Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 15-02-2011) 06-06-2011, n. 22328 Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con sentenza in data 17.3.2009 il GUP presso il Tribunale di Palmi, all’esito di giudizio abbreviato, dichiarava M. R., A.G., A.M., B. L., G.M. ed E.A. colpevoli – tra altri separatamente giudicati – del reato loro contestato al capo A) delle imputazioni ( D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 – art. 81 cpv c.p.) per avere, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso illecitamente acquistato, detenuto, ceduto e posto in vendita sostanze stupefacenti prevalentemente di tipo eroina e cocaina. In (OMISSIS) e altrove fino a tutto il (OMISSIS); E. A., altresì, colpevole dei reato allo stesso ascritto al capo E ( L. n. 497 del 1974, artt. 110, 12 e 14 per avere illecitamente detenuto e portato in luogo pubblico una pistola semiautomatica di calibro non precisato; in (OMISSIS)) e M. R., altresì, dei reati contestati ai capi B e C ( L. n. 497 del 1974, artt. 10 e 14 e L. n. 110 del 1975, art. 23 per avere illecitamente detenuto un revolver marca Smith Wesson cal. 38 con matricola punzonata e 15 cartucce dello stesso calibro e artt. 12 e 14 per aver portato in luogo pubblico la suddetta pistola e le suddette munizioni che cedeva a R.M. perchè le utilizzasse per commettere l’omicidio di C.F. in (OMISSIS);

in (OMISSIS), in epoca anteriore e prossima al (OMISSIS)).

In conseguenza della ritenuta responsabilità A.G. e A.M. erano condannati alla pena di anni cinque di reclusione ed Euro 20.000,00 di multa ciascuno, B.L. alla pena di anni quattro ed un mese di reclusione ed Euro 18.000,00 di multa, E.A. alla pena di anni cinque ed Euro 20.00,00 di multa per il capo A ed ad un anno ed otto mesi di reclusione ed Euro 40O di multa per il capo E (previa unificazione dei delitti ivi contestati), G.M. alla pena di anni quattro e mesi quattro di reclusione ed Euro 18.000,00 di multa e M.R. alla pena di anni sei di reclusione ed Euro 22.000 di multa per il reato di cui al capo A ed anni tre di reclusione ed Euro 1.200 di multa per i reati di cui ai capi B e C previa unificazione in continuazione.

2. Avverso la predetta sentenza proponevano appello tutti gli imputati e la Corte di appello confermava la sentenza di primo grado, salvo fissare la data di cessazione della continuazione del reato di cui al capo A al 9.3.2006. 3. Hanno presentato ricorso per cassazione tutti gli imputati, deducendo i motivi di seguito indicati.

M.R.: 1) mancanza di motivazione per il reato di cui al capo A, essendo stata la responsabilità fondata solo sul contenuto di conversazioni telefoniche a cui i giudici hanno attribuito un significato allusivo ogni qualvolta lo stesso appariva non chiaramente decifrabile ovvero quando i conversanti si davano appuntamento, magari solo per un aperitivo od un caffè, con dialoghi assolutamente usuali e giustificabili sulla base delle condizioni di vita e di lavoro dei conversanti; mancanza di riscontri oggettivi;

violazione dell’art. 192 c.p.p.; 2) difetto di motivazione in ordine ai reati di cui ai capi B e C, relativi alla detenzione e porto di un revolver Smith e Wesson cal. 38 e di 15 cartucce; la ritenuta responsabilità è basata solo su sospetti con violazione delle regole poste dall’art. 192; l’assunto che il (OMISSIS) fosse R.M. persona che si trovava accanto a M., durante la intercettazione a cornetta sollevata, è solo un sospetto;

l’interpetazione della frase rivolta da M. a R. il (OMISSIS) (stare attento ..per le macchine là) non possiede significato preciso ed univoco; non vi è motivazione sulle ragioni che avrebbero indotto il M. a pianificare l’omicidio di C.F.; 3) si era sostenuto che la cessione di stupefacenti si era interrotta il (OMISSIS), con l’arresto del figlio C. accusato del tentato omicidio di C. D.; la Corte ha invece ritenuto interrotta la condotta il (OMISSIS), data in cui è cessata l’attività di intercettazione posta a fondamento della contestazione di cui al capo A. E.A., per il tramite dell’avv.to Belcastro Marcella deduce: 1) violazione di legge e difetto di motivazione; sostiene che la motivazione è viziata perchè meramente apparente ed inesistente perchè dissociata dalle risultanze processuali, fondata su argomentazioni congetturali, asserzioni apodittiche e proposizioni prive di efficacia dimostrativa laddove, sia pure con un percorso motivazionale dalla stessa Corte di appello definito "non del tutto sovrapponibile a quello del giudice di primo grado", attribuisce all’ E. un ruolo di intermediatore e non di semplice co- assuntore, in gruppo, dello stupefacente secondo i principi fissati da Sez. Un. 28.5.97 n. 4; secondo il ricorrente, il discrimine tra condotta lecita e illecita va individuato nella finalità della condotta nel senso che "l’omogeneità teleologica del procacciatore per conto del gruppo caratterizza la condotta quale codenzione con gli altri appartenenti al gruppo"; 2) violazione di legge e difetto di motivazione per il reato di detenzione e porto di armi di cui al capo E;

