Cass. pen., sez. II 14-10-2008 (01-10-2008), n. 38800 Contrasto con atto processuale – Contraddittorietà della motivazione – Oneri del ricorrente

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

MOTIVI DELLA DECISIONE
Con sentenza in data 7.10 2003 il Tribunale di Palermo in composizione monocratica assolveva G.R. e L.G. G. dai reati di cui agli artt. 110, 81 e 643 c.p. in danno di L.G.A. perchè il fatto non sussiste ai sensi dell’art. 530 cpv. c.p.p..
A seguito di appello degli imputati, del Procuratore generale della Repubblica e della parte civile costituita in primo grado L.G. M.C., la Corte di Appello di Palermo con sentenza del 24/6/2005 assolveva gli imputati perchè il fatto non sussiste, ai sensi dell’art. 530 c.p.p., comma 1.
Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione L.G.M. C., deducendo violazione di legge sotto vari profili.
Con il primo motivo, svolto ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. b) ed e) in relazione agli artt. 546 c.p.p., lett. e), art. 192 c.p.p., comma 2 e art. 643 c.p., la ricorrente lamenta che sia il giudice di primo grado che la Corte di appello hanno omesso una valutazione complessiva e coordinata delle risultanze processuali riguardanti lo stato di infermità psichica del defunto L.G.A., nel momento in cui fu indotto dagli imputati a compiere atti pregiudizievoli nei confronti della parte civile, ed in particolare, che la Corte di appello ha omesso di specificare le ragioni per le quali ha ritenuto le prove dell’insussistenza dello stato di infermità mentale o di menomazione psichica del defunto prevalenti su quelle di segno contrario esistenti agli atti; ha erroneamente riconosciuto maggiore attendibilità ai consulenti di parte della difesa degli imputati rispetto ai medici che avevano avuto per lungo tempo in cura il L.G., fornendo, in specie, un’inesatta interpretazione della deposizione del teste dott. A. (il quale aveva riferito che le condizioni mentali dell’anziano L.G. lo rendevano suscettibile di circonvenzione ad opera di persone di cui si fidava); ha, con scarsa plausibilità, individuato nella morte della moglie una causa di miglioramento delle condizioni mentali del congiunto, laddove il medico curante dott. R. aveva fornito una valutazione di segno del tutto opposto; ha dato rilievo alle dichiarazioni di molteplici soggetti (anche pubblici ufficiali) che erano venuti in contatto, sol per brevissimo tempo, con il L. G., trascurando i limiti "concettuali" di tali testimonianze segnalati dal giudice di primo grado; ha riconosciuto la buona fede degli imputati, laddove il giudice di primo grado aveva ritenuto che gli imputati avevano operato per orientare a loro favore le determinazioni dell’anziano congiunto. Con il secondo motivo, svolto ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. c), in relazione agli artt. 568, 591 e 593 c.p.p., il ricorrente lamenta che la Corte territoriale ha ritenuto sussistente un interesse all’impugnazione degli imputati, pur non essendo stati gli stessi assolti con la formula "per non aver commesso il fatto", sol in tal caso dovendosi accertare l’accadimento del fatto materiale oggetto dell’imputazione.
In data 12.9.2008 veniva depositata ulteriore memoria a sostegno delle censure svolte.
Il primo motivo è manifestamente infondato.
Deve, al riguardo, premettersi che il sindacato del giudice di legittimità sul discorso giustificativo della decisione impugnata è circoscritto alla verifica dell’assenza in quest’ultima di argomenti viziati da evidenti errori di applicazione della logica o fondati con dati contrastanti con il senso di realtà degli appartenenti alla collettività o connotati da vistose ed insormontabili incongruenze, oppure inconciliabili con "atti del processo" specificamente indicati e prodotti dal ricorrente, che siano dotati autonomamente di forza esplicativa o dimostrativa tale che la loro rappresentazione disarticoli l’intero ragionamento svolto, determinando al suo interno radicali incompatibilità così da vanificare o da rendere manifestamente incongrua la motivazione.
Conclusioni che restano ferme pur dopo la novella della L. n. 46 del 2000, che consente di denunciare i vizi di motivazione con riferimento ad "altri atti del processo", dal momento che alla Corte di cassazione restano precluse la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi o diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa, dovendosi essa limitare a controllare se la motivazione dei giudici di merito sia intrinsecamente razionale e capace di rappresentare e spiegare l’iter logico seguito, (cfr., ad es. Cass., sez. 1^, n. 42369/2006; Cass. sez. 6^, n. 35495/2006).
