbia fatto richiamo soltanto a due elementi, quello della tipologia della condotta e quello del dato temporale, ritenendoli insufficienti a dimostrare il vincolo della continuazione, dall’altro che abbia ritenuto sussistenti elementi contrari a tale dimostrazione, richiamando però a tale scopo le argomentazioni relative ad altri imputati, con motivazione quindi generica e carente, che non prende in esame gli elementi indiziari dell’unicità del disegno criminoso.

G. affida a tre motivi il ricorso proposto per il tramite del difensore avv. Iacona.

1) Mancanza o manifesta illogicità della motivazione risultante dal testo del provvedimento impugnato, relativamente alla giustificazione fornita dalla corte territoriale alla contraddittoria indicazione da parte della persona offesa, sia dell’aspetto fisico dell’estorsore, che della data dell’unico episodio ascritto al prevenuto in forma di tentativo.

2) Mancanza o manifesta illogicità della motivazione con riferimento all’art. 81 cpv c.p., per avere la corte territoriale disatteso la richiesta di applicazione della continuazione con argomentazione illogica e priva di fondamento giuridico. Il ricorrente lamenta, da un lato, che la corte di merito abbia fatto richiamo soltanto all’omogeneità delle violazioni, ritenendola insufficiente a dimostrare il vincolo della continuazione, dall’altro che abbia ritenuto sussistenti elementi contrari a tale dimostrazione, richiamando però a tale scopo le argomentazioni relative ad altro imputato, con motivazione quindi generica e carente, che trascura gli elementi indiziari dell’unicità del disegno criminoso (distanza cronologica, modalità della condotta, sistematicità, tipologia dei reati, bene protetto, omogeneità delle violazioni, condizioni di tempo e luogo). Inoltre la corte territoriale ha rilevato che i fatti giudicati con sentenza 18-12-2007, si collocano in arco di tempo non esiguo (tra il 1995 e il 1998), e quello oggetto del presente procedimento in data imprecisata tra il 1994 e 1996, trascurando di aver pure ritenuto, così superando le contraddizioni in cui era incorsa la p.o., che tale ultimo fatto si colloca probabilmente nel 1996. Il ricorrente lamenta poi il mancato riconoscimento della continuazione con il tentato omicidio ai danni di T.R., commesso nel giugno 1995, di cui G. è stato ritenuto responsabile con sentenza 20-6-2008 della Corte d’Assise d’Appello di Caltanissetta, senza tener conto che, dopo tale fatto, l’imputato aveva aderito al clan di Trubia commettendo il fatto di cui al presente procedimento per provargli la propria fedeltà. 3) Mancata assunzione di prova decisiva, sempre sul punto della continuazione, rappresentata dall’acquisizione delle dichiarazioni del collaborante T., da cui risulta che G., prima suo nemico, era diventato suo "figlioccio".

B.R.C. ha proposto ricorso personalmente deducendo violazione di legge, vizio di motivazione e travisamento della prova.

Va premesso al riguardo che la corte territoriale aveva collegato temporalmente le vessazioni ascritte al ricorrente (somministrazione gratuita di alimenti e bevande da parte del gestore della pizzeria, dal 1997 al 2001, secondo il capo d’imputazione) ad un attentato incendiario alla saracinesca del locale, fatto eseguire da B. E., fratello di R., in ritorsione al fatto che T. R., con cui Cu. si era lamentato, aveva fatto malmenare B.R. (fatto ammesso da T., divenuto collaboratore di giustizia). Attentato che la corte ha collocato, nonostante le incertezze della p.o., giustificate con il lungo periodo di sottoposizione a condotte estorsive, nell’estate del 1997, periodo nel quale entrambi i fratelli B. erano in stato di libertà.

Il ricorso ruota intorno all’asserita incompatibilità tra le dichiarazioni di Cu. e i periodi di carcerazioni del ricorrente, del fratello di questi e di G. (che aveva rivelato alla p.o. chi era l’autore dell’attentato) e all’inattendibilità delle propalazioni del pentito T., che si assumono costruite a tavolino dopo aver avuto contezza della versione della p.o..

In data 21-12-2010 B. ha dichiarato di rinunciare il ricorso.
Motivi della decisione

Il ricorso di B. è inammissibile per intervenuta rinuncia.

