Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 24-01-2011) 03-06-2011, n. 22249 Aggravanti comuni danno rilevante

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

tto.
Svolgimento del processo

1.1-Con Sentenza 13.4.2010, depositata il 17.6.2010, la Corte di appello di Napoli – Sezione 5^ Penale, in riforma della sentenza 28.5.2009 del GUP del Tribunale di Avellino, condannava D. A. alla pena di anni 7 di reclusione. In esito al giudizio di primo grado, celebrato con il rito abbreviato, il primo giudice, affermata la penale responsabilità dell’imputato in relazione ai reati di cui: 1) agli artt. 56 e 575 c.p., art. 576 c.p., n. 1, art. 577 c.p., comma 2; 2) all’art. 61 c.p., n. 2, 2, 4 e L. n. 895 del 19967, art. 7; 3) all’ art. 648 c.p. lo aveva condannato, senza il riconoscimento delle attenuanti generiche, alla pena di anni 8 di reclusione. Il difensore del D. proponeva appello e all’apertura del dibattimento, in forza di procura speciale, rinunciava a tutti i motivi di gravame eccettuati quelli relativi alla determinazione della pena in relazione alle attenuanti invocate.

La corte territoriale riassumeva la vicenda esaminata dal GUP, maturata in un quadro di dissidi tra l’imputato e la moglie G.S., vittima del tentato omicidio, risalenti alla vita in comune ed acuitisi a seguito della separazione; nell’ambito dei vivaci contrasti si era, quindi, inserita la contesa tra i due in relazione al possesso di una autovettura Audi A 4 che la G. avrebbe portato via con l’inganno al D. e che rifiutava di restituirgli, pretendendo in cambio dazioni di danaro, prima 5.000,00 e poi 20.000,000 Euro, secondo quanto riferito da D.L. figlio della coppia. Al fine di ottenere la restituzione dell’autovettura il D. il 2.10.2008, dopo aver contattato la moglie sul telefono cellulare ed aver saputo che la stessa si trovava in casa della madre, si recava colà, portando con sè una pistola Browing’s cal. 7,65, con la quale esplodeva all’indirizzo della G. dei colpi, due dei quali attingevano la vittima: uno alla arteria succlavia ed alla carotide, nonchè alla vena iliaca, l’altro alla clavicola sinistra, al plesso branchiale di sinistra ed all’ovaio sinistro, determinandone il pericolo di vita, scongiurato in esito agli interventi medici praticati, dopo i quali residuavano, per la G., indebolimenti permanenti in relazione a diversi organi e funzioni. Venendo, quindi, all’esame del motivo di appello residuato a seguito della rinuncia agli altri, la corte territoriale riteneva non sussistente l’attenuante della provocazione per difetto del nesso eziologico tra il fatto provocatorio e la reazione dell’imputato. In particolare rilevava, nel merito, che le pregresse conflittualità della coppia e l’episodio del 20.9.2008, accaduto presso un ristorante e nel corso del quale, durante una discussione per la restituzione dell’autovettura, la G. strattonava e schiaffeggiava l’imputato, circostanze invocate dall’appellante a sostegno della sussistenza della attenuante, in subordine putativa, della provocazione, non consentivano di ritenerla integrata.

La corte territoriale reputava, invece, meritevole di accoglimento la richiesta di concessione delle attenuanti generiche in ragione della accertata conflittualità del vissuto della coppia , nell’ambito del quale la G. non si palesava come soccombente, come dimostrato dall’assoluzione del D., in primo grado, dal delitto di maltrattamenti in suo danno e dalla posizione assunta dalla donna nello specifico episodio della contesa per la restituzione dell’autovettura Audi A 4. Si tratta di elementi di fatto che, pur non integrando la attenuante ella provocazione, consentivano, valutati unitamente alla mancanza di precedenti penali del soggetto, ed al suo comportamento processuale, di riconoscere tali attenuanti, seppure da valutare come equivalenti nel giudizio di comparazione con l’aggravante di cui all’art. 577 c.p., comma 2. 1.2.- Avverso la sentenza propone ricorso per Cassazione l’avvocato Alberico Villani difensore di D.A., assumendo:

