Cons. Stato Sez. V, Sent., 08-06-2011, n. 3471 Rapporto di pubblico impiego

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La parte originaria ricorrente veniva assunta dal comune convenuto, con rapporto convenzionale, mediante contratto d’opera ex art. 2222, c.c., più volte rinnovato, per svolgere servizi di igienico sanitarie sociali per il funzionamento di un centro per anziani.

Il suddetto rapporto aveva assunto il carattere del pubblico impiego, stante la presenza dei classici elementi rivelatori del medesimo: rispetto di un prefissato orario di lavoro; adempimento degli ordini di servizio predisposti dalla p.a.; impiego di mezzi forniti da quest’ultima; corresponsione di uno stipendio fisso.

Su tali presupposti, la parte interessata proponeva ricorso giurisdizionale innanzi al T.a.r. Campania, per l’accertamento della sussistenza di un rapporto di pubblico impiego non di ruolo, chiedendo anche la declaratoria degli effetti dello svolgimento del citato servizio, ai fini del riconoscimento delle somme maturate ex art. 2126, c.c..

Con la sentenza conclusiva, il T.a.r. Campania, respingeva i ricorsi ritenendo non fornita la prova dell’espletamento del servizio e del vincolo di subordinazione.

L’appellante impugnava detta pronuncia ribadendo la richiesta di accertamento della sussistenza di un rapporto di pubblico impiego non di ruolo e chiedendo anche la declaratoria degli effetti dello svolgimento del citato servizio, ai fini del riconoscimento delle somme maturate ex art. 2126, c.c..

All’udienza pubblica del 24 maggio 2011 la causa veniva trattenuta in decisione.
Motivi della decisione

Osserva il Collegio che, ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 97, Cost., "…Agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediate concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge": affinché possa dirsi esistente (o possa chiedersi la declaratoria di sussistenza di un rapporto di pubblico impiego), l’interessato deve aver utilmente partecipato ad un pubblico concorso, oppure deve sussistere una specifica norma di legge in applicazione della quale la p.a. abbia provveduto all’assunzione, e non rileva, per costante giurisprudenza anche di questo Consiglio di Stato, lo svolgimento di mansioni di fatto anche in presenza dei c.d. elementi rivelatori (cfr. C.S., sez. V, dec. 9 ottobre 2007 n. 5262).

Nel caso di specie, la p.a. procedente non aveva seguito nessuna delle due vie tracciate dal richiamato art. 97, Cost..

Non vi era stato, infatti, un pubblico concorso, né era stato seguito alcun procedimento cristallizzato in una norma di legge derogatoria del sistema del pubblico concorso.

Neppure soccorreva l’art. 6, legge n. 56/1987 (modificato dall’art. 4, legge n. 160/1988), in quanto non risultava che la p.a. avesse utilizzato la procedura in tale normativa disciplinata e cioè lo scorrimento della graduatoria compilata dalla circoscrizione competente dell’Ufficio di collocamento.

Quanto alla statuizione alla domanda rivolta all’ottenimento, ex art. 2126, c.c., delle competenze maturate per lo svolgimento di fatto delle mansioni riconducibili al rapporto di pubblico impiego, l’appello risulta, invece, fondato e deve essere accolto, poiché il T.a.r. ha errato nel ritenere non provato il rapporto di subordinazione così come dedotto dall’appellante.

Dagli atti depositati nel fascicolo emerge, infatti, che:

– le mansioni svolte sono inquadrabili nei compiti propri delle mansioni del profilo professionale di inserviente addetto ai servizi ausiliari di assistenza;

– il vicolo di subordinazione non è stato episodico o intermittente, bensì continuativo, come dimostrano anche le retribuzioni mensilmente corrisposte;

la durata dei turni era pari a circa 12 ore; dunque, l’impegno lavorative e le relative energie poste alle dipendenze del datore di lavoro erano di carattere quotidiano ed esclusivo.