Pure inammissibile è quello proposto nell’interesse di Gu.. Non sussiste, invero, secondo costante orientamento di questa corte, un interesse giuridicamente apprezzabile dell’imputato ad impugnare la sentenza con la quale il giudice d’appello annulli la decisione di primo grado e trasmetta gli atti al PM perchè proceda per il diverso fatto risultato in dibattimento. Tale statuizione, infatti, non determina alcun pregiudizio per l’imputato in quanto non ne compromette la facoltà di difendersi nel corso delle nuove indagini o del nuovo giudizio (Cass. 49625/2006, 8831/2006).

Gli altri ricorsi sono infondati e vanno disattesi.

Invano nel ricorso di M. si lamentano violazione di legge e vizio motivazionale in ordine alla ritenuta configurazione, come concorso nel reato, del suo estemporaneo intervento, nel rapporto tra la p.o. C. e gli estorsori, per far conseguire al primo uno sconto sul "pizzo". Con ragione, infatti, la corte territoriale, dopo aver evidenziato come il predetto, esponente della "stidda", avesse fatto da tramite tra l’organizzazione facente capo a B. E. ("cosa nostra") e la p.o., ricevendo personalmente il prezzo dell’estorsione dopo averne, pure personalmente, stabilito la congruità, ha ritenuto non necessario il previo accordo con gli altri correi, ravvisando contributo concorsuale, in linea con la giurisprudenza di questa corte, anche nell’intervento, purchè dotato di efficacia causale, a sostegno dell’altrui iniziativa già in corso (Cass. SU 31/2000). Costituisce invero jus receptum, in sintonia con la conformazione strutturale della fattispecie plurisoggettiva, che l’attività antigiuridica di ciascuno, ponendosi inscindibilmente in rapporto con quella degli altri, confluisca in un’azione delittuosa unica, con l’effetto della giuridica attribuibilità a ciascuno del risultato finale dell’evento cagionato (Cass. 26827/2008, relativa ad intervento di un associato per far ridurre la somma da versare a titolo di estorsione; Cass. 41177/2006, relativa alla condotta di soggetto che intervenga nella fase finale di riscossione dei proventi dell’estorsione). Non essendo conseguentemente necessario che tutti i correi compiano la condotta tipica, resta irrilevante nella specie che M. non avesse posto personalmente in essere un’azione intimidatoria nei confronti del Cu., da un lato essendo da escludere che avesse agito nell’esclusivo interesse della p.o. e per ragioni di solidarietà umana, dall’altro essendo certa l’efficienza causale della sua condotta nella produzione del duplice effetto dell’ingiusto profitto di "cosa nostra" e del danno della p.o.. La natura estemporanea del suo intervento, tra l’altro in favore di un’associazione diversa da quella di appartenenza, e maturato in relazione ad una richiesta di Cu. casuale e non prevedibile, è poi sufficiente a far escludere, secondo quanto già ritenuto dalla corte territoriale, che esso si inquadri nel disegno criminoso alla base del sistema estorsivo realizzato dalla "stidda" nel territorio di Gela. Il secondo motivo di ricorso, riproposizione di analogo motivo d’appello, al quale il giudice d’appello ha fornito adeguata risposta, è quindi inammissibile e comunque infondato. Senza contare, peraltro, che, a differenza da quanto sembra ritenere il ricorrente, neppure tra i reati fine dello stesso sodalizio vi è automatica unicità del disegno criminoso, che, da non confondere con il programma associativo dell’organizzazione, esige la rappresentazione fin dall’inizio dei singoli episodi criminosi, individuati almeno nelle linee essenziali (Cass. 3834/2000). Il che, nella specie, per quanto già osservato, è sicuramente da escludere.

La sentenza impugnata si sottrae poi anche alla censura di vizio di motivazione dedotta nel ricorso di C. sul punto del mancato riconoscimento della continuazione tra i fatti ascritti e quelli già giudicati.