1) violazione dell’art. 62 c.p., comma 2 in relazione all’art. 606 c.p.p. e difetto logico di motivazione. Premessa una rivisitazione dei fatti esaminati dalla corte territoriale la difesa afferma l’esistenza del denunciato vizio per avere la sentenza impugnata non ritenuto ricorrente l’attenuante della provocazione, neppure in forma putativa, con motivazione inadeguata atteso che era a carico del giudice stabilire se sussistesse un nesso tra fatto ingiusto e condotta offensiva dell’autore del reato ovvero se la reazione fosse stata dovuta a motivi sopravvenuti di diverso tenore, non essendo l’imputato onerato di prova in proposito. Ricorrevano, infatti, elementi e circostanze idonee ad accreditare in favore dell’imputato la ragionevole convinzione della sussistenza dell’attenuante e quindi di sentirsi provocato dalla precedente azione della moglie, e il giudizio si sarebbe dovuto ancorare agli elementi concreti della fattispecie, tenendo conto delle relazioni conflittuali tra i coniugi e delle continue e costanti discussioni tra loro per una separazione, mai completamente metabolizzata.

2) violazione degli artt. 133 c.p. e 69 c.p. in relazione all’art. 606 c.p.p..

Sostiene la difesa ricorrente che la corte d’appello ha omesso di motivare in ordine alla entità della pena inflitta ai sensi dell’art. 133 c.p., ha , infatti, richiamato la conflittualità della coppia, la posizione quasi provocatoria della vittima, il buon comportamento, post delictum e in corso di processo dell’imputato per argomentare sulla concessine delle attenuanti generiche, ma di tali circostanze non ha tenuto conto nella quantificazione della sanzione base. Assoluta è la mancanza di motivazione in relazione alla ritenuta equivalenza tra le attenuanti generiche e l’aggravante contestata, la corte non ha in alcun modo valutato la reale entità di fatti che pure avrebbero potuto portare ad un giudizio di prevalenza delle generiche con conseguente determinazione di una pena meno severa e più commisurata all’intensità del dolo ed alla capacità a delinquere dell’imputato.

3) violazione dell’art. 81 c.p. in relazione all’art. 606 c.p.p..

Si duole, infine la difesa che la corte territoriale abbia applicato l’aumento di pena, a titolo di continuazione per i reati satellite, senza indicare le ragioni poste alla base della determinazione di aumento e senza specificare quale fosse, per ciascuno dei due reati ascritti in continuazione, la quota parte dell’aumento complessivamente deciso.

1.3.- Il Procuratore Generale ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
Motivi della decisione

2.- Il ricorso è infondato.

2.1.- Privo di pregio è il primo motivo con il quale il ricorrente sostiene la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione al mancato riconoscimento della attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 2, sul presupposto che sia onere del giudice stabilire la sussistenza del nesso tra fatto ingiusto e condotta offensiva dell’autore del reato, ovvero se la reazione di quest’ultimo fosse dovuta a motivi sopravvenuti di diverso tenore.

Invero la motivazione sviluppata dai giudici di appello per escludere la configurabilità dell’invocata attenuante ex art. 62 c.p., n. 2 è del tutto conforme a principi di diritto ripetutamente affermati da questa Corte di legittimità e pienamente aderenti alla fattispecie di cui trattasi. Infatti l’attenuante della provocazione, pur in presenza di fatti apparentemente ingiusti della vittima e pur non essendo il concetto di adeguatezza e proporzione fra le opposte condotte elemento caratterizzante dell’attenuante di cui trattasi, è inapplicabile allorchè la reazione si appalesi, sotto ogni profilo, eccessiva e talmente spropositata rispetto all’episodio dal quale trae spunto, da fare escludere la sussistenza di un ragionevole nesso causale tra offesa e reazione (Sez. 1, sent.15.7.2010 n. 30479, Rv.

248375; Sez. 1, sent 6.11.2008 , n. 1214, Rv. 242622; Sez. 5, sent.

2.3,2004, n.24693, Rv. 228861; Sez. 1, sent., 15.11.1993 n. 1305, Rv.

197245). Correttamente, pertanto, la corte territoriale rileva che le pregresse conflittualità della coppia e l’episodio del 20.9.2008, accaduto presso un ristorante e nel corso del quale, durante una discussione per la restituzione dell’autovettura, la G. strattonava e schiaffeggiava l’imputato, circostanze invocate dall’appellante a sostegno della sussistenza della attenuante, in subordine putativa, della provocazione, non consentivano di ritenerla integrata.

