Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 04-02-2011) 03-06-2011, n. 22246

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

bilità del ricorso.
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. All’esito di giudizio ordinario il Tribunale di Lucca sezione di Viareggio ha dichiarato N.P. colpevole del reato di resistenza per essersi opposto, con frasi offensive e atteggiamenti aggressivi (prima allontanandosi dal luogo dell’accertamento e poi divincolandosi con energia una volta raggiunto dai militari), a due carabinieri intervenuti sul luogo in cui lo stesso, in palese stato di agitazione (anche per "probabile" assunzione di alcolici), aveva rifiutato di fornire le proprie generalità e di esibire un documento identificativo agli agenti di polizia municipale che lo avevano fermato per un ordinario controllo. Per l’effetto, dichiarato estinto per prescrizione il concorrente reato di cui all’art. 651 c.p. contestato al N., il Tribunale lo ha condannato, concessegli le attenuanti generiche, alla pena di quattro mesi di reclusione.

2. Adita dall’impugnazione del N., la Corte di Appello di Firenze con sentenza del 13.7.2010 ha confermato la decisione di condanna di primo grado, valutando destituiti di fondamento i rilievi critici espressi con l’atto di appello.

In particolare i giudici della Corte di Appello hanno, in primo luogo, ritenuto la condotta reattiva dell’imputato integrare senza incertezze il contestato reato di resistenza, dal momento che i suoi gesti di violenza fisica e verbale contro i carabinieri sono stati compiuti allo scopo di opporsi al loro legittimo intervento, conforme ai doveri d’istituto, di condurlo in un ufficio di p.g. per identificarlo compiutamente, come ha riferito in dibattimento l’operante appuntato A.R. ( N. rifiuta, come già poco prima avvenuto con i due vigili urbani, di fornire indicazioni sulle proprie generalità anche ai carabinieri, venendo a colluttazione con loro e cercando in tutti i modi di sottrarsi ad ogni controllo identificativo). In secondo e correlativo luogo la sentenza impugnata ha ritenuto assente nell’episodio qualsiasi profilo della invocata scriminante della legittima reazione ad atti arbitrari dei due carabinieri, ai sensi del D.Lgt. n. 288 del 1944, art. 4, nessuna prevaricazione o arroganza potendosi individuare nell’operato dei militari, improntato al corretto esercizio delle loro funzioni.

3. Il difensore di N.P. ha impugnato per cassazione la decisione della Corte di Appello, formulando le seguenti censure per violazione di legge e carenza e illogicità della motivazione:

1) il comportamento dell’imputato avrebbe dovuto essere ricondotto nell’ambito della causa di giustificazione prevista dal D.Lgt. n. 288 del 1944, art. 4 (oggi art. 393 bis c.p.), dal momento che il contegno del N. non è sussumibile nell’ambito del prescritto reato di cui all’art. 651 c.p., che costituisce presupposto della contestata resistenza e che solo avrebbe consentito ai carabinieri di condurre il prevenuto in caserma per essere identificato: egli si è limitato a rifiutare l’esibizione di un documento di identità, fornendo con tutta probabilità oralmente le proprie generalità, ciò che non integra la fattispecie sanzionata dall’art. 651 c.p.;

2) premesso che gli stessi vigili urbani, in ausilio ai quali sono intervenuti i due carabinieri operanti, non hanno redatto alcuna informativa sull’episodio (il che farebbe supporre che N. non ha assunto alcun contegno riconducitele all’ipotesi dell’art. 651 c.p.), l’affermazione di responsabilità dell’imputato scaturisce da una istruttoria dibattimentale carente e che la Corte territoriale – pur richiestane – senza alcuna motivazione non ha ritenuto di integrare: la revoca da parte del Tribunale, nonostante l’opposizione del difensore, del già ammesso esame dibattimentale del secondo carabiniere intervenuto nei confronti del N. ha pesantemente compromesso il diritto di difesa dell’imputato;

3) in subordine la motivazione della sentenza è carente in ordine alla mancata concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena, basata sui soli precedenti penali dell’imputato, non tenendo conto della loro vetustà e tipologia.

