Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 21-04-2011) 06-06-2011, n. 22359 Riparazione per ingiusta detenzione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

H.A. – tramite difensore- propone ricorso avverso l’ordinanza indicata in epigrafe della Corte di Appello di Roma che nell’accogliere l’istanza per l’ingiusta detenzione ha limitato la liquidazione dell’indennizzo al periodo di otto giorni eccedente la condanna inflitta dalla sentenza di appello che, rilevato l’errore in cui era incorso il primo giudice, aveva ritenuto la sussistenza della circostanza attenuante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, liquidando la somma di Euro 1.500,00, per l’ingiusta detenzione subita dal 18 al 25 luglio 2007.

Era successo che il primo giudice aveva fondato la sentenza di condanna sugli esiti di una perizia che erroneamente aveva indicato 5.200 dosi di sostanza stupefacente anzichè 52 ed aveva inflitto la condanna alla pena detentiva di anni due di reclusione, modificata in melius dalla Corte territoriale che aveva irrogato la pena di un anno di reclusione, concedendo i benefici di legge.

La H. lamenta il difetto di motivazione e la violazione di legge dell’ordinanza gravata, che nel limitare l’indennizzo ai soli otto giorni eccedenti la condanna non avrebbe tenuto conto che la Corte di appello aveva concesso il beneficio della sospensione condizionale della pena che aveva ad oggetto l’intera pena e non un residuo della medesima. Ciò significava che la ricorrente non avrebbe dovuto scontare la pena come di fatto era successo agli altri imputati arrestati nelle operazioni parallele.

Sostiene che l’ordinanza della Corte di merito è contraria ad una interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 314 c.p.p., soprattutto alla luce del giudizio di incostituzionalità reso dal Giudice delle leggi con la sentenza n. 219 del 2008, con la quale è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo il citato art. 314 c.p.p., nella parte in cui condiziona in ogni caso il diritto alla equa riparazione al proscioglimento nel merito dalle imputazioni.
Motivi della decisione

Il ricorso è infondato.

La Corte distrettuale, nel limitare l’indennizzo agli otto giorni eccedenti la condanna inflitta dal giudice di secondo grado, ha precisato che l’arresto era obbligatorio e che neppure la difesa aveva dedotto che fosse stata accertata l’insussistenza delle condizioni per la convalida.

Giova ricordare che la sentenza della Corte Costituzionale 11 giugno 2008 n. 219, nel risolvere positivamente l’incidente di costituzionalità, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 314 c.p.p. "nella parte in cui non risulta previsto il diritto all’equa riparazione allorquando la pena definitivamente inflitta all’imputato, ovvero oggetto di una preclusione processuale che la sottragga a riforma nei successivi gradi di giudizio, risulti inferiore al periodo di custodia cautelare sofferto". La declaratoria di incostituzionalità deve, invero, essere così intesa in virtù del richiamo, contenuto nel dispositivo della sentenza stessa, a "quanto precisato in motivazione".

Come emerge dalla citata pronuncia, il Giudice delle leggi ha ritenuto che non fosse possibile dare un’interpretazione "costituzionalmente orientata" della norma citata ma – rifacendosi alla sua precedente giurisprudenza ed in particolare alle decisioni che avevano riaffermato la natura "servente" della custodia cautelare rispetto al perseguimento delle finalità del processo e alla necessità di bilanciare gli interessi in gioco (esigenze di tutela della collettività e temporaneo sacrificio della libertà personale per chi non sia stato ancora definitivamente giudicato colpevole)- è pervenuto alla conclusione che ove "la custodia cautelare abbia ecceduto la pena successivamente irrogata in via definitiva è di immediata evidenza che l’ordinamento, al fine di perseguire le predette finalità, ha imposto al reo un sacrificio direttamente incidente sulla libertà che, per quanto giustificato alla luce delle prime, ne travalica il grado di responsabilità personale".

E ha concluso precisando che "solo in apparenza la posizione di chi sia stato prosciolto nel merito dell’imputazione penale si distingue da quella di chi sia stato invece condannato (quanto, ovviamente, al solo giudizio circa l’ingiustizia della custodia cautelare che soverchi la pena inflitta)" perchè in entrambi i casi "l’imputato ha subito una restrizione del proprio diritto inviolabile. In entrambi i casi, pertanto, ricorre l’obbligo di indennizzare il pregiudizio".

Il Giudice delle leggi ha, pertanto, affermato il principio della indennizzabilità della custodia cautelare che abbia avuto una durata superiore alla pena inflitta o a quella che avrebbe potuto essere inflitta (come era avvenuto nel caso sottoposto alla Corte costituzionale).

Nemmeno rileva, nel caso in esame, il principio enunciato recentemente dalle Sezioni Unite di questa Corte (v. sentenza 30 ottobre 2008, Pellegrino) avente ad oggetto lo stesso processo che aveva dato luogo all’incidente di costituzionalità sollevato dalle medesime Sezioni unite.

La S.C. si è, infatti, limitata a recepire il principio affermato dalla Corte Costituzionale ritenendo indennizzabile il periodo di detenzione che superava la condanna inflitta in primo grado e che non avrebbe potuto essere determinata in misura superiore in mancanza dell’appello del pubblico ministero.

Nel caso in esame l’illegittimità della custodia cautelare eccedente la pena inflitta ai sensi dell’art. 314 c.p.p., comma 2, emerge con evidenza dalla sentenza della Corte territoriale che, rilevando l’errore in cui era incorso il primo giudice, ha concesso l’attenuante, riducendo la pena e concedendo i benefici di legge.

Ciò premesso, non può essere accolta la tesi difensiva secondo la quale l’ingiusta detenzione riguarda l’intero periodo in quanto sin dal principio poteva essere concesso il beneficio della sospensione della pena.

Se è vero che secondo la giurisprudenza di questa Corte, il diritto alla riparazione non viene meno nei casi in cui il giudizio si concluda con la concessione della sospensione condizionale della pena, è anche vero che l’art. 314 c.p.p., comma 2, nell’affermare il diritto alla riparazione anche del condannato, sottoposto a custodia cautelare, precisa che ciò è possibile solo allorchè si accerti che il provvedimento custodiale sia stato emesso o mantenuto in assenza delle condizioni di applicabilità previste dagli artt. 273 e 280 c.p.p.. La norma di riferimento, dunque, richiama, nel riconoscere il diritto alla riparazione anche al condannato, le norme sopra riportate, che attengono alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza ed al rispetto dei limiti edittali di pena, cioè ai casi, non riferibili a quello di specie, in cui il provvedimento custodiale sia stato adottato in assenza delle predette condizioni o in violazione di tali limiti.

E’ pur vero che l’art. 273 c.p.p., comma 2, aggiunge che la misura non può essere applicata nel caso in cui "sussiste" una causa di estinzione del reato, tra le quali si annovera la sospensione condizionale della pena; tuttavia, è altrettanto vero che la norma, con la richiamata perentoria forma verbale, fa chiaro riferimento non ad un’ipotesi di successivo intervento di una causa di estinzione, dovuta alle dinamiche processuali, bensì alla sussistenza evidente ed "attuale", cioè all’atto dell’adozione del provvedimento custodiale, della causa di estinzione. Si vuole, in sostanza, sostenere che, secondo l’art. 273 c.p.p., comma 2 non è consentita l’emissione del provvedimento custodiale allorchè pacificamente sussistano, già al momento dell’adozione del provvedimento stesso, le condizioni per la concessione del richiamato beneficio, non anche quando questo possa eventualmente essere concesso per l’intervento di evenienze o situazioni connesse alle dinamiche del processo ovvero a seguito di valutazioni di merito affidate all’esclusivo apprezzamento del giudice del fatto.

E’, quindi, l’erronea valutazione circa la originaria ed evidente sussistenza di una causa di non applicabilità della misura che rileva ai fini della riparazione, non anche il mancato ricorso, in sede di applicazione della stessa, a valutazioni ed apprezzamenti riservati al giudice del merito in esito al dibattito processuale.

Non si può, cioè, ritenere indebitamente emesso un provvedimento cautelare sol perchè il giudice che lo ha adottato, dopo avere verificato la sussistenza delle relative condizioni, non ha preso in considerazione circostanze ancora non emerse o perchè non ha anticipato valutazioni e giudizi che spettano solo al giudice del merito.

Ciò è tanto vero che la disposizione dell’art. 275 c.p.p., comma 2 bis, pure richiamata dal ricorrente- la quale prevede che il giudice, in sede di richiesta di applicazione di una misura cautelare, non debba adottarla se ritenga che possa, in esito al processo, essere concesso il richiamato beneficio- non è espressamente citata dall’art. 314 c.p.p., comma 2 proprio perchè, in quel caso, l’adozione del provvedimento custodiate non può ritenersi frutto di errore da parte del giudice (per non avere egli considerato l’insussistenza delle condizioni legittimanti il provvedimento restrittivo ovvero la sussistenza originaria di una causa di estinzione del reato) – che legittima la pretesa riparatoria – ma solo di una diversa valutazione dei fatti e della personalità dell’imputato, in quella sede necessariamente sommaria, che, viceversa, quella pretesa non legittima. Condivisibile è, quindi, la decisione della Corte territoriale, pur non compiutamente argomentata, che ha limitato l’istanza di riparazione proprio per l’impossibilità di sostenere che l’esistenza della causa di estinzione del reato fosse dal giudice originariamente ed immediatamente rilevabile all’atto dell’adozione del provvedimento restrittivo.

Il ricorso deve pertanto essere rigettato con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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