Cass. civ. Sez. II, Sent., 06-10-2011, n. 20488 Patto commissorio

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. – P.G. convenne in giudizio dinanzi al Tribunale di Cosenza P.S. e C.S. per sentire dichiarare la nullità del contratto di compravendita per notar Stancati del 25 novembre 1968, lamentando la violazione dell’art. 2744 cod. civ., per interposizione fittizia dell’acquirente e, conseguentemente, per sentire accertare la proprietà del fabbricato sito in (OMISSIS), in capo ad esso istante; in via subordinata, chiese che venisse dichiarata in suo favore la titolarità del diritto di proprietà sul predetto bene per acquisto fattone a titolo originario per usucapione ventennale.

Si costituì in giudizio P.S., il quale resistette alle pretese azionate e domandò, in via riconvenzionale, la condanna dell’attore alla restituzione e al rilascio del medesimo immobile, detenuto a titolo di comodato gratuito, oltre al risarcimento del danno.

L’adito Tribunale, con sentenza in data 9 luglio 2003, rigettò la domanda principale, mentre, in accoglimento di quella subordinata, dichiarò che P.G. era divenuto proprietario dell’appartamento in questione per intervenuta usucapione ventennale;

e respinse la domanda riconvenzionale.

2. – Con sentenza resa pubblica mediante deposito in cancelleria il 28 novembre 2007, la Corte d’appello ha accolto il gravame di P.S. e, in parziale riforma della decisione di primo grado, ha rigettato la domanda di usucapione proposta da P. G. e, in accoglimento della spiegata riconvenzionale, ha condannato P.G. alla restituzione, in favore di P. S., dell’appartamento de quo.

La Corte territoriale ha cosi argomentato: – "una volta ritenuto valido, con efficacia di giudicato (in mancanza di gravame sul punto), l’atto pubblico di compravendita stipulato tra C. S. e P.S., e quindi sostanzialmente non provata la dedotta interposizione fittizia di persona; una volta accertato, pertanto, che il contratto preliminare di compravendita che prevede l’assunzione dell’obbligo di P.G. di acquistare per sè o per persona da nominare, è stato concluso da P.G. di fatto in rappresentanza del fratello P.S., appare evidente che la consegna dell’immobile a P.G. deve considerarsi avvenuta in nome e per conto di P.S., concretizzando conseguentemente una situazione di detenzione dell’immobile, da parte del primo, meramente strumentale";

"è incontrastato tra le parti che dopo la stipulazione dell’atto definitivo di compravendita, pur essendosi, comunque, il possesso incontestabilmente trasferito in capo a P.S., P. G. ha continuato ad avere la materiale disponibilità dell’immobile, abitandolo unitamente alla propria famiglia";

" P.S. ha lasciato la disponibilità dell’immobile a P.G. a titolo di comodato gratuito";

"non è … impeditivo del riconoscimento della sussistenza di un comodato gratuito tra le parti, il fatto che tale contratto non sia stato stipulato per iscritto dal momento che, contrariamente all’assunto dell’appellato, per il comodato immobiliare non è prevista alcuna forma scritta";

– "nella specie, non risulta fornita alcuna prova in ordine alla sussistenza di atti idonei ad integrare una interversione del possesso, a dimostrazione dell’avvenuto mutamento dell’originario animns detinendi in animus possidendi. Anzi, risulta dagli atti che P.S. ha avuto sempre una chiave dell’immobile, nel quale ha alloggiato periodicamente". 3. – Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello P. G. ha proposto ricorso, con atto notificato il 29 ottobre 2008 e, a seguito di ordinanza interlocutoria di questa Corte con cui veniva disposta l’integrazione del contraddittorio, il 24 novembre 2010. Il ricorso è articolato su cinque motivi.

P.S. ha resistito con controricorso, mentre non hanno svolto attività difensiva in questa sede le eredi di C. S..

Entrambe le parti hanno depositato una memoria illustrativa.
Motivi della decisione

1. – Il Collegio ha deliberato l’adozione di una motivazione semplificata.

2. – Il primo motivo denuncia omessa ed insufficiente motivazione circa un atto controverso e decisivo per il giudizio ed in particolare falsa ed errata applicazione dell’art. 1362 cod. civ., in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., n. 5, sul rilievo che nella sentenza impugnata non vi sarebbe alcuna motivazione a sostegno della presunta rappresentanza di fatto di P.G. a nome di P. S..

Il secondo mezzo (errata e falsa applicazione dell’art. 1362 cod. civ. e degli artt. 1041, 1402, 1403 e 1404 cod. civ. ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 3) si conclude con i seguenti quesiti: "Può ritenersi che sia stato concluso un contratto per persona da nominare, ovvero sia stata rispettata la clausola per persona da nominare nonostante non vi sia stata la dichiarazione di nomina e non sia stata adempiuta nessuna delle formalità previste dagli artt. 1402, 1403 e 1404 cod. civ.?". "Si può ritenere che sia stato rispettato l’art. 1362 cod. civ., e quindi sia stata correttamente interpretata la reale intenzione delle parti, ritenendo che le parti volessero concludere un contratto per persona da nominare nonostante sia stato documentalmente provato che detta clausola era di stile in tutti i contratti stipulati dal costruttore dell’immobile?".

Con il terzo motivo si denuncia "falsa ed errata applicazione degli artt. 1140, 1141 e 1362 cod. civ. e dell’art. 115 cod. proc. civ. ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 3". Si chiede se: "può ritenersi conforme agli artt. 1140 e 1141 cod. civ. la decisione che dopo avere accertato che l’immobile è stato consegnato al ricorrente, ha ritenuto possessore l’acquirente formale, nonostante questi non avesse mai avuto l’apprensione materiale della cosa, ovvero il potere di fatto sulla stessa"; "è conforme all’art. 1141 cod. civ. ritenere che il soggetto che ha avuto la consegna della cosa sia semplice detentore e non possessore in mancanza di prova del diverso animus"; "è conforme all’art. 1362 cod. civ. interpretare il contratto di consegna dell’appartamento per cui è causa, con il quale il proprietario costruttore dell’intero fabbricato affida le chiavi e la responsabilità, la manutenzione ecc., come un contratto che trasferisce la detenzione e non il possesso". 2.1. – I primi tre motivi – i quali, stante la loro stretta connessione, possono essere esaminati congiuntamente – sono infondati.

La ratio decidendi della sentenza impugnata non sta tanto nella qualificazione di rappresentante di fatto di P.G. o nell’inquadramento del preliminare intercorso tra C.S. e P.G. nella categoria dei contratti per persona da nominare.

Essa risiede, piuttosto, nel fatto che – una volta stipulato il contratto preliminare e consegnato l’immobile al promissario, che si impegnava di acquistare per sè o per persona da nominare – il contratto definitivo di compravendita venne concluso tra il C. e P.S., al quale vennero (non fittiziamente) trasferiti la proprietà ed il possesso dell’immobile.

In questa prospettiva, esente da censure è la conclusione nel senso di individuare in capo a P.G. una situazione di detenzione dell’immobile, meramente strumentale.

In primo luogo – e ciò per il periodo relativo alla pendenza del preliminare, prima della stipulazione del definitivo – perchè la consegna dell’immobile al promissario è insuscettibile di radicare in capo al medesimo una situazione di possesso, utile ad usucapionem.

Difatti, nella promessa di vendita, quando viene convenuta la consegna del bene prima della stipula del contratto definitivo, non si verifica un’anticipazione degli effetti traslativi, in quanto la disponibilità conseguita dal promissario si fonda sull’esistenza di un contratto di comodato funzionalmente collegato al preliminare, produttivo di effetti meramente obbligatori; pertanto, la relazione con la cosa, da parte del promissario acquirente, è qualificabile esclusivamente come detenzione qualificata e non come possesso utile ad usucapionem, salvo la dimostrazione di un’ intervenuta interversio possessionis nei modi previsti dall’art. 1141 cod. civ. (Cass., Sez. Un., 27 marzo 2008, n. 7930; Cass., Sez. 1^, 1 marzo 2010, n. 4863).

