Cass. pen., sez. II 14-10-2008 (01-10-2008), n. 38812 Interessi usurari – Pagamento – Prescrizione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

OSSERVA
Il difensore di B.E. ricorre avverso la sentenza sopra indicata che ha accertato la responsabilità del prevenuto in ordine al delitto di usura continuata in danno di S.A. e di D.A., fatti commessi sino al (OMISSIS) (artt. 81 cpv. e 644 cod. pen.).
Deduce violazione delle norme sulla notificazione del decreto di citazione nel giudizio di appello per l’udienza del 1 aprile 2008 eseguita presso il domicilio di via (OMISSIS) con deposito presso la casa comunale, in quanto la raccomandata prevista dall’art. 158 c.p.p., comma 8 non fu ricevuta per "mancanza" del destinatario. Rileva che anche l’ulteriore notifica presso il domicilio indicato nell’atto di appello non raggiunse effetto in quanto l’imputato risultò sconosciuto e non fu rispettato il termine di 20 giorni di cui all’art. 601 c.p.p., comma 3.
Con altro motivo deduce violazione di legge con riferimento al diniego di applicazione del termine di prescrizione decorrente nel caso di specie dal momento della pattuizione del prestito, avendo al contrario il giudice di merito applicato il disposto di cui all’art. 644 ter cod. pen. ("la prescrizione del reato di usura decorre dal giorno dell’ultima riscossione sia degli interessi che del capitale") ad un fatto consumato in periodo antecedente alla sua introduzione disposta con L. 7 marzo 1996, n. 108. Eccepisce che comunque il primo fatto di usura (collocato nell’anno (OMISSIS)) si è prescritto prima della sentenza di appello intervenuta dopo oltre cinque anni dall’ultimo atto interruttivo. Deduce ancora vizio di motivazione in ordine del momento di consumazione di ciascun reato che il giudice ha accertato senza specifica individuazione del patto usurario.
Il ricorso deve essere rigettato.
Con il primo motivo ricorso ci si duole della mancata notifica presso il difensore ex art. 161 c.p.p., comma 4 assumendo non essere andata a buon fine la notificazione presso il domicilio di via (OMISSIS). La doglianza è infondata in quanto nell’ipotesi in cui l’ufficiale giudiziario, recatosi sul luogo del domicilio dichiarato dell’imputato, non abbia rinvenuto l’interessato, tale assenza non equivale alla impossibilità della notifica, a meno che l’ufficiale giudiziario non accerti l’avvenuto trasferimento di residenza o dia comunque atto nel verbale che si è verificata una causa che rende definitivamente impossibili le notificazioni in quel luogo (Cass. 2^ 3.3.05 n. 8757, depositata 7.3.05, rv. 231041). La mancanza sul posto del destinatario dell’atto oggetto di notificazione impone l’effettuazione (come in effetti avvenuto con il deposito nella casa comunale) di una delle forme alternative previste dall’art. 157 c.p.p., e non anche, come vorrebbe il ricorrente della notifica ex art. 161 c.p.p., comma 4. Va infatti confermato che ai fini e per gli effetti della legittimità della notifica presso il difensore, l’assenza dell’interessato non equivale all’impossibilità della notificazione, a meno che l’ufficiale giudiziario non accerti l’avvenuto trasferimento di domicilio o dia comunque atto nel verbale che si è verificata una causa che rende definitivamente impossibili le notificazioni in quel luogo (Cass. 4^ 24.10.05 n. 1167, depositata 13.1.06, rv. 233176).
La notificazione presso la casa comunale fu quindi ritualmente eseguita.