Il che vale quanto dire che, pur dopo la novella, non hanno rilevanza le censure che si limitano ad offrire una lettura alternativa delle risultanze probatorie, dal momento che il sindacato della Corte di cassazione si risolve pur sempre in un giudizio di legittimità, restando escluso che la verifica sulla correttezza e completezza della motivazione possa essere confusa con una nuova valutazione delle risultanze acquisite, non dovendo accertare la Corte se la decisione di merito proponga la migliore ricostruzione dei fatti, nè deve condividerne la giustificazione, ma piuttosto verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento, (v. ad es.
Cass., sez. 6^, n. 36546/2006; Cass. sez. 2^, n. 7380/2007; Cass. Sez. 4^, n. 4842/2003).
E tale giudizio di compatibilità deve ritenersi nel caso di specie sussistente, essendo la ricostruzione dei fatti operata dalla Corte territoriale del tutto coerente con le acquisizioni probatorie esistenti in atti, sicchè nessuna censura, e tanto meno nessuna diversa ricostruzione, può essere in questa sede di legittimità prospettata.
Ed invero i giudici di merito hanno correttamente posto in rilievo il dato obiettivo che gli elementi probatori acquisiti al giudizio hanno evidenziato l’assenza di infermità mentale o di deficienza psichica e, quindi, l’integra capacità di autodeterminarsi del L.G., in assenza di una incisiva menomazione delle facoltà di discernimento e di determinazione volitiva.
A tali conclusioni la Corte territoriale è pervenuta attraverso una puntuale analisi di tutto il materiale istruttorio, ivi comprese le dichiarazioni "dei medici che avevano avuto per lungo tempo in cura" l’anziano paziente, che hanno formato pur esse oggetto di compiuta valutazione critica.
A questo riguardo, la Corte ha dato atto che il dott. R. (il quale, negli ultimi tempi, ebbe a visitare il L.G. "quattro cinque volte l’anno": v. sentenza di primo grado), avendo riscontrato anomalie comportamentali nel paziente, si limitò a consigliare una visita specialistica, eseguita da dott. A. e che quest’ultimo (il quale ebbe ad eseguire "due brevi osservazioni nel 1996") rivelò sol un risalente delirio di gelosia nei confronti della moglie, osservando che, per il resto, il L.G. "era capace di rapportarsi con il prossimo normalmente", "conservava la capacità di avere una vita sociale praticamente normale" (così nella sentenza di primo grado).
Nè può ritenersi che la Corte ha fornito una interpretazione "inesatta" del testo processuale, non essendo state soddisfatte le condizioni dirette a far valere l’asserita incompatibilità fra il testo processuale e l’interpretazione fornita dal giudice di merito e la sua incidenza determinante sulla coerenza dei presupposti argomentativi e logici del decisum.
Dovendosi rammentare che, ove il ricorrente alleghi il vizio di contraddittorietà della motivazione, in conseguenza di un contrasto fra il provvedimento impugnato ed uno specifico atto processuale (art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e)), lo stesso deve adempiere ad un onere a carattere composito.
Il quale va concepito, in primo luogo, come onere di inequivoca individuazione e rappresentazione degli atti processuali che il ricorrente intende far valere e che deve essere assolto nelle forme più adeguate alla natura degli atti stessi. In secondo luogo, come onere di argomentazione e dimostrazione inteso ad individuare l’elemento fattuale o il dato probatorio che da tale atto emerge e che risulta incompatibile con la sentenza impugnata; a dare la prova della verità dell’elemento fattuale o del dato probatorio invocato ;
ad indicare le ragioni per cui l’atto inficia e compromette, in modo decisivo, la tenuta logica e l’intrinseca coerenza della motivazione, introducendo profili di radicale incompatibilità con l’impianto argomentativo del provvedimento impugnato (cfr. Cass. sez. 6^ n. 10951/2006; Cass. sez. 6^ n. 22257/2006; Cass. sez. 2^ n. 19584//2006).
Nel caso in esame la deposizione del teste A. è riportata solo per stralcio, e, quindi, in forme che devono ritenersi incompatibili con l’onere di specificazione dell’atto, che grava, in via del tutto preliminare, sul ricorrente che alleghi il vizio di contraddittorietà della motivazione, in conseguenza di un contrasto fra il provvedimento impugnato ed uno specifico atto processuale.
Onere informativo che – in quanto volto a dare in equivoca "individuazione" e "rappresentazione" agli atti processuali che il ricorrente intende far valere – non può ritenersi soddisfatto, con riferimento alle deposizioni testimoniali, se non attraverso la integrale produzione di copia (conforme all’originale) delle dichiarazioni stesse: non potendo garantire la trascrizione informale e parziale del testo una valutazione sistematica ed unitaria, oltre che certa, di quanto riferito.
Per il resto, si deve osservare che la Corte, lungi dall’individuare nella morte della moglie una causa di miglioramento delle condizioni mentali del congiunto (il quale, per come ha riferito anche la governante, "era peggiorato", ma senza perdere del tutto le capacità intellettive: v. sentenza di primo grado), ha solo osservato (con riferimento al rilievo del Tribunale, relativo alla mancata diagnosi, nella visita specialistica collegiale del (OMISSIS), del disturbo della gelosia paranoidea) che la visita venne eseguita ad oltre due mesi dal decesso, quando ormai era venuta meno la causa scatenante del disturbo, e che, comunque, deve constatarsi che anche il giudice di prime cure, pur non ritenendo tale esame dotato di "spiccata incisività", lo ha ritenuto "in linea con il restante quadro indiziario emerso nel corso dell’istruttoria", tale da "far ritenere non provato il plagio del L.G.".
Ed esente da censura resta, infine, anche la valutazione di attendibilità dei testi (molti dei quali pubblici ufficiali) che, negli ultimi mesi di vita, vennero in contatto col L.G. e ne costatarono, nonostante l’età avanzata, la capacità di autodeterminarsi.
Apparendo del tutto plausibile l’osservazione che, avendo avuto molti di questi testi rapporti solo occasionali e professionali con l’interessato, non avrebbero avuto ragione per rifiutarsi di compiere gli atti ad essi richiesti, ove si fossero effettivamente avveduti dell’incapacità del L.G., e non potendo, comunque, il "limite concettuale" evidenziato dalla difesa della ricorrente compromettere, in modo decisivo, la tenuta logica e l’intrinseca coerenza della motivazione nel suo complesso.
Sulla base di tali dati di valutazione e di prova, corretta, appare quindi la conclusione cui è pervenuta la Corte territoriale circa la carenza di elementi probatori idonei a dimostrare che il L.G., al momento dei fatti contestati, fosse affetto da infermità mentale o deficienza psichica, con conseguente inconfigurabilità del reato stesso, per carenza di un requisito costitutivo della previsione incriminatrice.
In conformità all’insegnamento costante di questa Corte, che individua nell’incapacità del soggetto passivo un presupposto del reato e richiede, pertanto, ai fini del giudizio di colpevolezza, che tale situazione risulti con assoluta certezza (cfr., ad es. Cass. sez. 2^, n. 41600/2005; Cass. sez. 2^, n. 2532/1998; Cass. sez. 2^, n. 7968/1991) e che, pur in caso di situazioni di infermità di minore portata o transitorie, esige la prova che il soggetto passivo, nel momento del singolo atto dispositivo, che si assume pregiudizievole, fosse circonvenibile (v. Cass. sez. 2^, n. 1404/2008).
Il che impone, per come correttamente ritenuto dalla Corte territoriale, che gli imputati vadano prosciolti con formula ampia e che resti irrilevante, al tempo stesso, ogni accertamento circa il carattere – pregiudizievole o meno – degli atti compiuti dal soggetto passivo e circa l’influenza che su tali atti abbiano esercitato altri soggetti.
Il secondo motivo è infondato.
A prescindere, infatti, da ogni considerazione circa l’interesse degli imputati ad impugnare la decisione di primo grado, che, comunque, conteneva una statuizione di proscioglimento, appare dirimente la considerazione che, in forza dell’impugnazione del Procuratore generale, la Corte di appello era stata investita della piena cognizione della materia processuale.
E’ da rammentare, infatti, che l’appello del PM contro la sentenza di assoluzione emessa all’esito del dibattimento, salva l’esigenza di contenere la pronuncia nei limiti dell’originaria contestazione, ha effetto pienamente devolutivo, attribuendo al giudice ad quem gli ampi poteri decisori previsti dall’art. 597 c.p.p.. Ne consegue che, da un lato, l’imputato è rimesso nella fase iniziale del giudizio e può riproporre, anche se respinte, tutte le istanze che attengono alla ricostruzione probatoria del fatto ed alla sua consistenza giuridica; dall’altro, il giudice dell’appello è legittimato a verificare tutte le risultanze processuali e a riconsiderare anche i punti della sentenza di primo grado che non abbiano formato oggetto di specifica critica, non essendo vincolato alle alternative decisorie prospettate nei motivi di appello e non potendo, comunque, sottrarsi all’onere di esprimere le proprie determinazioni in ordine ai rilievi dell’imputato (cfr. SU n. 33748/2005).
Il ricorso va, pertanto, rigettato con conseguente condanna alle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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