In secondo luogo, perchè la Corte d’appello, esaminando le risultanze probatorie, documentali e testimoniali, ha accertato, con una valutazione congrua e logica ed esente da vizi giuridici, che una volta stipulato il definitivo e trasferito il possesso all’acquirente P.S. – il quale ha sempre avuto una chiave dell’immobile, alloggiandovi periodicamente -, il fratello G. è stato lasciato, con la sua famiglia, nella disponibilità del bene a titolo di comodato gratuito.

3. – Con il quarto mezzo (violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. e art. 1803 cod. civ. ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., nn. 3 e 5) si pone il quesito se "si può ritenere che non abbia violato gli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. la sentenza che ha ritenuto esistente un contratto tra le parti senza che vi sia stata prova di tale convenzione". 3.1. – Il motivo è privo di fondamento, perchè la Corte d’appello ha ritenuto raggiunta la prova del comodato in base alle prove testimoniali. E l’onere della forma scritta nei contratti, previsto dall’art. 1350 cod. civ., non riguarda il comodato immobiliare, anche se di durata ultranovennale, il quale può essere provato anche per testi e per presunzioni (Cass., Sez. 3^, 3 aprile 2008, n. 8548).

4 . – L’ultimo motivo è rubricato "insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 5". 4.1. – Il motivo è inammissibile, per mancanza del quesito di sintesi, prescritto, a pena di inammissibilità, dall’art. 366-bis cod. proc. civ., ratione temporis applicabile.

Questa Corte regolatrice – alla stregua della stessa letterale formulazione dell’art. 366-bis cod. proc. civ. introdotto, con decorrenza dal 2 marzo 2006, dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 6 e abrogato con decorrenza dal 4 luglio 2009 dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 47, ma applicabile ai ricorsi proposti avverso le sentenze pubblicate tra il 3 marzo 2006 e il 4 luglio 2009 (cfr. L. n. 69 del 2009, art. 58, comma 5) – è fermissima nel ritenere che a seguito della novella del 2006 nel caso previsto dall’art. 360 cod. proc. civ., n. 5, allorchè, cioè, il ricorrente denunci la sentenza impugnata lamentando un vizio della motivazione, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione.

Ciò importa in particolare che la relativa censura deve contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (cfr., ad esempio, Cass., sez. un., 1 ottobre 2007, n. 20603).

Al riguardo, ancora è incontroverso che non è sufficiente che tale fatto sia esposto nel corpo del motivo o che possa comprendersi dalla lettura di questo, atteso che è indispensabile che sia indicato in una parte, del motivo stesso, che si presenti a ciò specificamente e riassuntivamente destinata.

Non si può dubitare che allorchè nel ricorso per cassazione si lamenti un vizio di motivazione della sentenza impugnata in merito ad un fatto controverso, l’onere di indicare chiaramente tale fatto ovvero le ragioni per le quali la motivazione è insufficiente, imposto dall’art. 366-bis cod. proc. civ., deve essere adempiuto non già e non solo illustrando il relativo motivo di ricorso, ma formulando, all’inizio o al termine di esso, una indicazione riassuntiva e sintetica, che costituisca un quid pluris rispetto all’illustrazione del motivo, e che consenta al giudice di valutare immediatamente l’ammissibilità del ricorso (in termini, Cass., Sez. 3^, 30 dicembre 2009, n. 27680).

Nella specie il motivo di ricorso, formulato ex art. 360 cod. proc. civ., n. 5, è totalmente privo di tale momento di sintesi, iniziale o finale, costituente un quid pluris rispetto all’illustrazione del motivo.

5. – Il ricorso è rigettato.

Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese processuali sostenute dal controricorrente, che liquida in complessivi Euro 2.700,00 di cui Euro 2.500,00 per onorari, oltre a spese generali e ad accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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