Il secondo motivo di gravame relativo al decorso del termine di prescrizione è manifestamente infondato alla luce del principio di legittimità costantemente affermato da questa corte proprio con riferimento a fattispecie integrate prima dell’intervento normativo cui si fa riferimento. Al riguardo si conferma che il delitto di usura si configura come un reato a schema duplice, costituito da due fattispecie – destinate strutturalmente l’una ad assorbire l’altra con l’esecuzione della pattuizione usuraria – aventi in comune l’induzione del soggetto passivo alla pattuizione di interessi od altri vantaggi usurari in corrispettivo di una prestazione di denaro o di altra cosa mobile, delle quali l’una è caratterizzata dal conseguimento del profitto illecito e l’altra dalla sola accettazione del sinallagma ad esso preordinato. Nella prima il verificarsi dell’evento lesivo dei patrimonio altrui si atteggia non già ad effetto del reato, più o meno esteso nel tempo in relazione all’eventuale rateizzazione del debito, bensì ad elemento costitutivo dell’illecito il quale, nel caso di integrale adempimento dell’obbligazione usuraria, si consuma con il pagamento del debito, mentre nella seconda, che si verifica quando la promessa del corrispettivo, in tutto o in parte, non viene mantenuta, il reato si perfeziona con la sola accettazione dell’obbligazione rimasta inadempiuta. Ne deriva, in tema di prescrizione, che il relativo termine decorre comunque dalla data in cui si è verificato l’ultimo pagamento degli interessi usurari (Cass. 2^ 10.12.03 n. 11837, depositata 11.3.04, rv. 228381; Cass. 2^ 30.4.99 n. 6015, depositata 12.5.99, rv. 213380).
Inoltre, non applicandosi nella concreta fattispecie la normativa introdotta con L. 5 dicembre 2005, n. 521 essendo già esaurito il procedimento di primo grado al momento di quella introduzione normativa, vale il dettato delle sezioni unite statuito in tema di reato continuato che conferma che i termini di prescrizione decorrono, senza frazionamenti per ciascun reato, dal giorno in cui è cessata la continuazione (Cass. S.U. 24.1.96 n. 2780 depositata 15.3.96, rv. 203977).
Il ricorso relativo al vizio di motivazione in ordine al momento consumativo del delitto per essere stata determinata la data del patto usurario in forza di criteri non certi, avendo il giudice di appello ripetuto argomentazioni rese dal tribunale è inammissibile.
Nel giudizio di cassazione deve essere accertata la coerenza logica delle argomentazioni seguite dal giudice di merito nel rispetto delle norme processuali e sostanziali. Ai sensi del disposto di cui all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e, la mancanza e la manifesta illogicità della motivazione devono risultare dal testo del provvedimento impugnato, sicchè dedurre tale vizio in sede di legittimità comporta dimostrare che il provvedimento è manifestamente carente di motivazione o di logica e non già opporre alla logica valutazione degli atti operata dal giudice di merito una diversa ricostruzione, magari altrettanto logica, degli atti processuali (Cass. S.U. 19.6.96, De Francesco). Esula infatti dai poteri della Corte di Cassazione quello di una diversa lettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è riservata in via esclusiva al giudice di merito senza che possa integrare vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa valutazione delle risultanze processuali ritenute dal ricorrente più adeguate (Cass. S.U. 2.7.97 n. 6402, ud. 30.4.97, rv.
207944, Dessimone). Con il ricorso si nega validità logica alle conclusioni del giudice di merito, prospettando la non concludenza degli elementi indicati dalla corte territoriale per l’accertamento del momento in cui furono concordati i contratti usurari. Al riguardo in questa sede non possono essere contestati i documenti bancari relativi ai pagamenti (rilevanti, come detto ai fini prescrizionali) e le dichiarazioni congruamente e motivatamente ritenute attendibili delle parti lese.
Va anche affermata la legittimità della motivazione della sentenza di secondo grado che, disattendendo le censure dell’appellante, si uniformi, sia per la "ratio decidendi", sia per gli elementi di prova, ai medesimi argomenti valorizzati dal primo giudice (Cass. 5^ 23.3.00 n. 3751, ud. 15.2.00, rv. 215722). Il vizio di motivazione "per relationem" sussiste invece allorchè il giudice investito del gravame si limiti a respingerlo e a richiamare la contestata motivazione del giudice di primo grado in termini assolutamente apodittici senza indicare i temi o problemi trattati, la soluzione offerta del provvedimento impugnato e la natura delle censure così non consentendo la conoscenza di quei temi e, conseguentemente, la valutazione, in sede di legittimità, dell’adeguatezza o meno delle risposte date (Cass. 4^ 27.2.96 n. 4314, ud. 22.12.95, rv. 204145).
Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che rigetta il ricorso l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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