Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 15-02-2011) 06-06-2011, n. 22312 Costruzioni abusive Reati edilizi Zone sismiche

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

a ricorrente nella persona dell’Avv. LAPENNA Giuseppe.
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Il Tribunale di Roma – Sezione per il Riesame – con ordinanza del 14 gennaio 2010 confermava nei confronti di M.P. – indagata per i reati di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. c); artt. 64, 65, 71, 72, 83, 93 e 95; D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181 e artt. 55 e 1161 c.n., il decreto di sequestro preventivo di opere abusive (ampliamento di un balcone aggettante con installazione di strutture in ferro) realizzate nel Comune di Ardea, località" Tor San Lorenzo" ed insistenti in zona sottoposta a vincolo paesaggistico ed in prossimità del demanio marittimo.

In risposta alle doglianze difensive il Tribunale aveva disatteso la tesi difensiva secondo la quale non sarebbe stato configurabile il fumus commissi delicti perchè si trattava di interventi edilizi sottratti alla sanzione penale e semmai passibili di sanzioni amministrative e riconosceva anche la sussistenza del periculum in mora, trattandosi di opere non ancora completate.

M.P. ricorre avverso la detta ordinanza, premettendo – sotto il profilo processuale – la tempestività del ricorso e nel merito, riproponendo le stesse questioni già sollevate e rimaste tuttavia inascoltate dinnanzi al Tribunale del Riesame.

In particolare, dopo una premessa in punto di fatto relativa alle vicende storiche che avevano caratterizzato l’intervento edilizio da lei progettato su commissione dei comproprietari del sito oggetto dei lavori, deduce inosservanza e violazione della legge penale con riferimento all’ipotesi contravvenzionale di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. c), evidenziando che i lavori edili erano assistiti da una D.I.A. in coerenza con quanto stabilito dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 22, comma 3 per la quale si era formato il silenzio assenso da parte del Comune interessato e che in ogni caso i lavori de quibus erano stati eseguiti conformemente alla D.I.A..

Deduce analogo vizio anche con riguardo alla violazione del D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181 rilevando come in modo del tutto erroneo il Tribunale aveva omesso di considerare che la norma di cui all’art. 142, medesimo D.Lgs. escludeva dall’area di applicabilità della norma quegli interventi realizzati in zone omogenee "B".

Anche con riguardo alla supposta violazione degli artt. 93, 94 e 95 muove identica censura, rilevando come la norma in parola non potesse trovare applicazione per interventi edilizi eseguiti in zone cd. "a basso indice di sismicità" quale era per l’appunto, quella sede dei lavori.

In relazione, poi, alla asserita violazione del D.P.R. n. 380 del 2001, artt. 64, 65, 71 e 72 rileva analoga inosservanza della legge penale specificando che la natura delle opere non prevedeva impiego di cemento armato o di altre strutture similari oltre a non far parte strutturalmente dell’edificio nel quale erano state progettate e realizzate.

Ed infine, con riguardo alla contestata violazione degli artt. 55 e 1161 c.n., la ricorrente lamenta erronea applicazione della legge penale evidenziando l’inapplicabilità della norma nelle ipotesi – come quella in esame – di meri interventi di ampliamento esulanti quindi dal concetto di nuova opera.

Il ricorso è infondato.

Va anzitutto ribadita la tempestività del ricorso depositato in data 7 luglio 2010 e dunque entro i termini di legge rispetto alla data di notifica al difensore avvenuta in data 22 giugno 2010, ancorchè la parte personalmente abbia ricevuto la notifica del provvedimento in data successiva (30 giugno 2010), dovendosi dare rilievo esclusivamente al momento in cui il difensore abbia preso conoscenza del provvedimento contro il quale si intende ricorrere e non al momento in cui la parte personalmente ne abbia preso notizia attraverso la notifica.

Ciò posto e passando ad esaminare le varie questioni sottoposte all’attenzione di questa Corte, occorre premettere in via generale – cosi come esattamente ricordato dal Tribunale nell’incipit dell’ordinanza impugnata – che nel caso di adozione di misure cautelari reali, il controllo del giudice del riesame non può investire la concreta fondatezza dell’accusa, ma deve esser limitato alla verifica della corrispondenza della fattispecie astratta di reato ipotizzata al fatto per cui si procede, esulando da tale controllo la possibilità del concreto accertamento delle circostanze di fatto su cui la stessa è fondata, ed, a maggior ragione, delle circostanze di fatto che alle prime, eventualmente, si sovrappongano, rendendo giustificata la condotta dell’indagato; circostanze che sono attribuite alla cognizione del giudice del merito (Cass. Sez. 3A 12.5.1999 n. 1821, Petix, Rv. 214218).

