Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 07-04-2011) 06-06-2011, n. 22357 Misure cautelari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Il Tribunale di Catania ha respinto l’appello proposto da B.P. avverso l’ordinanza emessa dal Gip dello stesso Tribunale, con la quale è stata rigettata la richiesta di scarcerazione per decorrenza dei termini di custodia cautelare ai sensi dell’art. 297 c.p.p..

Il Tribunale da atto che il ricorrente è detenuto in virtù di misura cautelare emessa in data 16 ottobre 2010 in ordine al reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73; che in data 10 gennaio 2008 è stata emessa altra misura cautelare, eseguita il 18 gennaio dello stesso anno, per il reato di associazione di stampo mafioso; che si tratta di procedimenti diversi e non connessi; che non sussiste il requisito della desumibilità dagli atti, alla data dell’emissione della prima ordinanza cautelare, dell’esistenza delle condotte illecite di cui alla seconda ordinanza cautelare; se ne inferisce che non trova applicazione il detto art. 297 c.p.p..

Il Tribunale considera che si verte nell’ambito segnato dalla sentenza costituzionale n. 408 del 2205, che ha dichiarato l’incostituzionalità dell’art. 297 c.p.p., comma 3, nella parte in cui non si applica ai fatti diversi connessi quando risulti che gli elementi per emettere la nuova ordinanza erano già desumibili dagli atti al momento della precedente ordinanza. Aggiunge che la sentenza è stata interpretata dalla sentenza delle S.U. Librato nel senso che la disciplina in questione trovi applicazione solo quando la separazione dei procedimenti sia il frutto di una scelta del pubblico ministero; e che essa si riferisce ad un caso sostanzialmente sovrapponibile a quello in esame, posto che i procedimenti sono frutto di distinte notizie di reato e sono separati da un intervello temporale di oltre tre anni. Dunque non si è in presenza di una separazione frutto di una scelta consapevole del P.M., o effetto di colpevole inerzia o di artificioso ritardo nell’applicazione della seconda misura cautelare.

Infatti, a seguito della notizia di reato in data (OMISSIS), il successivo atto è stato l’iscrizione nel registro degli indagati con effetto retroattivo, in data 6 luglio 2009; sicchè se ne può dedurre che all’atto dell’adozione, in data 10 gennaio 2008, della prima ordinanza cautelare, il P.M. non aveva ancora valutato gli elementi indizianti che avrebbero giustificato l’adozione della seconda misura cautelare. In conclusione la desumibilità dagli atti va rapportata al momento valutativo, senza che rilevi il parametro rigorosamente temporale (Cass. 5, n. 2724 del 4 11 2009, Fracasso).

2. Ricorre per cassazione l’indagato.

2.1. Si deduce che erra il Tribunale quanto alla lettura della giurisprudenza costituzionale. Essa fa riferimento al ritardo nell’adozione della seconda misura per qualsiasi causa, e non solo quando si sia in presenza di una scelta del P.M. Ciò che rileva è solo il dato obiettivo della acquisizione di elementi idonei e sufficienti all’adozione di provvedimenti cautelari in relazione ai diversi fatti. Occorre d’altra parte avere riguardo non alla conoscenza effettiva ma alla conoscibilità da parte dell’ufficio;

conoscibilità che nella specie sussiste poichè alla Procura sono pervenute notizie di reato complete registrate prima dell’emissione della prima misura cautelare.

Il Tribunale erra pure nell’interpretare la sentenza Librato. Essa chiarisce che la retrodatazione costituisce rimedio ad una scelta indebita dell’autorità giudiziaria, che può aver luogo sia procrastinando l’adozione della misura, sia procrastinando l’inizio del secondo processo, come può avvenire non iscrivendo tempestivamente la notizia di reato. Nel caso in esame si verifica proprio tale ultima situazione poichè la notizia di reato è del 30 luglio 2007 e l’iscrizione nel registro degli indagati è avvenuto solo il 6 luglio 2009. Tale ritardo non può essere addebitato che al Pubblico Ministero; e non può pregiudicare la posizione dell’indagato. D’altra parte la desumibilità dei fatti dagli atti è indubbia posto che è stata disposta l’iscrizione con effetto retroattivo.

2.2 Si lamenta infine che il giudice erra nel ritenere uno stacco di tre anni tra le due notizie di reato, posto che quella relativa al reato cui si riferisce la prima misura cautelare è stata depositata il 17 agosto 2006 e che l’iscrizione è avvenuta l’11 luglio 2007.

Dunque tra la prima iscrizione del B. ed il deposito della seconda notizia di reato sono trascorsi solo 49 giorni e non tre anni.

Si chiede in conseguenza l’annullamento senza rinvio dell’ordinanza impugnata.

3. Il ricorso è infondato. Il provvedimento impugnato fa corretta applicazione del principio di diritto enunciato dalla già evocata sentenza Librato delle Sezioni unite di questa Suprema Corte che, con riferimento alle situazioni processuali del genere di quella in esame, consente la retrodatazione dei termini di durata della custodia cautelare solo quando la separazione dei procedimenti e l’adozione tardiva della seconda misura cautelare sia riconducibile in qualche guisa ad una scelta sostanzialmente consapevole dell’ufficio procedente. Nel caso in esame tale consapevolezza non risulta. Per trarre decisivi elementi di giudizio in proposito occorre annotare le date. La prima notizia di reato è del (OMISSIS), l’iscrizione risale all’11 luglio 2007, la misura cautelare è del 10 gennaio 2003. La seconda notizia di reato è del 30 luglio 2007, l’iscrizione è del 6 luglio 2009, la misura cautelare è stata adottata il 16 ottobre 2010. Dunque, la prima misura cautelare del gennaio 2008 è stata emessa dopo la seconda notizia di reato ma ben prima della sua iscrizione a seguito dell’esame del contenuto degli atti. Indubbiamente si è in presenza di uno stacco temporale assai rilevante tra ricezione della notizia di reato ed iscrizione; ma non vi sono elementi oggettivi per ritenere che tale cesura temporale possa essere ricondotta ad un callido espediente, in considerazione anche del fatto che pure la prima vicenda processuale mostra uno stacco di circa un anno tra ricezione degli atti ed iscrizione: dato che indica una prassi non appropriata ma non riconducibile per ciò solo all’ambito dell’artificio volto a pregiudicare indebitamente lo status libertatis.

Il ricorso deve essere conseguentemente rigettato. Segue per legge la condanna al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

La Corte dispone inoltre che copia del presente provvedimento sia trasmessa al Direttore dell’istituto penitenziario competente perchè provveda a quanto stabilito dall’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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