3) 4) violazione di legge e difetto di motivazione in relazione al diniego delle circostanze attenuanti generiche e della continuazione.

Sempre nell’interesse di E., l’avv.to Santambrogio Mario formula i seguenti motivi: 1) violazione di legge e difetto di motivazione in relazione all’art. 192 c.p.p. e D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73. La Corte di appello, per superare i rilievi formulati dalla difesa con specifico riferimento al tenore delle conversazioni intercettate, rilievi volti a rappresentare che si trattava di conversazioni tra tre soggetti tossicodipendenti ( E., S., Co.) che si frequentavano assiduamente per amicizia e per la comune necessità di reperire lo stupefacente a ciascuno di loro necessario per consumarlo insieme ha utilizzato conversazioni diverse da quelle utilizzate in primo grado, ma si tratta di dialoghi già esistenti in atti e richiamati nella ordinanza di custodia cautelare che il giudice di primo grado aveva scartato per la loro irrilevanza probatoria; sarebbe stato erroneamente interpretato il tenore della intercettazione del 20.1.2006 e valorizzata la circostanza della mancanza di attività lavorativa, senza tenere conto che E. lavorava in nero; 2) mancanza di prova del reato di porto e detenzione arma, per erronea interpretazione della conversazione del 6 luglio 2005 nel corso della quale E., richiesto da M. "se la sua fosse cromata" afferma che aveva solo il carrello e i caricatori cromati e che il suo costo ammontava a Euro 11000,00; 3) 4) violazione di legge e difetto di motivazione in relazione al mancato riconoscimento della continuazione e all’applicazione dell’art. 133 c.p..

B.L. deduce i vizi di violazione di legge e difetto di motivazione in ordine ai criteri di valutazione della prova per la fattispecie ex D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 e la conferma del giudizio di colpevolezza. La ricorrente sostiene che non sono stati rispettati i criteri posti dalla giurisprudenza di questa Corte in materia di reato pluri-soggettivo e di valutazione del concorso di persone e del momento di consumazione del reato e di differenza con l’ipotesi della connivenza, non punibile, specie da parte del coniuge o convivente; nel procedimento non vi sarebbe prova della partecipazione della B. alla ideazione del crimine e al successivo presunto commercio della sostanza stupefacente per il quale i fratelli ( D. e B.A.) e il convivente ( P.C.) sono stati condannati; appare plausibile ritenere "che, al più, possa essere entrata in possesso della sostanza stupefacente in modo estemporaneo, consentendo ad una domanda di collaborazione non programmata e senza alcun interesse alla detenzione, nè per proprio nè per altrui conto"; manca dunque il contributo concreto alla realizzazione del reato e dovrebbe trovare applicazione la giurisprudenza secondo cui deve essere escluso il concorso in caso di semplice comportamento negativo di chi assiste passivamente alla perpetrazione del reato e non ne impedisce l’esecuzione, dato che non sussiste al riguardo un obbligo giuridico di impedire l’evento.

G.M. censura la sentenza per: 1) violazione di legge e difetto di motivazione, in relazione ai criteri di valutazione della prova del ritenuto concorso nel reato. La Corte di appello lo ha sostanzialmente ritenuto responsabile perchè egli avrebbe accettato di offrire ai presunti spacciatori, dietro lo schermo e sotto la parvenza di un attività commerciale lecita, la disponibilità del proprio locale quale centro in cui avveniva lo smercio della droga; ma anche ammesso che egli fosse a conoscenza della presunta compra-vendita di sostanze stupefacenti, ciò non lo renderebbe partecipe del reato che sostiene essere stato commesso esclusivamente da altre persone, ovvero da determinati clienti del bar, non avendo avuto la circostanza che lo spaccio avveniva nel bar nessuna influenza; la compra-vendita si sarebbe concretizzata ugualmente indipendentemente dall’asserito concorso morale del ricorrente; egli avrebbe al più potuto essere ritenuto connivente, cioè consapevole, forse anche interiormente adesivo e aderente allo spaccio, al quale però non portava alcun contributo utile, nemmeno di rafforzamento dell’altrui intenzione, e dunque assolutamente non concorrente nel reato stesso; non vi è nessuna prova, in assenza di sequestri di droga ivi effettuati, che il locale in uso al ricorrente fosse utilizzato per la custodia, il taglio o il confezionamento detenzione dello stupefacente, mentre le intercettazioni nel loro complesso non danno un quadro univoco per acclarare la sicura compartecipazione del deducente alla fattispecie di reato ascritta;

2) violazione di legge e difetto di motivazione, in relazione alla mancata concessione delle attenuanti generiche.

A.G. e A.M., con un comune ricorso, contestano la ritenuta responsabilità rilevando che vi è stato un inaccettabile automatismo nell’interpretare tutte le conversazioni che essi hanno avuto con Pi.Sa., soggetto noto nel mondo del narcotraffico ed imputato per fatti di droga in altri procedimenti penali, sotto un unico denominatore relativo alla cessione/acquisto di sostanza stupefacente. Si tratta delle cessioni avvenute in data 20.8.2005 e 22.8.2005 nei confronti di N. F., per il tramite di Pi.Sa., addebitate la prima al solo M. e la seconda ad entrambi i fratelli; della ipotizzata attività di spaccio autonomamente posta in essere dai germani A. nei confronti dei presunti acquirenti indicati, in sentenza, con i nomi di Sp.An., Ge.Da., Cu.Na., Pa.Sa., I.M., Pa.Br.; della contestazione mossa al solo M. per l’arco temporale tra il (OMISSIS), inerente alla presunta cessione di cocaina a tale Co.Fr.; della contestazione mossa al solo A.G. per cessione avvenuta il 19.8.2005 per il tramite di Pi.Sa. nei confronti di N.F.. In particolare A.M. contesta la ritenuta responsabilità nella cessione del 20 agosto sostenendo la mancanza di solidi elementi probatori, non potendo con certezza ricavarsi dal susseguirsi delle telefonate e dal contenuto delle intercettazioni telefoniche la certezza della avvenuta fornitura a Pi. e specialmente che essa sia stata fatta proprio da lui e non dal fratello; il dato temporale smentirebbe anche la ricostruzione effettuata dalla Corte per l’episodio del (OMISSIS) atteso che quando Pi. parla dell’arrivo del "fratello" (da intendersi secondo la Corte per A.M.) M. non era ancora arrivato; sostiene la genericità e liceità dei dialoghi da cui si desume la cessione a Co..

A.G. contesta la ritenuta responsabilità per l’episodio del (OMISSIS), sostenendo che i soldi di cui si parla, ritenuti il provento dello spaccio, erano invece relativi alle vicende collegate ed un incidente nel quale A. e Pi. erano rimasti coinvolti; sottolinea che egli non compare mai nelle intercettazioni relative all’episodio del (OMISSIS).

Quanto alla autonoma attività di spaccio posta in essere dai due fratelli, si mette in evidenza che la presunta cessione a Sp. non è provata, non essendo sufficiente il fatto che Sp., poi trovato in possesso di una dose di cocaina, si fosse incontrato con G. perchè questo incontro era avvenuto) mezz’ora prima e non immediatamente prima; doveva dunque darsi credito a Sp. quando diceva di averla acquistata da un extracomunitario; con riferimento all’episodio di Ge., è solo ipotetico ritenere che avesse ingerito la droga cedutagli da A.M..

Con un secondo motivo la sentenza viene censurata per mancanza di motivazione sulle circostanze indicate dall’art. 133 c.p. e per mancata concessione delle attenuanti generiche.
Motivi della decisione

I ricorsi non meritano accoglimento, risultando corretta, puntuale e diffusa l’affermazione di responsabilità degli imputati.

Per ciascuno di essi infatti la Corte di appello ha riportato integralmente il quadro indiziario di riferimento ed il contenuto delle conversazioni telefoniche rilevanti, procedendo poi, sempre per ogni posizione e con riguardo a quelli che erano stati i motivi di appello, ad un esame approfondito di tale risultanze di modo che la responsabilità di ciascuno degli imputati risulta puntualmente motivata su ogni addebito.

