T.A.R. Lombardia Milano Sez. IV, Sent., 07-06-2011, n. 1421 Demolizione di costruzioni abusive

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con il ricorso rubricato al n. 1858 del 2000 di registro generale la società ricorrente ha impugnato il provvedimento del 3 marzo 2000 – unitamente all’allegata relazione redatta dalla polizia municipale e dai tecnici comunali in data 25 febbraio 2000 e all’ordinanza di sospensione dei lavori del 21.1.2000 – con il quale il comune di Figino Serenza ha ordinato la demolizione di opere realizzate abusivamente sull’area di sua proprietà per carenza di autorizzazione edilizia. La ricorrente ha proposto, altresì, istanza risarcitoria.

Con successivo provvedimento dirigenziale del 30 maggio 2000, l’amministrazione intimata ha annullato in via di autotutela l’ordinanza del 3 marzo 2000, qualificando le opere abusive come realizzate in assenza di concessione edilizia e disponendo la prosecuzione del procedimento sanzionatorio scaturente dal verbale di sopralluogo in precedenza effettuato. Tale atto veniva impugnato dalla ricorrente con il ricorso rubricato al n. 2586 del 2000 di registro generale, nel quale la stessa deduceva, essenzialmente, la violazione delle proprie garanzie partecipative e la carenza di motivazione, presentando, altresì, istanza risarcitoria.

Il 12 gennaio 2001 veniva emessa una nuova ordinanza comunale di demolizione delle opere abusive realizzate in assenza di concessione edilizia e di ripristino del terreno. Anche tale ordinanza veniva impugnata con ricorso n. 917 del 2001, con il quale l’interessata deduceva, tra l’altro, la violazione degli artt. 3, 7 e 10 della legge n. 241 del 1990, degli artt. 4, 7 e 13 della legge n. 47 del 1985, nonché vari profili di eccesso di potere, formulando, altresì, istanza risarcitoria..

Con ordinanza n. 1045/01 del 6 aprile 2001 la sezione II di questo Tribunale accoglieva l’istanza cautelare avanzata dalla ricorrente, ritenendo sussistente il vizio di carenza di motivazione con specifico riferimento al contrasto con la normativa urbanisticoedilizia dei manufatti singolarmente considerati.

Nonostante la concessione della misura cautelare, il 18 maggio 2001 la società ricorrente, per risolvere definitivamente la controversia, presentava istanza di concessione edilizia per la realizzazione sul terreno di sua proprietà di due capannoni prefabbricati gemelli per una superficie coperta complessiva di mq. 1813 destinati a magazzino e a ricovero attrezzature inerenti l’attività agricola e di contestuale demolizione e allontanamento di tutti i manufatti temporaneamente depositati sull’area in questione.

Il comune intimato provvedeva, allora, ad adottare (con deliberazione del consiglio comunale del 6 maggio 2002) e ad approvare (con deliberazione del consiglio comunale del 23 luglio 2002) una variante al PRG con procedura in forma semplificata delle NTA disciplinanti la zona E3 agricola, assumendo a fondamento di tale variante alcune carenze di tipo normativo ed alcune incoerenze tra l’azzonamento e lo stato del territorio.

Anche tali deliberazioni venivano impugnate dalla ricorrente mediante il ricorso rubricato al n. 3327 del 2002 di registro generale, con il quale l’interessata deduceva la violazione dell’art. 2 della legge della regione Lombardia n. 23 del 1997, dell’art. 2 della legge regionale n. 93 del 1980, dell’art. 3 della legge n. 241 del 1990 e degli artt. 41 e 44 della Costituzione, oltre all’eccesso di potere per sviamento dalla causa tipica e per contraddittorietà con precedente normativa tecnica attuativa. La ricorrente formulava, altresì, istanza risarcitoria.

Il comune intimato si costituiva in tutti i giudizi, chiedendo la reiezione dei medesimi per infondatezza nel merito e controdeducendo specificamente alle singole doglianze.

Successivamente le parti costituite presentavano memorie a sostegno delle rispettive conclusioni.

All’udienza pubblica del 24 maggio 2011 i ricorsi venivano trattenuti in decisione.
Motivi della decisione

La controversia all’esame del collegio concerne l’adozione da parte del comune di Figino Serenza di diversi provvedimenti sanzionatori aventi ad oggetto alcuni manufatti realizzati abusivamente dalla società ricorrente, titolare di azienda agricola, su terreno di sua proprietà.

Il collegio ritiene, in via preliminare, di disporre la riunione dei ricorsi per evidente connessione soggettiva ed oggettiva.

