Cons. Stato Sez. IV, Sent., 08-06-2011, n. 3509 Provvedimenti contingibili ed urgenti

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Il Comune di Sant’Olcese appellante lamenta che la sentenza del TAR Liguria avrebbe erroneamente:

– ritenuto l’insussistenza dei presupposti per l’adozione di un’ordinanza sindacale d’urgenza per la rimozione di otto coni bicolore nonché di due segnali di lavori temporanei, apposti dagli appellati su una parte della carreggiata della via Cassissa;

– qualificato il provvedimento come afferente all’ordinaria gestione della cosa pubblica;

– affermato, di conseguenza, la competenza del Dirigente ai sensi dell’art. 107 del T.U. n.267/2000 e s.m.i..

Gli appellati si sono costituiti in giudizio con memoria con cui, a sostegno dell’esattezza della sentenza, sottolineano le proprie argomentazioni e ripropongono i motivi assorbiti in primo grado.

Chiamata alla Camera di Consiglio la causa, previo avviso alle parti, è stata ritenuta in decisione dal Collegio ai sensi dell’art. 60 del c.p.a..

L’appello è fondato.

Con il primo motivo di appello, di carattere assorbente, il Comune afferma che, contrariamente a quanto affermato dal TAR, l’atto impugnato in primo grado era, in realtà, un provvedimento adottato ai senso dell’art. 378, l. 20 marzo 1865 n. 2248 all. F.

Per l’Amministrazione Comunale appellante, l’esercizio del potere sindacale contemplato dall’art. 378 l. n. 2248/1865 all. F, configura non già un provvedimento repressivo in materia edilizia, bensì un’ipotesi di autotutela possessoria iuris publici in tema di strade di uso pubblico, che, in quanto tale, trova il suo unico presupposto nella necessità di ripristinare l’uso pubblico della strada senza necessità di ulteriori motivazioni (cfr. Consiglio Stato n. 25/2009).

Nel caso, la qualificazione pubblica della via sarebbe stata dimostrata in particolare: dalle ripetute nel tempo asfaltature da parte del Comune; dall’apposizione di un cartello "fine divieto di sosta" da oltre dieci anni, e dalle dichiarazioni scritte di dieci cittadini sull’uso pubblico da tempo immemorabile.

L’appello è fondato.

Al riguardo deve ritenersi che anche alla luce delle fotografie dei luoghi (cfr. All. 2,3,4 al fascicolo di 1° grado) sussistono i presupposti per cui la strada debba essere ricondotta alla nozione di strada vicinale di uso pubblico (cfr. sentenza di questa Sezione 24 febbraio 2011 n. n. 1240).

In tale direzione è rilevante che:

– la via in questione è inserita, ai sensi dell’art. 20 della L. 20/03/1865, n. 2248, parte 2^, al n. 23 della classificazione ufficiale dichiarativa delle strade comunali;

– le sue dimensioni, struttura, e condizioni consentono un generale passaggio esercitato "iure servitutis publicae" da una collettività indeterminata di persone in assenza di restrizioni all’accesso o di vincoli di proprietà o condominio;

– come è ricavabile dalle mappe satellitari facilmente rinvenibili nella rete internet, la strada è collegata con la viabilità generale, da un lato verso la via Don Sturzo e dall’altra con la v.Calamandrei, e soddisfa esigenze di interesse generale;

– l’uso pubblico è protratto da tempo immemorabile (come da dichiarazioni dei cittadini allegate sub n. 9 al fascicolo di 1° grado);

– la via è stata manifestamente fatta oggetto di interventi di manutenzione da parte del Comune e di installazioni, sopra o sotto di essa, di infrastrutture di servizio da parte dell’ente pubblico (telefoniche, elettriche, fognarie, acquedottistiche).

Deve infatti ritenersi che, per le tipologie complessive sue e dell’area cui accede, la strada in contestazione debba essere fatta rientrare nella categoria delle "vie pubbliche" e non in quella delle strade vicinali private formate "ex collatione privatorum agrorum" (che quindi sono di proprietà dei singoli conferenti).

