Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 11-05-2011) 06-06-2011, n. 22316 Poteri della Cassazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ordinanza in data 12 gennaio 2011, il Tribunale di Roma, quale giudice del riesame, confermava l’ordinanza con la quale, il 29 dicembre 2010, il G.I.P. del Tribunale di Frosinone applicava a S.V.C. ed altri la misura cautelare personale di massimo rigore per i reati di rapina aggravata, sequestro di persona, tentativo di induzione alla prostituzione e violenza sessuale.

Avverso tale pronuncia il predetto proponeva ricorso per cassazione.

Con un primo motivo di ricorso deduceva la violazione dell’art. 309 c.p.p., commi 9 e 10, rilevando che la decisione del Tribunale era intervenuta oltre il termine massimo del 19 gennaio 2011.

Con un secondo motivo di ricorso deduceva la violazione dell’art. 309 c.p.p., commi 5 e 10, rilevando la mancata trasmissione al giudice del riesame del fascicolo delle investigazioni difensive.

Con un terzo motivo di ricorso rilevava la violazione degli artt. 273 e 274 c.p.p., difettando la mancanza assoluta di indizi di colpevolezza, in quanto il quadro indiziario si risolveva nelle sole, contraddittorie dichiarazioni della persona offesa.

Osservava, a tale proposito, che i giudici del riesame non avevano considerato le contraddizioni emergenti nelle dichiarazioni della persona offesa, che analiticamente esaminava, rimarcando come il Tribunale non avesse tenuto conto delle risultanze delle investigazioni difensive comunque prodotte in udienza.

Rilevava, inoltre, la mancanza di esigenze cautelari.

Con un quarto motivo di ricorso deduceva la manifesta illogicità della motivazione posta a sostegno dell’ordinanza impugnata.

Insisteva, pertanto, per l’accoglimento del ricorso.
Motivi della decisione

Il ricorso è inammissibile perchè basato su motivi manifestamente infondati.

Occorre osservare, con riferimento al primo motivo di ricorso, che i termini di cui all’art. 309 c.p.p., comma 9 risultano rispettati.

Come rilevato dalla giurisprudenza di questa Corte, infatti, la perdita di efficacia della misura non opera qualora la decisione, completa della motivazione, sia depositata oltre il termine di dieci giorni di cui all’art. 309 c.p.p., comma 10 se entro detto termine il Tribunale abbia deliberato sulla richiesta e depositato il dispositivo, poichè la motivazione segue le disposizioni generali in tema di procedimento camerale e vale il termine ordinatorio di cinque giorni dalla deliberazione di cui all’art. 128 c.p.p. (Sez. 5^ n. 38105,20 novembre 2006 ed altre prec. conf.).

Nella fattispecie, la decisione è intervenuta il 12 gennaio 2011, mentre la motivazione è stata depositata il successivo 20 gennaio 2011.

Posto che la trasmissione degli atti al Tribunale da parte dell’autorità procedente è avvenuta, come indicato in ricorso, il 9 gennaio 2011, i termini stabiliti dall’art. 309 c.p.p. risultano rispettati.

Con riferimento al secondo motivo di ricorso si deve ricordare che la finalità dell’art. 309 c.p.p., comma 5, nella parte in cui impone la trasmissione anche degli elementi sopravvenuti a favore dell’indagato, è quella di consentire l’utilizzazione da parte del giudice del riesame di dati obiettivi che potrebbero rimanere ignoti se tale obbligo non fosse imposto.

Conseguentemente, la giurisprudenza di questa Corte ha costantemente escluso che tale obbligo si estenda anche ad atti o documenti già nella disponibilità della difesa e che da questa possano essere utilizzati o prodotti unitamente alla richiesta di riesame o nell’udienza di trattazione (Sez. 3^ n. 2916, 22 gennaio 2010; Sez. 6^ n. 2276, 17 gennaio 2003; Sez. 4^ n. 3337, 23 ottobre 2000; Sez. 2^ n. 5756, 8 novembre 1997).

Tali principi, pienamente condivisi dal Collegio, risultano a maggior ragione applicabili in casi, quali quello in esame, nei quali l’omessa produzione riguardi atti, quali le investigazioni difensive, formati e redatti dalla stessa difesa.

L’assenza di qualsivoglia pregiudizio per le garanzie difensive spettanti al ricorrente è peraltro dimostrata dal fatto che, come indicato nell’ordinanza impugnata, detti atti sono stati prodotti in udienza dallo stesso difensore e valutati nel corso del riesame.