Con riferimento al ricorso rubricato al n. 1858 del 2000, avente ad oggetto essenzialmente l’ordinanza di demolizione n. 3 del 3 marzo 2000, deve rilevarsi che, come emerge dalla narrativa dei fatti in precedenza esposta, tale provvedimento è stato già annullato in via di autotutela dall’amministrazione intimata con successivo provvedimento n. 5 del 30 maggio 2000, con il quale è stata disposta la continuazione del procedimento sanzionatorio avviato nei confronti della ricorrente. Non sussiste, dunque, più interesse alla decisione del ricorso, del quale deve dichiararsi l’improcedibilità, né alcun danno può essere scaturito da un provvedimento già annullato dopo meno di tre mesi dalla sua emanazione e mai portato ad efficacia.

Il secondo ricorso, invece, rubricato al n. 2586 del 2000 e proposto avverso l’ordinanza n. 5/2000 succitata, deve dichiararsi inammissibile per carenza di interesse alla decisione dello stesso, in quanto il provvedimento oggetto dell’impugnazione non può ritenersi lesivo della posizione della ricorrente nella parte in cui ha disposto l’annullamento in via di autotutela della precedente ordinanza di demolizione, mentre nella parte in cui ha stabilito la continuazione del procedimento sanzionatorio instaurato nei confronti della ricorrente è stato superato dall’adozione della nuova ordinanza di demolizione n. 1 del 12 gennaio 2001, conclusiva del procedimento ed unico provvedimento effettivamente lesivo per la ricorrente e del quale la medesima ha interesse ad ottenere l’annullamento. Per le stesse ragioni, alcun danno può essere derivato dall’emanazione dell’ordinanza n. 5/2000.

L’ordinanza di demolizione n. 1 del 12 gennaio 2001 è stata impugnata con il ricorso n. 917 del 2001.

Tale ricorso è fondato, aderendo, il collegio, alla motivazione già espressa dalla seconda sezione del Tribunale in sede cautelare.

Si osserva, in proposito, che le opere realizzate dalla ricorrente ed elencate nel rapporto di servizio n. 7/2000 del primo febbraio 2000 e nella successiva relazione del 25 febbraio 2000, nonché nell’ordinanza n. 1 del 12 gennaio 2001, sono state ritenute tutte indistintamente soggette a regime concessorio perché causa di una trasformazione del fondo con caratteristiche di permanenza e definitività, ricadenti, dunque, nell’applicazione del regime sanzionatorio di cui all’art. 7 della legge n. 47/85.

Il comune ne ha, quindi, ordinato la demolizione, oltre a disporre la contestuale rimozione delle opere di urbanizzazione alle stesse connesse ed al ripristino dello stato del terreno anteriore e la sua sistemazione tramite la rimozione dei lavori di scavo e riempimento come descritti nella succitata relazione.

Tale modus operandi non può ritenersi legittimo, in quanto non considera la qualificazione giuridica delle singole opere descritte, non tutte edili e non tutte necessitanti della concessione edilizia per la loro realizzazione (si pensi, ad esempio, alle recinzioni interne e alle cancellate in legno ed in metallo).

In considerazione di tale qualificazione indifferenziata delle opere realizzate, sussiste una carenza di motivazione con specifico riferimento al contrasto con la normativa urbanisticoedilizia dei manufatti singolarmente considerati, come già osservato nell’ordinanza emessa in sede cautelare.

Occorreva, infatti, individuare le singole opere realizzate in difformità dalla normativa urbanistica e determinarne il rispettivo regime edilizio.

Riguardo all’istanza risarcitoria, deve osservarsi che la sospensione del provvedimento in sede cautelare ha impedito il verificarsi del paventato pregiudizio.

Riguardo, infine, al ricorso n. 3327 del 2002, proposto avverso le delibere di adozione ed approvazione della variante in forma semplificata del PRG del comune di Figino Serenza nella parte relativa alla zona agricola E3, il collegio ritiene che lo stesso sia parimenti fondato e meriti, dunque, accoglimento.

Premesso che la procedura in forma semplificata per l’adozione della variante al PRG deve essere analiticamente motivata in relazione alle tassative ipotesi previste dall’art. 2 della legge regionale n. 23/97, la deliberazione impugnata di adozione della variante non indica alcuna reale motivazione in ordine a tale scelta, recando solo un generico riferimento ad alcune carenze di tipo normativo ed alcune incoerenze tra l’azzonamento e lo stato del territorio, ma non riportando alcun concreto riferimento a tale carenza normativa od incoerenza tra azzonamento e stato del territorio con riferimento alla normativa tecnica di attuazione della zona agricola, che ha inteso variare.

Nella fattispecie in questione, l’amministrazione ha, in realtà, apportato alla disciplina della zona agricola modifiche tali da farne derivare una rideterminazione ex novo, in contrasto con le previsioni della lettera i) dell’art. 2 della L.R. n. 23/97 – secondo il quale l’utilizzazione di tale procedura è ammissibile per le varianti concernenti le modificazioni della normativa dello strumento urbanistico generale dirette esclusivamente a specificare la normativa stessa, nonché a renderla congruente con disposizioni normative sopravvenute, eccettuati espressamente i casi in cui ne derivi una rideterminazione ex novo della disciplina delle aree – ed anche in contraddizione con la legge regionale n. 93/1980, allora vigente. Tanto si ricava, in particolare, dall’art. 29.1 delle NTA, come modificato, in base al quale: "La edificazione della residenza è ammessa solo in ambiti nei quali è presente l’attività dell’impresa agricola e le relative attrezzature agricole, con strutture aventi una superficie coperta di almeno 1.000 mq., oppure serre fisse non stagionali di almeno 500 mq.".

Tale modificazione introduce una notevole limitazione al diritto di abitazione dell’imprenditore agricolo e dei dipendenti dell’azienda rispetto alle previsioni dell’art. 2 della succitata legge regionale, che contempla esclusivamente indici di densità fondiaria per le abitazioni dell’imprenditore agricolo, presupponendo il necessario svolgimento dell’attività mediante l’utilizzazione di superfici coperte di almeno 1000 mq. oppure con serre fisse non stagionali di almeno 500 mq., ponendosi, dunque, in contrasto con le finalità della stessa legislazione regionale, che consente senza alcuna limitazione l’edificazione della residenza dell’imprenditore agricolo e dei dipendenti dell’azienda in coerenza con lo scopo di promozione dell’attività produttiva nelle zone agricole.

Inoltre, tale restrizione pare confermata dalla previsione della obbligatoria distanza di 300 metri dalle zone edificabili di qualunque tipo di nuovo insediamento.

Del resto, la volontà di apportare tali rilevanti modificazioni alla disciplina della zona agricola emerge dall’esame della delibera del 23 luglio 2002 di approvazione della variante, ove alla pagina 3 si legge che: "Allo scopo di tutelare le imprese agricola "vere" ed evitare che qualcuno si improvvisi agricoltore all’unico scopo di costruirsi una villetta in area agricola… l’Amministrazione Comunale ha disposto che l’edificazione della residenza sia ammessa solo in ambiti nei quali è presente l’attività dell’impresa agricola e le relative attrezzature agricole purchè queste ultime, di superficie coperta di almeno 1000 mq o di 500 mq per quelle relative ad allevamenti di animali di piccole dimensioni o relative serre. Per quanto riguarda le distanze delle nuove strutture agricole dalle zone edificabili (300 mt) la disciplina proposta dall’Amministrazione Comunale mira a tutelare aree di interesse ambientale oltre che a evitare situazioni di incompatibilità fra l’attività agricola e le altre funzioni insediate sul territorio".

Restando impregiudicati i rilievi succitati in ordine all’intrinseca illegittimità di tali previsioni in relazione alle disposizioni della legge regionale n. 93/1980, è innegabile che la variante contenga rilevanti innovazioni alla disciplina della zona agricola e che dovesse, quindi, essere adottata con procedura ordinaria.

Il ricorso merita, dunque, accoglimento.

Non può darsi luogo, invece, all’accoglimento dell’istanza di risarcimento del danno, non essendo stata la stessa supportata da alcuna documentazione probatoria.

Per le suesposte considerazioni, il ricorso n. 1858 del 2000 deve essere dichiarato improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse, quello n. 2586 del 2000 deve essere dichiarato inammissibile per carenza di interesse, mentre i ricorsi nn. 917 del 2001 e 3327 del 2002 devono essere accolti, assorbendosi le ulteriori doglianze e disponendosi, per l’effetto, l’annullamento dei provvedimenti con i medesimi impugnati.

Le istanze di risarcimento del danno devono essere, invece, respinte.

Le spese del giudizio tra la ricorrente ed il comune intimato seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo. Sussistono, invece, giusti motivi per dichiararne l’integrale compensazione tra la ricorrente e la regione Lombardia.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Quarta)

definitivamente pronunciando sui ricorsi riuniti, come in epigrafe proposti, dichiara improcedibile il ricorso n. 1858 del 2000; dichiara inammissibile il ricorso 2586 del 2000; accoglie i ricorsi nn. 917 del 2001 e 3327 del 2002, come in motivazione. Respinge le istanze di risarcimento dei danni.

Condanna l’amministrazione intimata alla rifusione delle spese di tutti i giudizi nei confronti della ricorrente, che si liquidano in complessivi euro 4000, compresi gli oneri di legge. Compensa le spese tra la ricorrente e la regione Lombardia.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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