Detto questo, può senz’altro affermarsi che, pur nella sua sinteticità, la motivazione offerta dal Tribunale appare sotto tale peculiare aspetto esaustiva e coerente con i dati fattuali e con quelli normativi, ma soprattutto appare rispettosa del principio giurisprudenziale testè richiamato.

Va, poi, aggiunto, che in tema di provvedimento cautelari di natura reale aventi per oggetto la materia urbanistica è ben possibile che il giudice del Riesame chiamato a pronunciarsi sulla legittimità del sequestro preventivo proceda ad una valutazione di tipo incidentale avente per oggetto una concessione edilizia illegittima: ma, anche in questo caso, l’accertamento della sussistenza del fumus commissi delicti è limitato alla verifica della configurabilità astratta dell’illecito penale in rapporto al fatto contestato desumibile dalla imputazione, senza che sia necessario compiere alcun apprezzamento in ordine alla fondatezza dell’accusa ed alla probabilità di una pronunzia sfavorevole per l’indagato (Cass. Sez. 6A 17.2.2003 n. 23255 Marrone ed altri, Rv. 225674).

Naturalmente tale opera di verifica non potrà essere disancorata dall’esame delle deduzioni difensive offerte dalle parti, essendo preciso obbligo del giudice, quello di dare conto anche delle ragioni per le quali per le quali il fatto integra il reato contestato, posto che quest’ultimo è antecedente logico e necessario del provvedimento cautelare (in questo senso Cass. Sez. 2A 23.3.2006 n. 19523, P.M. in proc. c. Cappello, Rv. 234197; Cass. Sez. 3A 20.5.2010 n. 27715, Barbano, Rv. 248134).

Ovviamente, poichè è compito del giudice quello di esaminare il fumus crìminis in tutte le componenti relative alla fattispecie contestata, ivi compreso l’elemento soggettivo, solo laddove questo risulti ad evidenza insussistente, potrà essere rilevata l’infondatezza dei fumus commisti delieti (in questo senso Cass. Sez. 4A 21.5.2008 n. 23944, P.M. in proc. Di Fulvio, Rv. 240521; Cass. Sez. 3A 11.3.2010, D’Orazio, Rv. 247103).

Corollario di tale proposizione è che nella sola ipotesi della ritenuta insussistenza del fumus commisti delicti in tutti le sue componenti, il sequestro oggetto di riesame potrà (rectius dovrà) essere revocato.

E’ certo che con riferimento al caso di specie le allegazioni difensive prodotte dalla ricorrente in sede di riesame, seppure degne di attenzione nella fase propria del giudizio di merito, sono (e lo erano in sede di riesame) inidonee a superare le contrarie argomentazioni del Tribunale in quanto da esse non emerge affatto l’insussistenza ictu oculi del fumus criminis, ma soltanto elementi di perplessità inidonei a formare oggetto di un giudizio di riesame:

ciò senza dire che l’indagine del Tribunale ha comunque specificamente preso in esame le obiezioni difensive e la documentazione di corredo, correttamente disattendendole alla stregua di elementi documentali dì indubbio ed oggettivo significato, contrario alla tesi difensiva.

Più in dettaglio, è recisamente da escludere che mancasse il fumus criminis con riguardo al reato di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, artt. 93 e 95 non assumendo alcun rilievo – contrariamente alle argomentazioni della ricorrente – la circostanza che la zona sede dei lavori fosse inclusa tra quelle a basso indice sismico.

La norma di riferimento (D.P.R. n. 380 del 2001, art. 83, comma 2 che rimanda al decreto interministeriale con il quale vengono definiti i criteri generali per l’individuazione delle zone sismiche) non pone, infatti, alcuna distinzione in merito alle cd. "categorie" delle zone medesime: trattasi – come precisato in più occasioni dalla giurisprudenza di questa Corte – di normativa finalizzata a garantire l’esercizio del controllo preventivo da parte della P.A. sull’attività edificatoria che si svolge in dette zone (in termini Cass. Sez. 3A 2.10.2007 n. 41617, Iovine, Rv. 238007), con l’ulteriore precisazione che ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 93 e 95 D.P.R. citato, non entra in gioco tanto la prova della natura – sismica o meno – dell’area sulla quale insiste l’opera edilizia, quanto la corretta applicazione della normativa cd.

"secondaria" (nel caso in esame il decreto interministeriale) che individua le zone, indipendentemente, quindi, da una loro classificazione (in tal senso Cass. Sez. 3A 10.5.2007 n. 33767, Puleo ed altro, Rv. 237376).