Premesso che si tratta di questione già proposta in appello ed affrontata nella sentenza di secondo grado, è anzitutto inesatto che la corte territoriale abbia richiamato argomentazioni relative alla posizione di altri imputati, essendo evidente che il richiamo è limitato alle considerazioni "in diritto" svolte per le posizioni M. ed I., relative quindi ai criteri che presiedono in astratto al riconoscimento della continuazione. In secondo luogo la corte d’appello, premesso che le sentenze irrevocabili invocate si riferiscono a reato associativo commesso fino al 2000 e tra il 2000 e il 2007, e a fatti estorsivi risalenti a marzo 2000, gennaio e aprile 2007, ha ritenuto, con argomentazione logica e plausibile, la carenza di prova circa la programmazione da parte di C., almeno nelle linee essenziali, dell’estorsione in danno di Cu. (commessa da Natale 2004 alla fine del 2006), già al momento della sua iniziale adesione all’associazione mafiosa, risalente ad epoca anteriore al 2000, e al momento dell’elaborazione del progetto comprendente gli altri fatti estorsivi, collocabile nel Marzo 2000. Nè il ricorrente ha offerto concreti argomenti atti a confutare tale conclusione, essendosi limitato a richiamare una serie di elementi, asseritamente trascurati dalla corte di merito, solo in astratto idonei a dar conto della sussistenza dell’unicità del disegno criminoso, senza però indicarne la rilevanza nel caso di specie. Del pari infondato il ricorso nell’interesse di G..

Contrariamente alla prima censura del ricorrente, il giudice di secondo grado ha giustificato in modo logico e coerente la presenza di imprecisioni e contraddizioni nel racconto della p.o., attribuendole alla sua protratta sottoposizione ad estorsioni ad opera di soggetti diversi e al tempo trascorso prima della denuncia, con conseguente difficoltà del ricordo e possibilità di sovrapposizione di episodi similari, non mancando tuttavia di evidenziare, da un lato, che il tentativo di estorsione era stato posto in essere dall’imputato mostrando una pistola tenuta celata sotto la maglietta, peculiarità idonea a differenziare l’episodio dagli altri, dall’altro che Cu. aveva identificato con certezza G., in sede tanto di riconoscimento fotografico che di ricognizione personale.

Quanto al secondo e al terzo motivo del ricorso, entrambi vertenti sul mancato riconoscimento della continuazione con altri fatti già giudicati, già motivo di appello e oggetto di puntuale disamina da parte della corte territoriale, il provvedimento impugnato si sottrae al vizio denunciato. Infatti la corte territoriale, richiamando gli argomenti relativi alla posizione I., coimputato con G. dell’estorsione giudicata con sentenza della Corte d’Appello di Caltanissetta in data 18-12-2007 (già unificata ad altri reati oggetto delle sentenze 26-4-1999 e 9-12-2002 della stessa corte), ha escluso con ragione l’applicabilità della continuazione, rilevando come, a parte l’assenza di elementi positivi a sostegno dell’unicità di ideazione, il fatto già giudicato fosse risalente a data imprecisata, compresa tra il 1995 e il 1998, ciò rendendo ulteriormente impossibile stabilirne una relazione con quello in esame. Manifestamente infondata è poi la doglianza relativa al mancato riconoscimento della continuazione con il tentato omicidio ai danni di T.R., e connessi reati in materia di armi, pure oggetto di sentenza irrevocabile nei confronti dell’imputato, doglianza fondata sulla successiva adesione di G. al clan Trubia e sull’asserita commissione del fatto in esame quale prova della sua fedeltà, La censura non tiene conto, infatti, che ciò presupporrebbe, contro ogni logica, che l’imputato, al momento del tentato omicidio, avesse già programmato sia di passare dalla parte della vittima, che di tentare di estorcere il "pizzo" a Cu. per provare la sua fedeltà a T., eventi invece all’evidenza maturati soltanto dopo il fallito attentato al capo del gruppo avverso.

Irrilevante, e comunque non decisiva, sì appalesa quindi l’acquisizione delle dichiarazioni di T., attestanti il passaggio di G. al suo clan. All’inammissibilità dei ricorsi di B. e Gu. seguono le statuizioni di cui all’art. 616 c.p.p..

Al rigetto dei ricorsi di M., C. e G. segue la loro condanna alle spese processuali.

Segue pure la condanna dei ricorrenti in solido alla rifusione di quelle della parte civile F A I liquidate in dispositivo.
P.Q.M.

La Corte rigetta i ricorsi di C.S., G. A. ed M.E. dichiara inammissibili quelli di Gu.Vi. e B.R.C.; condanna ciascuno dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e il Gu. e il B. anche al versamento della somma di Euro 1000 ciascuno in favore della Cassa delle Ammende. Condanna, altresì, tutti i ricorrenti in solido alla rifusione delle spese in favore della parte civile F.A.I., che liquida in complessivi Euro 2000 oltre accessori come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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