In questo quadro, finisce per essere del tutto inconferente il richiamo da parte degli appellati alla situazione catastale e proprietaria delle relative particelle; ovvero alle natura edilizia "libera" delle pretese opere di "realizzazione di un piazzale di sosta".

E’ dunque evidente che il provvedimento in questione concerneva l’occupazione abusiva parziale del sedime di una pubblica via, in fregio alla proprietà degli appellati.

Non si capisce in base a quali elementi, il TAR, abbia del tutto apoditticamente ignorato il fondamento giuridico dichiarato dal provvedimento per sovrapporvi indebitamente una propria autonoma qualificazione normativa della fattispecie.

Come la concorde giurisprudenza ha sempre riconosciuto l’art. 378, 20 marzo 1865 n. 2248 all. F attribuisce al sindaco un potere di autotutela di carattere possessorio, volto alla conservazione dello stato di fatto dei beni demaniali comunali e delle strade comunali soggette ad uso pubblico.

Con la conseguenza che, a prescindere dall’effettiva esistenza di un diritto reale di servitù pubblica di passaggio o dall’esistenza di una pubblica via vicinale (che tra l’altro prescinde anche dall’inclusione della via stessa dagli elenchi comunali), sussiste il potere dell’amministrazione comunale di rimuovere i materiali ostativi al libero transito con le modalità esistenti anteriormente e, quindi, di ripristinare lo stato dei luoghi, quando sussista una situazione di fatto di oggettivo pregiudizio del pubblico passaggio (cfr. Consiglio Stato, sez. V, 08 gennaio 2009, n. 25; Consiglio Stato, sez. IV, 07 settembre 2006, n. 5209 Consiglio Stato, sez. IV, 06 aprile 2000, n. 1975).

Quanto poi al profilo concernente l’incompetenza del Sindaco affermata dal TAR, deve invece rilevarsi che l’esercizio del potere di autotutela possessoria delle strade vicinali è (e resta) attribuito al Sindaco dall’art. 378 della legge 20 marzo 1865, all. F (e dall’art. 15, d.l. Lgt 1 settembre 1918 n. 1446) in quanto la detta disposizione è stata sottratta all’effetto abrogativo di cui all’art. 2 del d.l. 22 dicembre 2008 n. 200 (convertito, con modificazioni, nella legge 18 febbraio 2009 n. 9), dall’art. 1, comma 2, d.lg. 1 dicembre 2009 n. 179.

Non vi sono dubbi quindi che il generale potere di autotutela del demanio e del patrimonio indisponibile del comune, di cui all’art. 378, l. 20 marzo 1865 n. 2248 all. F, continui a spettare al sindaco sia in ragione della persistente vigenza della norma e sia della riconducibilità del potere di tutela qui previsto alla funzione di ufficiale di governo.

Per questo motivo tale potere non può ritenersi trasferito al dirigente con l’entrata in vigore del d.lg. n. 267 del 2000, atteso che l’art. 107, comma 5, del predetto testo normativo fa espressamente salve le competenze del Sindaco specificamente previste dall’art. 50, comma 3 e dall’art. 54, e cioè proprio le competenze espressamente attribuitegli dalla legge nelle materie di ordine e di sicurezza pubblica, in quanto in tali fattispecie la tutela del bene comunale assicura in concreto un diritto,che è di rilievo costituzionale, quale quella alla libera circolazione sul territorio di tutti i cittadini, ancorchè non residenti nel Comune.

L’appello deve dunque essere accolto e per l’effetto, in riforma della sentenza di cui in epigrafe, deve essere respinto il ricorso di primo grado.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) definitivamente pronunciando:

– 1. Accoglie l’appello e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, respinge il ricorso proposto in primo grado.

– 2. Condanna gli appellati al pagamento delle spese del presente giudizio che vengono liquidate in Euro 3.000,00 oltre ad IVA ed al contributo Cassa nazionale di previdenza ed assistenza, in favore dell’Amministrazione Comunale appellante.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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