In particolare per quanto riguarda M.R. la sentenza mette in luce l’intenso traffico telefonico tra il medesimo e tale R. intento quest’ultimo a rendicontare giornalmente al primo l’andamento delle vendite di stupefacenti e le precauzioni usate per controllare il locale dove era custodito lo stupefacente; riferisce che l’attività di intercettazione ha consentito di acclarare l’esistenza di un apposito numero telefonico, utilizzato indifferentemente dall’attuale ricorrente, dal di lui fratello e dal R. per gestire l’attività di spaccio degli stupefacenti rendendosi i tre disponibili alternativamente durante la giornata, secondo un turno prestabilito, allo scopo di essere sempre reperibili e interscambiabili; riferisce della posizione apicale di M. R. rispetto al figlio C. e al R. e la assoluta linearità dei dialoghi intercettati se solo si sostituisce il riferimento a "macchine, broccoli, detersivo, motore e pacchi" con quello alla sostanza stupefacente.

Anche l’accusa di detenzione e porto di un revolver Smith Wesson con matricola abrasa e di 15 cartucce è debitamente dimostrata; la Corte di appello infatti inquadra l’episodio nel forte risentimento, documentato dai dialoghi intercettati, che M.R. ha nei confronti di C.F., risalente a precedenti episodi di aspra rivalità tra i rispettivi nuclei familiari e a fatti di sangue, con necessità di organizzare, anche a opportuna distanza di tempo, la vendetta; su tale base la Corte ritiene dimostrato che sia stato M.R., persona che disponeva di armi e munizioni, a fornire a R. l’arma e le munizioni per il programmato omicidio di C.F., ricavando prova di ciò dal dialogo del 18.1.2006, captato in ambientale a cornetta sollevata, nel quale il M. si rivolge a R., dicendogli che gli avrebbe dato "altre cinque di quelle cose" (cioè i proiettili poi ritrovati custoditi a parte in possesso di R., insieme alla pistola e agli altri 10 proiettili) e dalla intercettazione del 20 successivo nel corso della quale M. raccomanda a R. di stare attento "per le macchine là" con ciò intendendosi le armi.

Corretta è anche la valutazione relativa alla ritenuta data di cessazione della attività criminosa, avendo la sentenza impugnata rilevato che l’attività di intercettazione posta a fondamento delle contestazioni si ferma alla data del 9.3.2006, che successivamente non sono ascrivibili condotte penalmente rilevanti, e che tale periodo coincide con quello cui si riferiscono le condotte accertate dai giudici di merito. Del tutto generico è il motivo con il quale viene contestata tale valutazione.

Quanto alla posizione della B., occorre premettere che è pacifico il principio, ripetutamente espresso da questa Corte, secondo cui la distinzione tra l’ipotesi della connivenza non punibile ed il concorso nel delitto va ravvisata nel fatto che mentre la prima postula che l’agente mantenga un comportamento meramente passivo, nel concorso è invece richiesto un contributo positivo che può manifestarsi anche in forme che agevolino semplicemente la detenzione, l’occultamento ed il controllo della droga, assicurando all’altro concorrente una certa sicurezza o comunque garantendogli, anche implicitamente, una collaborazione sulla quale questi può contare, ma che comunque dimostrano l’adesione e partecipazione al programma comune. Di tali concetti ha fatto corretta applicazione la sentenza impugnata. La B. non è stata condannata soltanto per essere moglie del P. e sorella di altri soggetti inseriti nel traffico di droga ma per il contributo positivo da lei fornito alle trattative illecite, puntualmente confermato dal tenore delle conversazioni intercettate che la Corte ha interpretato anche alla luce del linguaggio criptico utilizzato tra altri indagati e sicuramente riferibile a stupefacente, come confermato dagli operati sequestri di droga; e che di contributo non certamente non irrilevante si trattasse è stato confermato dal fatto che i fratelli, nel parlare tra di loro di un debito del P. nei loro confronti, si riferivano alla sorella come "la mastra"; nonchè dal fatto che la donna partecipava con il marito al controllo della contabilità. Correttamente dunque è stata esclusa la semplice connivenza atteso il ruolo attivo svolto nelle attività collegate al commercio della cocaina. Con riferimento al ricorso di Giuseppe e A.M., la sentenza descrive il "modus operandi" frequentemente usato dai due fratelli, in stretto collegamento con Pi.Sa. che riceve richieste di rifornimento di droga dai suoi abituali clienti di droga e quando non può soddisfarle si rivolge ai fratelli A.; tali modalità operative non sono frutto di automatismo intepretativo da parte della Corte, come censurato con il ricorso, ma emergono con tutta evidenza dai dialoghi intercettati che la Corte espone dettagliatamente in relazione a tutti gli episodi presi in esame, dai quali risulta come il Pi., richiesto di una fornitura di eroina o cocaina della quale non ha diretta disponibilità, contatti alternativamente i due fratelli ed una volta ottenuta la merce, la consegni all’acquirente dividendo poi il ricavato con i predetti. Assolutamente puntuale è la sentenza impugnata nello spiegare il contenuto dei dialoghi e nel ricostruire logicamente le fasi di ogni singola trattativa e intermediazione, fornendo risposta alle censure svolte con l’appello;

censure che in questa sede sono ancora riprodotte secondo uno schema dubitativo che propone una versione alternativa a quella fornita dai giudici di primo e secondo grado, rendendo di conseguenza inammissibile, sotto tale profilo, il ricorso stesso; non è infatti compito del giudice dare conto di tutte le interpretazioni possibili delle risultanze processuali ma solo quello di fornire una logica giustificazione della interpretazione data, come nella specie, la sentenza ha certamente fatto.

Opportunamente motivato è stato il diniego delle circostanze attenuanti generiche, sostenuto dalla sistematicità della condotta;

ed altrettanto motivato il giudizio sulla congruità della pena che la Corte ha rilevato essere stata fissata per il reato in misura assai vicina al minimo edittale e con un aumento per la continuazione molto contenuto pur in presenza di una pluralità di episodi di spaccio.

I ricorsi proposti nell’interesse di E.A. possono essere esaminati congiuntamente dal momento che essi svolgono motivi del tutto sovrapponibili ed infondati. In merito alla sussistenza del contestato reato , la sentenza qui impugnata ha messo in luce il ruolo dell’ E. non solo di assuntore di stupefacenti con altri soggetti, ruolo pacificamente emerso ma che con i ricorsi si cerca di privilegiare fino a farlo diventare esclusivo ed assorbente di ogni attività dal medesimo svolta, ma anche quello di fornitore o meglio di "intermediario" nell’approvvigionamento di eroina e cocaina di numerosi soggetti ( Co., Cr., Ma., S.) ai quali egli procura la droga rifornendosi a sua volta da B..

Non giova ai ricorrenti sostenere che si tratterebbe di materiale già esistente in atti di scarso valore probatorio, dal momento che sono puntualmente riportate in sentenza le intercettazioni, ed è ricostruito in maniera assolutamente convincente il tenore delle numerose conversazioni, peraltro assolutamente chiaro, nella quali si svolgono le trattative e le forniture.

Anche per la detenzione dell’arma la motivazione fornita dalla Corte di appello non merita censura avendo opportunamente osservato che le dichiarazioni rese dall’ E. sulle caratteristiche dell’arma in suo possesso erano pienamente credibili per essere le stesse state formulate dal medesimo con piena sincerità, credendo di non essere intercettato (trattandosi di conversazione captata a cornetta sollevata) e non determinata da semplice millanteria atteso che l’interlocutore già era a conoscenza del possesso dell’arma di cui chiede di conoscere maggiori dettagli; nè può contestarsi il prezzo vantato, avendo aggiunto la Corte del tutto condivisibilmente rilevato che ove si fosse trattato di arma antica o da collezione, E. avrebbe potuto dimostrarlo consegnando l’arma stessa agli inquirenti.

Corrette in quanto debitamente motivate, sono le valutazioni circa la mancanza dei presupposti per riconoscere il vincolo della continuazione, per la eterogeneità dei comportamenti e l’assenza di prova circa una comune programmazione degli stessi; e quelle circa la mancanza dei presupposti per riconoscere le circostanze attenuanti generiche in ragione della gravità dei precedenti anche specifici e della natura dei comportamenti posti in essere. Anche G. M. censura l’affermazione di responsabilità assumendo che è stata erroneamente valutato l’apporto da lui portato alle illecite attività di commercio di stupefacenti che si svolgevano nel bar "(OMISSIS)" dal medesimo gestito, perchè egli si sarebbe limitato ad assistere a quanto avveniva nel locale, non opponendosi, ma senza fornire alcun aiuto. Questa ricostruzione è smentita dalla sentenza impugnata che ha indicato il locale del G. come vera e propria centrale dello spaccio attività alla quale collaborava attivamente il G. contattando i fornitori (i fratelli B., il R. o il M.) sul c.d. "numero delle spaccio" ogni volta che si presentava al bar un acquirente. Le numerosissime telefonate che confermano la ricostruzione di tale apporto non lasciano dubbi di sorta sul suo pieno coinvolgimento nel reato e giustificano la negazione delle attenuati generiche che la Corte ha motivato con riferimento appunto alla accertata continuità della attività delittuosa.

Conclusivamente, tutti i ricorso devono essere rigettati e i ricorrenti vanno condannati al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

La Corte:

– rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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