Per la sussistenza della figura giuridica della provocazione, infatti, deve essere rilevabile una consequenzialità logica e anche cronologica, perchè la reazione, nel momento in cui l’azione reattiva è posta in essere, possa ritenersi indotta dal fatto ingiusto altrui (Sez. 1, sent. 11.12.2003, n.26298, Rv. 228122; Sez. 1, Sent. 1 5.7.2010, n. 30469, Rv. 248375). Nel caso di specie le pregresse conflittualità, anche piuttosto aspre, tra i coniugi e la violenta lite del 20.9.2008, contestualizzate rispetto al tentato omicidio avvenuto il 2.10.2008, non sono assumibili quali comportamenti, ingiusti, di provocazione con immediata e concreta valenza determinativa rispetto all’azione successivamente compiuta dall’imputato D., il quale dopo oltre dieci giorni dal litigio ultimo, si recò armato di pistola dalla vittima e la attinse, con chiaro intento omicidiario, con due colpi in parti vitali del corpo.

In particolare, anche il tempo trascorso dai comportamenti, assertivamente, vessatori della vittima risulta decisivo nel caso in esame, ai fini dell’esclusione, anche sotto il profilo putativo, dell’attenuante, stante l’impossibilità di ipotizzare, secondo l’insindacabile valutazione dei giudici del merito, nell’occasione una reazione in stato d’ira tale da impedire, in quell’istante, nell’agente il controllo dei freni inibitori.

E’, pertanto pienamente giustificata, sulla base della ricostruzione della vicenda operata dai giudici di merito, la considerazione che, in ogni caso, le modalità dell’azione e i comportamenti complessivamente tenuti dall’imputato, consentivano di escludere la reazione in stato di d’ira.

2.2.- Ugualmente infondato è anche il secondo motivo.

In tema di attenuanti generiche e di trattamento sanzionatorio, il giudice non ha l’obbligo di procedere ad un analitico esame dei criteri elencati nell’art. 133 c.p. ai fini della determinazione della pena e di fornire una congrua motivazione, essendo sufficiente il riferimento a dati obbiettivi o subbiettivi idonei ad evidenziare la correttezza sul piano argomentativo del criterio seguito nell’esercizio del proprio potere discrezionale. Più specificamente, poi, le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra circostanze aggravanti e attenuanti sono censurabili in Cassazione soltanto nell’ipotesi in cui siano frutto di un mero arbitrio o di ragionamento illogico, essendo sufficiente a giustificare la soluzione dell’equivalenza l’avere ritenuto tale soluzione la più idonea a realizzare l’adeguatezza della pena irrogata in concreto (ex plurimis, da ultimo Sez. 6, sent. 25.11.209, n. 6866, Rv. 246134).

Nel caso in esame, pertanto, non è sindacabile in questa sede la decisione della Corte di Appello, la quale, nel dare atto della congruità della pena inflitta in relazione: – alla entità, in termini di gravità e di conseguenze, della condotta accertata, – alla situazione antecedente e concomitante dei rapporti tra imputato e vittima, – alla condizione di incensuratezza dell’imputato ed a un suo apprezzabile comportamento processuale, ha congruamente e compiutamente adempiuto all’onere di motivazione in relazione e al giudizio di equivalenza tra le generiche e la aggravante contestata, che alla complessiva dosimetria della pena.

2.3.- Quanto al terzo ed ultimo motivo rileva il Collegio che riguardo alla applicazione della pena nel reato continuato, una volta stabilita la pena base per il reato più grave, la distinta applicazione dei singoli aumenti di pena per i diversi reati satelliti, sebbene sia utile perchè rende meglio evidenti le ragioni che concorrono a formare l’aumento complessivo e rende più speditamente applicabili diversi istituti penali, quali eventuali cause estintive dei reati o delle pene, tuttavia non è prevista ne1 richiesta dalla legge; ne consegue che l’indicazione, in maniera unitaria e complessiva, dell’aumento di pena per i reati satellite non provoca nullità od irregolarità di alcun genere (Sez. 2, sent.

6.12.2005, n. 47165, Rv. 232937; Sez.l, sent. 27.11.2009 n.3100, Rv.

245958; Sez. 2, sent. 3.6.2010, n. 32586, Rv. 247978;). Per le ragioni sopraesposte il ricorso deve essere rigettato con le conseguenze di legge sia in relazione alle spese processuali che alla rifusione di quelle sostenute dalla parte civile costituita.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali nonchè alla rifusione in favore della parte civile delle spese sostenute, che liquida in complessivi Euro 2.500,00 per onorari, oltre spese, IVA e CPA come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *