Cass. civ. Sez. I, Sent., 06-10-2011, n. 20533

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

elega dell’Avv. Gerardo Breglia.
Svolgimento del processo

Gli eredi di Ca.Gi. ricorrono per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Potenza che ha rigettato l’impugnazione proposta dalla loro dante causa avverso la sentenza con la quale il Tribunale di Lagonegro, adito dalla Ca., aveva respinto per l’impossibilità di individuazione del bene, la sua domanda volta ad ottenere da parte di D.M.F., poi fallito, la consegna di un locale da adibire a garage già oggetto, unitamente a locali ad uso abitazione, di una pronuncia ex art. 2932 c.c., dello stesso Tribunale.

A sostegno del ricorso viene proposto un unico motivo con il quale si deduce violazione degli artt. 1472 e 2646 bis c.c., addebitandosi al giudice a quo di avere erroneamente ritenuto non esistente il bene immobile oggetto della sentenza emessa ex art. 2932 c.c..

Resiste con controricorso l’intimata F.P., proprietaria dell’immobile oggetto del giudizio mentre non ha proposto difesa la curatela del fallimento del D.M..
Motivi della decisione

L’unico motivo con il quale si deduce violazione degli artt. 1472 e 2646 bis c.c., addebitandosi al giudice del merito di avere erroneamente ritenuto che il bene di proprietà della F. costituito da locali edificati al di sotto dell’abitazione della Ca. non potesse identificarsi con il garage promesso in vendita dal D.M. e poi trasferito dal Tribunale è inammissibile per l’inidoneità del quesito dal momento che con lo stesso si da per ammesso ciò che invece la Corte d’appello non ha riconosciuto e cioè che fosse possibile procedere all’identificazione dell’immobile promesso in vendita con quello poi realizzato.

In realtà nessuna violazione di legge è ipotizzabile nella fattispecie ma, in ipotesi, un errore di valutazione degli elementi concreti in atti che si assumono tali da consentire l’identificazione richiesta. Tale errore avrebbe dovuto essere allora censurato sotto il profilo dell’incongruità o illogicità della motivazione sul fatto controverso indicato, previa specifica individuazione del medesimo ex art. 366 bis c.p.c., nella specie del tutto carente.

Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.

la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti alla rifusione delle spese che liquida in complessivi Euro 800,00 di cui Euro 600,00 per onorari, oltre spese generali e accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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