Per quanto attiene, invece, al terzo e quarto motivo di ricorso va preliminarmente ricordato che, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, il ricorso per cassazione in materia di misure cautelari personali deve riguardare esclusivamente la violazione specifiche norme di legge o la manifesta illogicità della motivazione entro i limiti indicati dalla norma, con la conseguenza che il controllo di legittimità non può riferirsi alla ricostruzione dei fatti o censure che, seppure formalmente rivolte alla motivazione, si concretino in realtà nella prospettazione di una diversa valutazione delle circostanze già prese in considerazione dal giudice di merito (v. da ultimo, Sez. 5^, n. 46124, 15 dicembre 2008).

Con specifico riferimento al ricorso per cassazione per vizio di motivazione del provvedimento del Tribunale del riesame, in merito alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, si è osservato che alla Corte "spetta il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità e ai limiti che ad esso ineriscono, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie" (SS. UUn. 11, 2 maggio 2000).

Sono stati posti, dunque, limiti precisi entro i quali deve svolgersi il giudizio di legittimità, che non può sconfinare in un ulteriore valutazione del merito, anche quando, pur alla luce degli "altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame", l’intero contesto motivazionale del provvedimento impugnato sia congruo e non venga intaccato dalle specifiche allegazioni del ricorrente.

Date tali premesse, si osserva come l’ordinanza del Tribunale di Catania sia del tutto immune da censure sul punto.

In particolare, si rileva come l’ordinanza impugnata abbia dato compiutamente atto della sussistenza dei presupposti di legge posti a sostegno della misura cautelare impugnata.

I giudici del riesame, infatti, dopo aver legittimamente richiamato, anche per relationem, il contenuto del provvedimento del G.I.P., hanno attentamente esaminato i rilievi critici prospettati dalla difesa procedendo ad una attenta puntualizzazione dei fatti, sottoposti ad accurato vaglio critico anche alla luce delle allegazioni difensive.

Il ricorrente censura tali conclusioni ma prospetta unicamente una lettura alternativa del quadro indiziario complessivo, non proponibile in questa sede di legittimità a fronte di un provvedimento, quale quello impugnato, corredato da una motivazione che non presenta alcun evidente salto logico e risulta strutturata con un apparato argomentativo privo di contraddizioni.

L’ordinanza si palesa immune da censure anche nella parte in cui, motivando sulla sussistenza delle esigenze cautelari, ha rilevato di condividere le motivazioni addotte dal G.I.P., osservando come il pericolo di reiterazione dei reati della stessa specie di quelli contestati fosse rinvenibile non solo nella gravità dei fatti contesati, ma anche dalle condizioni di vita degli indagati, pienamente inseriti nell’ambiente della prostituzione.

Per quanto riguarda, infine, la lamentata scarsa considerazione, da parte del Tribunale, delle risultanze delle investigazioni difensive, deve in primo luogo ricordarsi che non è richiesta, in sede di riesame, la confutazione, punto per punto, degli argomenti difensivi di cui sia manifesta l’irrilevanza, in quanto l’obbligo motivazionale del giudice deve ritenersi circoscritto alla disamina di specifiche allegazioni difensive quando siano oggettivamente contrastanti con gli elementi accusatori, poichè nella nozione di "elementi di favore" rientrano solo i dati di natura oggettiva aventi rilievo concludente, mentre restano escluse le mere posizioni difensive negatorie o le prospettazioni di tesi interpretative alternative, che sono assorbite nella complessiva valutazione effettuata dal giudice del riesame (Sez. 4^ n. 27379 14 luglio 2010; Sez. 2^ n. 13500, 31 marzo 2008; Sez. 6^ n. 13919 14 aprile 2005; Sez. 4^ n. 34911, 22 agosto 2003).

Nel caso di specie, pur a fronte di un quadro indiziario esauriente, il Tribunale ha comunque valutato nel dettaglio la produzione difensiva, illustrando compiutamente le ragioni per le quali il complesso delle investigazioni difensive non assumeva comunque un oggettivo rilievo tale da scardinare l’inequivoco quadro indiziario.

Anche in questo caso, come già fatto presente in precedenza, a fronte di una motivazione non manifestamente illogica, non possono ammettersi letture alternative.

Il ricorso, conseguentemente, deve essere dichiarato inammissibile e alla declaratoria di inammissibilità – non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa del ricorrente (Corte Cost. 7-13 giugno 2000, n. 186) – consegue l’onere delle spese del procedimento, nonchè quello del versamento, in favore della Cassa delle ammende, della somma, equitativamente fissata, di Euro 1.000,00.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

La Corte dispone inoltre che copia del presente provvedimento sia trasmessa al Direttore dell’Istituto Penitenziario competente, a norma dell’art. 94 disp. Att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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