Come è noto, prima dell’entrata in vigore dell’art. 5 d.l. 30 novembre 1978, n. 702, conv., con modificazioni, dalla l. 8 gennaio 1979, n. 3, che irretisce con la nullità in senso tecnico l’instaurazione di rapporti d’impiego contra legem, si può ammettere la costituzione di quest’ultimo, a condizione che ne sussistano contemporaneamente tutti i c.d. indici rivelatori, ossia gli elementi sostanziali del lavoro subordinato pubblico, anche in assenza di un formale provvedimento di assunzione.

Tali indici sono riassumibili nell’inserimento sostanziale delle appellate nell’organizzazione del Comune attraverso la predeterminazione della retribuzione, la subordinazione gerarchica, la continuità ed esclusività delle prestazioni lavorative, il vincolo ad orari specifici di servizio, la concreta equiparazione al personale con qualifica corrispondente.

In tale contesto si è preso atto dell’indirizzo giurisprudenziale secondo cui un atto formale di nomina non è indispensabile per la costituzione di un rapporto di pubblico impiego e della ininfluenza dei singoli incarichi annuali conferiti sub specie di contratti di appalti di servizi (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 6 aprile 1998, n. 424).

Tali circostanze, pur neutre quanto alla costituzione del rapporto di lavoro, determinavano il diritto della parte interessata a vedersi corrispondere le differenze retributive e previdenziali per il periodo in cui avesse espletato le proprie mansioni per conto del comune convenuto.

Com’è, infatti, stato ribadito da questo Consiglio di Stato, "Il rapporto di lavoro avente le caratteristiche del pubblico impiego, costituito in contrasto con le norme imperative che disciplinano le assunzioni della pubblica amministrazione, è nullo ma rileva come rapporto di mero fatto, per il quale, ai fini retributivi e previdenziali, deve trovare applicazione l’art. 2126, c.c.; infatti, gli effetti derivanti dalla predetta norma civilistica sono connessi alle prestazioni lavorative di fatto, che sono tali proprio in quanto gli atti in base ai quali le prestazioni stesse sono state svolte sono affetti da nullità per contrasto con norme imperative" (cfr. C.S., sez. V, dec. 9 ottobre 2007 n. 5262).

Ed ancora, "Quando il rapporto di lavoro avente le caratteristiche del pubblico impiego sia sorto in violazione di norme imperative che ne sanzionavano la nullità di diritto e la improduttività di effetti a carico dell’amministrazione (nella specie, quelle di cui agli art. 18, l. n. 808 del 1977, ed art. 123, d.P.R. n. 382 del 1980), il rapporto stesso viene comunque a rilevare come rapporto di fatto per il quale trova applicazione ai fini retributivi e previdenziali l’art. 2126, c.c., salvo che la nullità derivi dalla illiceità dell’oggetto o della causa". (cfr. C.S., sez. VI, dec. 4 settembre 2007 n. 4620).

Per tali motivi, il Collegio in parte accoglie l’appello, in riforma dell’impugnata sentenza, dichiarando il diritto della parte interessata al riconoscimento delle differenze retributive e previdenziali, derivanti dal rapporto di lavoro instaurato in via di fatto, e condannando la p.a. appellata al pagamento delle relative somme, dalla data di maturazione del credito e fino all’effettivo soddisfo, con interessi legali e rivalutazione monetaria come per legge e nei limiti del divieto di cumulo, secondo i criteri stabiliti dall’Adunanza plenaria di questo Consiglio di Stato nella decisione n. 3/1998.

Sussistono giusti motivi per compensare le spese di lite.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta),

definitivamente pronunciando sull’appello come in epigrafe proposto, lo accoglie in parte e, in riforma dell’impugnata sentenza, condanna l’Amministrazione al pagamento in favore della ricorrente delle somme indicate in motivazione.

Compensa tra le parti le spese dei due gradi di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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