4. Con nota depositata il 21.1.2011 il difensore del ricorrente ha proposto motivi nuovi, con cui: a) contesta la regolarità dell’avviso di fissazione dell’odierno giudizio, perchè il relativo fax non avrebbe recato indicazione della misura del ridotto termine di comparizione ex art. 169 disp. att. c.p.p., misura appresa dal difensore solo a seguito della precisazione richiesta e fornita dalla cancelleria con fax del 17.1.2011, cioè appena 18 giorni prima dell’odierna udienza, il che determina tardività dell’avviso; b) sollecita, in subordine, la declaratoria di estinzione del reato ascritto al N. per intervenuta prescrizione e, altrimenti, l’applicazione del condono di cui alla L. n. 241 del 2006. 5. Il ricorso proposto nell’interesse di N.P. deve essere respinto per l’infondatezza o per la indeducibilità e genericità dei delineati motivi di censura.

5.1. Muovendo dai pregiudiziali temi dedotti con i "motivi nuovi", va subito sottolineata l’infondatezza della doglianza relativa a regolarità e tempestività della vocatio in iudicium per l’odierna udienza. Emerge dagli atti che – su motivata richiesta del Procuratore Generale in sede – il presidente di questa sezione giudicante ha disposto la riduzione del termine per gli avvisi e le notifiche per la presente udienza in misura di un terzo dell’ordinario termine di trenta giorni. L’avviso al difensore fiduciario del ricorrente, con annotazione della disposta riduzione dei termini, è stato inviato dalla cancelleria con fax del 14.1.2011 contestualmente ricevuto dallo studio del legale e, per tanto, prima dei venti giorni dalla odierna udienza. Incongruo è il rilievo difensivo sulla mancata originaria precisazione nell’avviso della entità della riduzione del termine, questo non potendo in ogni caso essere inferiore ai venti giorni liberi precedenti l’udienza per espresso disposto dell’art. 169 disp. att. c.p.p., comma 1. Ribadita la ritualità della trasmissione dell’avviso dell’udienza con il mezzo tecnico del telefax (Cass. Sez. Fer., 14.9.2010 n. 34028, Ferrerà, rv. 248184), merita aggiungere per completezza che il decreto presidenziale di riduzione dei termini per il giudizio di cassazione non presenta carattere di eccezionalità, poichè è potenzialmente riferibile a tutti i procedimenti penali senza distinzioni tipologiche e non deve essere autonomamente notificato alle parti, dello stesso decreto essendo sufficiente dare notizia al destinatario con nota in calce all’avviso di fissazione dell’udienza, come è accaduto nel caso di specie per il tempestivo avviso notificato al difensore di fiducia del N. (v.: Cass. Sez. 5,10.9.2003 n. 39736, Casini, rv. 226661; Cass. Sez. 5,8.11.2007 n. 8260, Pirro, rv. 241748).

Il reato di resistenza ascritto al N., commesso il 20.7.2002, non è – alla data odierna – attinto da causa estintiva per sopravvenuta prescrizione, avuto riguardo alla sospensione ex lege del termine prescrizionale ex artt. 159 e 161 c.p. per la complessiva durata di un anno e diciotto giorni. Sospensione derivante dai differimenti di udienza susseguitisi nel giudizio di primo grado per l’adesione del difensore alle astensioni dalle udienze penali proclamate dagli organismi professionali di categoria (Cass. Sez. 5, 23.4.2008 n. 33335, Inserra, rv. 241387; Cass. Sez. 2, 12.2.2008 n. 20574, Rosano, rv. 239890: "Il rinvio dell’udienza su richiesta del difensore che dichiara di aderire all’astensione collettiva non da luogo ad un caso di sospensione per impedimento e quindi il corso della prescrizione rimane sospeso per tutto il periodo del differimento").

5.2. I rilievi critici espressi sulla regiudicanda con il primo motivo di ricorso, in gran parte generici (reiterativi dell’omologo motivo di gravame ben vagliato dai giudici di appello) e non consentiti (laddove sottendono una rivalutazione fattuale delle fonti di prova apprezzate dai giudici di merito non ripercorribili nel giudizio di legittimità), sono destituiti di fondamento. La doverosa congiunta lettura delle due conformi decisioni di merito rende evidente come il contegno del N. sfociato negli atti aggressivi integranti la contestata resistenza (epiteti ingiuriosi e minacciosi rivolti ai carabinieri sino a venire a colluttazione con gli stessi) si sia sviluppato attraverso il diniego di fornire, anche ai sopravvenuti carabinieri, le proprie generalità, oltre a non esibire un documento identificativo. L’eventualità che egli abbia comunque declinato oralmente le proprie generalità è una mera congettura difensiva, contraddetta dalla testimonianza del carabiniere A. (riprodotta nel ricorso), che non ha affatto riferito che il N. si è limitato a non consegnare i propri documenti (prima ai vigili urbani e poi ai carabinieri), chiarendo anzi che l’imputato ha persistito, in preda a forte agitazione, nel proprio contegno di rifiuto, addirittura tentando di fuggire e sottrarsi ad ogni controllo, ponendo in pericolo sè stesso e la circolazione stradale.

Le disquisizioni sulla configurabilità o meno del reato contravvenzionale di cui all’art. 651 c.p. (in origine ascritto all’imputato, in uno alla resistenza, e dichiarato prescritto) non hanno ragion d’essere, perchè in ogni caso, pur ammettendosi – in ipotesi – che il N. abbia soltanto rifiutato di esibire un documento identificativo, il suo contegno propedeutico ai gesti di violenza, avulsi da una mera resistenza passiva, integrerebbe pur sempre un fatto reato. Cioè, quanto meno, la contravvenzione punita dal combinato disposto dell’art. 4, comma 1 e art. 221 t.u.l.p.s. (in rel. art. 294 regol. t.u.l.p.s.), rendendo sanzionabile il contegno elusivo e di rifiuto dell’imputato nel consentire la propria corretta identificazione anche documentale e così legittimando la coeva decisione dei carabinieri di condurlo in caserma, sia per calmarne l’esagitazione, sia soprattutto per procedere ai necessari rilievi identificativi. Di tal che la condotta in concreto assunta dall’imputato in concomitanza con l’intervento dei carabinieri esula, come puntualizza l’impugnata decisione di appello, da ogni connotazione di "passività" e meno che mai di reazione ad un arbitrario atto dei carabinieri (D.Lgt. n. 288 del 1944, ex art. 4), traducendosi nel deliberato proposito di impedire od ostacolare anche con atti di violenza fisica l’attività di ufficio dei carabinieri (ex plurimis: Cass. Sez. 6, 7.7.2003 n. 34089, Bombino, rv. 226329;

Cass. Sez. 6, 11.2.2010 n. 8997, Palumbo, rv. 246412).

5.3. Le doglianze (secondo motivo di ricorso) in punto di violazione del diritto di difesa dell’imputato, rapportata alla compressione della istruttoria, la cui invocata rinnovazione la Corte di Appello non avrebbe motivato, non hanno fondamento.

Secondo il ricorrente il giudice di primo grado ha revocato l’ordinanza ammissiva della prova testimoniale del secondo carabiniere operante (il vicebrigadiere L.), ritenendone la superfluità ed irrilevanza alla luce delle già acquisita testimonianza dell’appuntato A., ma in tal modo ha vulnerato il diritto alla controprova dell’imputato e i giudici di appello, non aderendo all’istanza difensiva di rinnovazione istruttoria, non hanno colmato la lacuna motivazionale riveniente dalla incompleta conoscenza dei dati storici della regiudicanda.

Tale assunto è infondato.

Il diritto alla prova riconosciuto alle parti dall’art. 190 c.p.p., comma 1 implica la corrispondente attribuzione del potere di escludere le prove palesemente superflue e irrilevanti, secondo una verifica di esclusiva competenza del giudice di merito, che si sottrae al sindacato di legittimità, quando abbia formato oggetto di apposita motivazione, che – come per l’ordinanza del Tribunale sulla superfluità della deposizione del secondo carabiniere, rinunciata dal p.m. (sola parte ad averla dapprima richiesta) – risulti immune da vizi logici e giuridici. Chiarito altresì che la parte che chiede la rinnovazione dibattimentale ai sensi dell’art. 603 c.p.p. ha l’onere di specificare referenti e decisività incidentale della prova preesistente non ammessa (id est revocata) – perchè superflua e non rilevante – in primo grado, poichè l’art. 603 c.p.p., comma 1 sottintende il riferimento all’art. 495 c.p.p., comma 1 e, attraverso tale norma, all’art. 190 c.p.p., comma 1, è appena il caso di osservare che il ricorso (limitatosi a replicare i motivi di appello enunciati sul tema) non propone alcun dato specifico che focalizzi la concreta rilevanza (decisività ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. d) della testimonianza del secondo militare operante. In vero il diritto dell’imputato all’ammissione delle prove a discarico di cui all’art. 495 c.p.p., comma 2 non può non essere coordinato con il potere attribuito al giudice dallo stesso art. 495, comma 4 di revocare l’ammissione di prove che si rivelino superflue. Tale potere, esercitato dal giudice in base alle acquisizioni dell’istruttoria dibattimentale, è ben più ampio di quello che al medesimo è riconosciuto all’inizio del dibattimento, fase processuale regolata dal più circoscritto criterio delibativo dettato dall’art. 190 c.p.p., comma 1 (richiamato dall’art. 495 c.p.p., comma 1), in base al quale il giudice può non ammettere le sole prove vietate dalla legge o quelle che "manifestamente" risultino superflue o irrilevanti. Ne discende che la censura di mancata ammissione di una prova decisiva si risolve, una volta che il giudice abbia indicato le ragioni della revoca della prova già ammessa, in una verifica della logicità e congruenza della relativa motivazione correlata al materiale probatorio raccolto e apprezzato.

L’impugnata sentenza della Corte di Appello, correttamente richiamando la decisione del Tribunale, ha condiviso il giudizio di irrilevanza della deposizione testimoniale del secondo carabiniere, arricchendolo di autonomi elementi referenziali sulla efficacia dimostrativa della acquisita testimonianza dell’appuntato A..

D’altro canto, nel contesto probatorio e valutativo della sentenza di appello, l’esercizio del potere di rinnovazione istruttoria si sottrae, per la sua natura discrezionale, allo scrutinio di legittimità, nei limiti in cui la decisione del giudice di appello (tenuto ad offrire specifica giustificazione soltanto dell’ammessa rinnovazione) presenti una struttura argomentativa evidenziante – in caso di denegata rinnovazione – l’esistenza di fonti sufficienti per una esauriente e logica valutazione in punto di responsabilità (cfr.

Cass. Sez. 6, 18.12.2006 n. 5782, Gagliano, rv. 236064). Ciò che è proprio quanto deve constatarsi alla luce della motivazione dell’impugnata sentenza di secondo grado.

5.4. Gli argomenti con cui la sentenza di appello, confermando anche sul punto la decisione di primo grado, ha considerato il N. immeritevole del beneficio della sospensione condizionale della pena per effetto della sfavorevole prognosi comportamentale formulabile nei suoi confronti è sorretta da adeguata e non irrazionale giustificazione, che sfugge allo scrutinio di legittimità per la sua attinenza al tema del trattamento sanzionatorio, riservato all’esclusivo apprezzamento discrezionale del giudice di merito. Lo stesso è a dirsi per l’eventuale declaratoria del condono della pena inflitta all’imputato, impropriamente sollecitato – in subordine – a questo giudice di legittimità, apparendo indispensabile demandarne la verifica di applicabilità alla sede esecutiva sua propria.

Al rigetto del ricorso segue la condanna del N. al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *