Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 15-02-2011) 06-06-2011, n. 22313 Sequestro

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Il N.A.S. di Bari, in data 20.5.2010, sottoponeva a sequestro probatorio kg. 90.000 di prodotti sfarinati vari (farine, semole e semolati), rinvenuti nel magazzino "prodotti finiti" della s.p.a.

"Semolificio A. Moramarco" sito in (OMISSIS), rilevando che:

– su una parte delle relative confezioni era stata omessa la indicazione della reale sede dello stabilimento di produzione/confezionamento, coincidente appunto con quello sito in (OMISSIS);

– su altra parte delle confezioni medesime era stata apposta la dicitura "prodotto confezionato nello stabilimento: via (OMISSIS)", non veritiera in quanto gli sfarinati erano stati confezionati nello stabilimento di (OMISSIS);

– su altra parte ancora era stata apposta la dicitura "prodotto confezionato nello stabilimento: (OMISSIS)", non veritiera in quanto gli sfarinati erano stati confezionati nello stabilimento di (OMISSIS), ma non prodotti dal "(OMISSIS)".

Il P.M presso il Tribunale di Trani instaurava, quindi, procedimento penale – nei confronti di B.D., C.D. A., C.D., C.C. e R. G. – in relazione: a) sia al reato di cui agli artt. 110, 81, 56 e 515 cod. pen., per avere concorso nella detenzione per il commercio di prodotti sfarinati vari che, per origine e provenienza, erano diversi dalle indicazioni riportate sulle etichette delle relative confezioni ed erano perciò idonei a frodare gli acquirenti;

b) sia all’illecito amministrativo di cui al D.Lgs. n. 109 del 1992, artt. 17 e 18.

Avendo lo stesso P.M. rigettato una richiesta di dissequestro dei prodotti, veniva proposta opposizione ex art. 263 c.p.p., comma 5, che il G.I.P. del Tribunale di Trani accoglieva con ordinanza del 23.7.2010, disponendo la restituzione all’avente diritto di quanto sequestrato.

Il G.I.P. rilevava che:

– Il D.Lgs. n. 109 del 1992, art. 3, comma 1, lett. f), impone l’indicazione sui prodotti in oggetto della "sede dello stabilimento di produzione o di confezionamento" soltanto quando si tratta di "prodotti alimentari preconfezionati destinati al consumatore" e non, invece, quando tali prodotti siano "destinati all’industria, agli utilizzatoli commerciali intermedi ed agli artigiani per i loro usi professionali ovvero per essere sottoposti ad ulteriori lavorazioni" (ipotesi diversa prevista dallo stesso D.Lgs. n. 109 del 1992, art. 17). Nella vicenda in esame sussisteva la prova che i prodotti sottoposti a sequestro non erano destinati ai consumatori (nè a ristoranti, ospedali, mense ed altre collettività analoghe).

– Le indicazioni in oggetto, inoltre, devono figurare sulle confezioni o sulle etichette dei prodotti alimentari "nel momento in cui questi sono posti in vendita al consumatore" ( D.Lgs. n. 109 del 1992, art. 3, comma 3).

– Nella specie, dunque, potrebbe al più configurarsi il solo illecito amministrativo di cui al D.Lgs. n. 109 del 1992, art. 18.

Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Trani, il quale ha eccepito che gli sfarinati già in sequestro erano "pronti per la commercializzazione" e la maggior parte di essi non si caratterizzava per la mancata indicazione dello stabilimento di produzione o di confezionamento (integrante illecito amministrativo in caso di destinazione al consumatore), ma recava in etichetta una provenienza falsa, perchè diversa da quella indicata, e che, in tal modo, sarebbe stata promessa al momento della loro consegna anche soltanto agli altri operatori del settore molitorio e/o cerealicolo: fatto, questo, configurante il reato di cui agli artt. 56 e 515 cod. pen., essendo la norma penale finalizzata alla tutela sia dei consumatori finali sia degli stessi commercianti.

I prodotti, dunque, come falsamente confezionati, non potevano essere restituiti, perchè da confiscarsi ai sensi dell’art. 240 c.p., comma 2, n. 2.

Il difensore degli indagati B., C.D.A. e C. ha depositato memoria, in data 7.2.2011, intesa a contrastare le argomentazioni svolte dal P.M. ricorrente. In tale atto difensivo si sottolinea, in particolare, che il D.Lgs. n. 109 del 1992, art. 18 aveva, in origine, la seguente formulazione: "salvo che il fatto costituisca reato, chiunque confezioni, detenga per vendere o venda prodotti alimentari non conformi alle norme del presente decreto, è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da …".

Il D.Lgs. 23 giugno 2003, n. 181, art. 16 ha modificato, però, la disposizione anzidetta, eliminando la clausola di riserva iniziale, sicchè deve ritenersi che attualmente alla violazione di taluna delle prescrizioni dettate dal D.Lgs. n. 109 del 1992, artt. 3 e 17 consegue esclusivamente l’applicazione delle sanzioni amministrative di cui al successivo art. 18, medesimo D.Lgs..

Il ricorso del P.M. è fondato e merita accoglimento in relazione agli sfarinati caratterizzati dalla indicazione di una provenienza falsa in quanto non corrispondente a quella effettiva.

Il D.Lgs. n. 109 del 1992, art. 3 prescrive che i prodotti alimentari preconfezionati "destinati al consumatore" devono riportare l’indicazione della sede dello stabilimento di produzione o di confezionamento (comma 1, lett. f) e che tale indicazione deve figurare sulle confezioni o sulle etichette dei prodotti alimentari "nel momento in cui questi sono posti in vendita al consumatore" (comma 3).

Ai sensi dello stesso D.Lgs. n. 109 del 1992, art. 17, l’indicazione della sede dello stabilimento di produzione o di confezionamento non è necessaria, invece, per "i prodotti alimentari destinati all’industria, agli utilizzatoli commerciali intermedi ed agli artigiani per i loro usi professionali ovvero per essere sottoposti ad ulteriori lavorazioni".

Le violazioni alle disposizioni degli anzidetto artt. 3 e 17 sono effettivamente punite con sanzioni amministrative pecuniarie dal D.Lgs. n. 109 del 1992, successivo art. 18, come modificato dal D.Lgs. n. 181 del 2003 e dal D.Lgs. n. 99 del 2004.

L’illecito amministrativo risulta, del resto, già contestato nell’imputazione formulata dal P.M..

La questione di diritto posta dal ricorso in esame riguarda, però, il diverso quesito della possibilità di ritenere integrato il delitto di tentativo di frode in commercio ( artt. 56 e 515 cod. pen.) nel caso dì detenzione, presso il "magazzino prodotti finiti" dell’impresa di produzione, di prodotti alimentari con false indicazioni di provenienza destinati non al consumatore finale, bensì ad utilizzatoli commerciali intermedi: quesito che deve essere risolto alla stregua dei principi, già enunciati da questa Corte, secondo i quali:

– la fattispecie di cui all’art. 515 cod. pen. è posta a tutela sia dei consumatori sia degli stessi commercianti (vedi Cass., sez. 3, 8.9.2004, n. 36056);

– nella nozione di dichiarazione, alla quale si riferisce l’art. 515 cod. pen., rientrano anche le indicazioni circa l’origine e la provenienza della mercè, essendo esse idonee a trarre in inganno l’acquirente che riceve l’aliud pro alio (vedi Cass., sez. 3, 4.7.2008, n. 27105).

Deve ritenersi, a giudizio del Collegio, che le disposizioni del D.Lgs. n. 109 del 1992, anche dopo le modifiche introdotte dal D.Lgs. n. 181 del 2003, si pongono in una relazione di concorso reale con il delitto di cui all’art. 515 c.p., per la diversa obiettività giuridica e per il diverso interesse protetto: garanzia della qualità dei prodotti venduti, nel primo caso; tutela della correttezza e lealtà commerciale, nel secondo.

Sul punto questa Corte ha già affermato che tra la previsione di cui al D.Lgs. n. 109 del 1992, art. 2 (per la quale pure è comminata soltanto sanzione amministrativa pecuniaria dal successivo art. 18) e quella di cui all’art. 515 c.p. non sussiste alcun rapporto di specialità, stante il diverso ambito di operatività delle due disposizioni (vedi Cass. sez. 3^: 15.1.2008, n. 2019 e 20.4.2001, n. 16062).

Nella vicenda in esame il Tribunale non ha valutato la possibilità di configurare, allo stato delle indagini, il "fumus" del compimento di atti che possano considerarsi diretti in modo non equivoco ad un esercizio sleale del commercio, in quanto prodromici alla immissione nel ciclo distributivo di prodotti che presentano caratteristiche diverse da quelle indicate.

Sul punto, conseguentemente, ed alla stregua dei principi di diritto dianzi enunciati, l’ordinanza impugnata deve essere annullata con rinvio, per nuovo esame, al Tribunale di Trani.
P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Trani.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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