Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 12-04-2011) 03-06-2011, n. 22254 Bancarotta fraudolenta

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

alti Luigi, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
Svolgimento del processo

Con la sentenza impugnata, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Padova in data 6.2.2002, V.A. veniva condannato alla pena di anni tre, mesi nove e giorni dieci di reclusione per il reato continuato di cui all’art. 416 cod. pen. e art. 216 L. Fall., commesso costituendo con B.G. e A.M., soci della s.a.s. Padova Stiro, dichiarata fallita con sentenza del Tribunale di Padova in data 20.3.1997, e con l’amministratore di fatto della stessa C.M., un’associazione finalizzata alla commissione di reati di truffa ed evasione fiscale mediante l’acquisto di capi di abbigliamento del valore di L. 1.300.000.000 circa, il pagamento degli stessi con assegni privi di copertura e la vendita dei beni senza emissione di fattura, distraendo i predetti beni o il ricavato della vendita degli stessi, sottraendo o distruggendo il registro di carico dei documenti fiscali, le fatture, le bolle e la corrispondenza commerciale per il periodo successivo al giugno del 1995 e non tenendo nello stesso periodo il libro giornale, il libro degli inventari ed il rendiconto contabile di cessata attività. 2. Il ricorrente deduce:

2.1. violazione di legge in ordine all’affermazione di responsabilità per il reato di cui all’art. 416 cod. pen., denunciando la mancanza dei requisiti della struttura organizzativa, della programmazione di un numero indeterminato di reati e della lesione per l’ordine pubblico;

2.2. violazione del principio di correlazione fra accusa e sentenza, in ordine all’imputazione di bancarotta fraudolenta, nella condanna del V. quale socio di fatto della fallita a fronte di un’imputazione che lo indicava come socio ed amministratore della stessa;

2.3. violazione di legge in ordine al diniego delle attenuanti generiche ed alla determinazione della pena, lamentando che a tali fini si sia argomentato unicamente sull’irrilevanza dell’incensuratezza dell’imputato senza prendere in esame i criteri di cui all’art. 133 cod. pen..
Motivi della decisione

1. Il motivo di ricorso relativo all’affermazione di responsabilità per il reato di cui all’art. 416 cod. pen. è inammissibile.

Il ricorrente ripropone invero il tema dell’inidoneità della costituzione di una società di modeste dimensioni e della commissione di una serie determinata di reati di truffa esauritisi nell’arco di sette mesi ad integrare il reato associativo, sul quale la sentenza impugnata argomentava ampiamente con riferimento all’indeterminatezza delle condotte di truffa, realizzate in numero notevole ed interrotte unicamente dalla declaratoria di fallimento, all’irrilevanza della durata operativa del progetto criminoso ed alla creazione della società a soli fini illeciti, elemento quest’ultimo già tale da porre in essere i requisiti dell’organizzazione e della stabilità del vincolo associativo (Sez. 6, n. 43656 del 25.11.2010, imp. Bartocci, Rv. 2488126); aggiungendo peraltro l’ulteriore considerazione della divisione degli utili illeciti fra il V., il B. ed il C., di cui riferiva la teste G. Su queste valutazioni il ricorso non avanza censure specifiche; lo stesso sul punto è pertanto generico e meramente reiterativo di doglianze rappresentate nelle fasi di merito.

2. Inammissibile è altresì il motivo di ricorso relativo all’eccepita violazione dei limiti della contestazione in ordine all’imputazione di bancarotta fraudolenta.

Nessuna violazione del principio di correlazione fra accusa e sentenza può invero essere ravvisato nell’affermazione di responsabilità quale socio o amministratore di fatto rispetto ad un’imputazione espressa con riferimento al carattere formale di dette qualifiche, nel momento in cui il giudizio sia comunque fondato su elementi rientranti nella cognizione dell’imputato, e sui quali questi abbia avuto modo di difendersi adeguatamente (Sez. 5, n. 39329 del 20.9.2007, imp. Gili, Rv. 238210); circostanze ravvisabili nel caso in esame, nel quale, come evidenziato nella sentenza impugnata, dipendenti e fornitori della fallita indicavano il V. come colui che con il C. trattava gli acquisti delle merci e con il B. impartiva direttive all’interno della società. Il ricorso è dunque per questo aspetto manifestamente infondato.

3. Inammissibile è infine il motivo di ricorso relativo al diniego delle attenuanti generiche ed alla determinazione della pena.

Sul punto la sentenza impugnata richiamava infatti la decisione di primo grado, nella quale le conclusioni oggetto di doglianza erano dettagliatamente motivate con riferimento alle articolate modalità della condotta, alla gravità dei danni cagionati ai fornitori e ai dipendenti, all’intensità del dolo manifestata nell’assumere obbligazioni in stato di decozione ed al precedente penale dell’imputato per il reato di bancarotta semplice; ed a fronte di ciò le censure del ricorrente sul mancato esame dei parametri di cui all’art. 133 cod. pen. sono assolutamente generiche.

Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000 in favore della Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *