Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 26-04-2011) 03-06-2011, n. 22261

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

LIONE Tindari che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
Svolgimento del processo

M.E. è stata riconosciuta colpevole dei reati di cui agli artt. 660 e 594 c.p. in danno di B.A., con sentenza del Tribunale monocratico di Palmi in data 21-11-2007, confermata, quanto all’ingiuria e alle statuizioni civili – mentre il reato di molestia era dichiarato estinto per prescrizione – dalla Corte d’Appello di Reggio Calabria il 14-10-2010.

La corte confermava l’affermazione di responsabilità facendo leva in particolare sulla circostanza che le telefonate moleste, una delle quali ingiuriosa, erano state effettuate da due utenze cellulari, entrambe intestate all’imputata, e si erano ripetute nel tempo, il che rendeva inverosimile che le utenze della M. fossero state utilizzate da terze persone a sua insaputa. Ciò, tenuto conto del fatto che le due donne si conoscevano e che la B. aveva una relazione con un giovane in precedenza legato all’imputata, rendeva irrilevante la mancata precisa individuazione dei motivi della condotta.

Propone ricorso la M. per il tramite del difensore avv. Domenico Infantino, deducendo, con unico motivo, vizio di motivazione in ordine sia al ritenuto uso esclusivo delle utenze da parte dell’imputata per effetto soltanto dell’intestazione delle stesse alla medesima, sia in ordine alla ritenuta portata indiziaria del rapporto di conoscenza tra le due donne, tra l’altro negato dalla B. in un passaggio della sua deposizione, riportato nel ricorso.
Motivi della decisione

Va preliminarmente rilevata, in difformità dalle conclusioni del PG d’udienza, la tempestività del ricorso, in quanto, benchè presentato oltre i 45 giorni dalla notifica all’imputata dell’estratto contumaciale della sentenza di secondo grado, esso è rispettoso del medesimo termine decorrente dalla scadenza di quello del deposito della sentenza, indicato nel dispositivo in sessanta giorni.

La censura mossa alla decisione di secondo grado, dietro l’apparente denuncia di vizi della motivazione, si traduce nella sollecitazione di un riesame del merito attraverso la rinnovata valutazione degli elementi probatori acquisiti.

Per contro "Non è compito del giudice di legittimità compiere una rivalutazione del compendio probatorio, sulla base delle prospettazioni dei ricorrenti, avendo questa Corte chiarito già da tempo che esula dai suoi poteri una "rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali" (Sez. Un. n. 41476 del 25/10/2005, Misiano;

Sez. Un. n. 6402 del 2.7.1997, Dessimone, rv. 207944; Sez. Un. n. 930 del 29.1.1996, Clarke, rv. 203428).

E’ invero evidente come il ricorso si limiti a rimettere in discussione l’effettuazione, da parte della M., delle chiamate moleste, una delle quali ingiuriosa, già fondata dai giudici di primo e di secondo grado, con motivazione logica e plausibile, quindi immune da vizi, sull’intestazione all’imputata di entrambe le utenze cellulari di provenienza, in assenza di elementi a favore dell’ipotesi del loro uso da parte di terzi.

Anche il riconoscimento della portata indiziaria del rapporto di conoscenza tra le due donne, correlato all’esistenza – senza dubbio rilevante – di un legame della p.o. B. con l’uomo in precedenza legato alla prevenuta, si sottrae a censura, in quanto l’assunto del ricorrente secondo cui tale conoscenza sarebbe stata negata dalla B., è basato soltanto sulla citazione di un breve passaggio della deposizione della p.o., avulso dal contesto, e comunque interpretabile anche nel senso che la B. non conoscesse la voce della M..

Il ricorso va quindi dichiarato inammissibile e a tale declaratoria conseguono le statuizioni di cui all’art. 616 c.p.p..
P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000 in favore della Cassa delle Ammende.
Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *