Cass. civ. Sez. I, Sent., 06-10-2011, n. 20508 Danno non patrimoniale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

rso.
Svolgimento del processo

D.A., con ricorso alla Corte d’appello di Napoli, proponeva, ai sensi della L. n. 89 del 2001, domanda di equa riparazione per violazione dell’art. 6 della C.E.D.U. a causa della irragionevole durata del giudizio instaurato dinanzi al T.A.R. Campania per il risarcimento del danno da mancato godimento del riposo compensativo, giudizio iniziato nel novembre 2000. La Corte d’appello, con decreto depositato il 30 maggio 2008, ritenuto che, rispetto ad una durata ragionevole di tre anni, il processo si fosse protratto per ulteriori 4 anni e 6 mesi circa, liquidava per il danno non patrimoniale Euro 4.050,00 oltre interessi e spese del procedimento.

Avverso tale decreto D.A. ha proposto ricorso a questa Corte con atto notificato al Ministero Economia e Finanze il 23 maggio 2009, formulando otto motivi. Resiste il Ministero con controricorso.
Motivi della decisione

1.- Con i motivi di ricorso è denunciata erronea e falsa applicazione di legge ( L. n. 89 del 2001, art. 2, art. 6 p. 1 CEDU) in relazione al rapporto tra norme nazionali e la CEDU, come interpretata dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo, nonchè omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, ed omessa decisione di domande ( art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5; art. 112 c.p.c.).

Secondo l’istante, una volta accertata la violazione del termine ragionevole, la liquidazione dell’equo indennizzo dovrebbe effettuarsi, applicando la normativa CEDU secondo la giurisprudenza della Corte europea e disapplicando la L. n. 89 del 2001, art. 2, che con essa contrasti, in relazione non già al tempo eccedente la ragionevole durata bensì all’intera durata del processo, ed in misura non inferiore a Euro 1000,00/1.500,00 per anno; nella specie peraltro il decreto non avrebbe motivato in ordine alla mancata osservanza di detti parametri. Inoltre, ratione materiae doveva essere liquidato un bonus di Euro 2.000,00, concernente la controversia su diritti inerenti a rapporti di lavoro, ed il giudice non si sarebbe pronunciato sulla relativa domanda così violando l’art. 112 c.p.c., e l’obbligo di motivazione su un punto decisivo.

2.- I motivi indicati, da esaminare congiuntamente perchè giuridicamente e logicamente connessi oltre che in parte ripetitivi, sono infondati.

2.1- Quanto al rapporto tra le norme nazionali (in particolare, la L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 3) e la CEDU, deve in primo luogo escludersi che l’eventuale contrasto tra tali normative possa essere risolto semplicemente con la "non applicazione" della norma interna.

Fermo il principio enunciato dalle S.U. (n. 1338 del 2004), in virtù del quale il giudice italiano, chiamato a dare applicazione alla L. n. 89 del 2001, deve interpretarla in modo conforme alla CEDU per come essa vive nella giurisprudenza della Corte europea, va precisato come tale dovere operi entro i limiti in cui detta interpretazione conforme sia resa possibile dal testo della stessa L. n. 89 del 2001:

qualora ciò non fosse possibile, ovvero il giudice dubitasse della compatibilità della norma interna con la disposizione convenzionale "interposta", dovrebbe investire la Corte Costituzionale della relativa questione di legittimità costituzionale rispetto al parametro dell’art. 117 Cost., comma 1 (cfr. Corte Cost. sentenze nn. 348 e n. 349 del 2007). D’altra parte, la compatibilità della normativa nazionale con gli impegni internazionali assunti dalla Repubblica Italiana con la ratifica della CEDU va verificata con riguardo alla complessiva attitudine della L. n. 89 del 2001, ad assicurare l’obiettivo di un serio ristoro per la lesione del diritto ad una ragionevole durata del processo: come la stessa Corte europea ha riconosciuto, la limitazione, prevista dalla L. n. 89 del 2001, art. 2, dell’equa riparazione al solo periodo di durata irragionevole del processo, di per sè non esclude tale complessiva attitudine della legge stessa (cfr. Cass. n. 16086/2009; n. 10415/2009; n. 3716/2008). Rettamente dunque la Corte di merito ha seguito la modalità di calcolo dell’indennizzo prevista dall’art. 2 citato, facendo peraltro espresso richiamo ai principii qui esposti.

2.2- Quanto alla liquidazione dell’indennizzo del danno non patrimoniale, va osservato che la Corte di merito, riconoscendo al ricorrente a tale titolo la somma di Euro 4.050,00 per quattro anni e sei mesi circa di durata irragionevole, non si è sostanzialmente discostato dal parametro base europeo di Euro 1.000,00 per anno, al quale ha fatto riferimento, precisando i criteri (mancata presentazione di istanza di prelievo, entità presumibilmente meno intensa dell’ordinario del patema d’animo per il protrarsi irragionevole della durata del procedimento) sui quali ha fondato la sua valutazione. Ha dunque, nel rispetto dello standard della CEDU ed esponendo congrua motivazione, validamente esercitato la sua discrezionalità nella determinazione dell’indennizzo, che nessun argomento del ricorso impone e consente di derogare in melius.

2.3- Quanto al negato riconoscimento di una somma forfetaria di Euro 2.000 (c.d. bonus) in relazione alla circostanza che il giudizio presupposto aveva ad oggetto una controversia di lavoro, deve respìngersi la tesi che tale somma ulteriore vada riconosciuta automaticamente in ogni caso di controversia di lavoro o previdenziale. La ragione di tale bonus, che la giurisprudenza europea riconosce laddove la particolare importanza di taluni giudizi induca a ritenere che il pregiudizio per la loro durata irragionevole sia stato maggiore, postula l’accertamento e la valutazione nel caso specifico delle particolari circostanze alle quali sia da ricondurre tale eventuale maggior pregiudizio. Si che, quando il giudice del merito -come nella specie- non attribuisce tale ulteriore indennizzo forfetario, e quindi non riconosce che quello specifico pregiudizio ulteriore sia stato sopportato dall’istante, la critica del punto della decisione non può essere affidata alla sola contraria postulazione che il bonus spetta ratione materiae, era stato richiesto e la decisione negativa non è stata motivata (motivazione che peraltro nella specie risulta esposta), ma deve avere specifico riguardo alle concrete allegazioni -e se del caso alle prove- addotte nel giudizio di merito. Ciò che non è dato riscontrare nel ricorso in esame.

3.- Il ricorso deve pertanto essere rigettato, con la condanna del ricorrente al pagamento in favore del resistente delle spese del giudizio di cassazione, che si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, in Euro 800,00 per onorari oltre le spese prenotate a debito.
Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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