Invero la legislazione in materia antisismica, nella misura in cui obbliga i soggetti qualificati a sottoporre al controllo ed all’autorizzazione del Genio Civile la realizzazione delle opere edilizie in zona sismicamente vincolata, ha riguardo ad una particolare situazione determinante un pericolo in via astratta di pregiudizio per la pubblica incolumità (ancorchè rimane possibile una eventuale sanatoria dell’opera laddove la situazione irregolare venga poi riportata alla legalità: con la conseguenza che si parla in ipotesi siffatte di reato omissivo "formale" per ciò che attiene all’omessa autorizzazione del genio civile per l’inizio dei lavori (per tali concetti v. diffusamente Cass. Sez. 3A 2.10.1981 n. 34 Campisi, Rv. 151464).

Che sia dunque questa l’interpretazione da dare al significato normativo lo si desume dalla ulteriore circostanza, più volte ribadita dalla giurisprudenza di questa Corte, che non ha alcuna rilevanza nemmeno la natura o struttura dell’opera realizzata (purchè, ovviamente, ricadente in zona sismica), ben potendo la sanzione applicarsi – in caso di inosservanza – anche a quelle costruzioni non in muratura e persino di natura precaria (in tal senso, Cass. Sez. 3A 18.1.2006 n. 10205, Solis ed altro, Rv. 233671;

Cass. Sez. 3A 9.7.2008 n. 38405, Di Benedetto ed altro, Rv. 241288):

soltanto quelle opere consistenti in attività di manutenzione ordinaria esuleranno, quindi, dalla disciplina sanzionatoria (da ultimo, Cass. Sez. 3A 17.6.2010 n. 34604, Todaro, Rv. 248330).

Alla stregua di tali considerazioni correttamente il Tribunale ha ritenuto che l’intervento non fosse circoscritto a lavori di mera manutenzione e che, in quanto ricadente all’interno di area sismica – a prescindere dalla categoria – sarebbe occorsa una autorizzazione preventiva nella specie mancante.

Considerazioni analoghe in punto di configurabilità della fattispecie astratta debbono essere svolte anche con riguardo alla contestazione di cui agli artt. 55 e 1161 c.n..

La norma invocata dalla ricorrente (art. 55 c.n., comma 2) dovrebbe escludere dall’area applicativa tutti qui lavori non qualificabili come "nuova opera" dovendosi in questo senso intendere per opera nuova una vera e proprio innovazione rispetto alla situazione quo ante e non un’attività di tipo manutentivo.

Ma si tratta di un’interpretazione letterale non in linea con l’orientamento seguito da questa Corte in virtù del quale il reato di abusiva occupazione di spazio demaniale si concretizza anche nelle ipotesi di interventi di ristrutturazione di manufatto preesistente, non muniti della preventiva autorizzazione da parte della competente autorità marittima, ancorchè il manufatto (preesistente) fosse stato autorizzato ab origine, in quanto l’autorizzazione iniziale vale solo ai fini del mantenimento "ex post" del manufatto preesistente ma non ha valenza in riferimento alla nuova opera realizzata (Cass. Sez. 3A 4.4.2008 n. 17981, Massacesi, Rv. 240043).

Ed anche in questo caso il Tribunale ha ritenuto applicabile la normativa codicistica facendo riferimento in concreto, ed in termini assolutamente puntuali, alla natura di quelle opere esaminata funditus sulla base dell’articolata produzione difensiva Considerazioni non dissimili valgono, poi, con riguardo alla violazione di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, artt. 64, 65, 71 e 72.

Secondo la tesi prospettata in ricorso esulerebbe dalla disciplina penalistica l’opera realizzata in quanto consistita in componenti metalliche non costituenti elementi strutturali dell’edificio: se può condividersi, in linea di principio, il punto di partenza (vale a dire una circoscritta area di rilevanza penale che appare coerente con la ratto della norma incriminatrice), non appare poi condivisibile in linea di diritto la conseguenza che ne ha tratto la ricorrente avendo essa stessa ammesso che si trattava di una particolare struttura in conglomerato alleggerito inglobata nella struttura dell’edificio in quanto inserita come elemento organicamente facente parte del balcone aggettante. Solo ove si fosse trattato di un elemento a sè stante, indipendente quindi dal corpo dell’edificio, si sarebbe potuto parlare di insussistenza del fumus:

ciò, del resto, trova un ulteriore conforto nella considerazione, non tanto poi sottovoce, con la quale la ricorrente rileva che un eventuale espletamento da parte del P.M. di una consulenza tecnica avrebbe potuto fugare eventuali dubbi in proposito.

Ma proprio perchè i compiti del giudice del riesame sono limitati ad una verifica della corrispondenza della fattispecie astratta di reato ipotizzata al fatto per cui si procede, esulando da tale controllo la possibilità del concreto accertamento delle circostanze di fatto su cui la stessa è fondata, corretta appare la soluzione adottata sul punto dal Tribunale.

Così come del tutto condivisibile è la decisione assunta sul punto relativo alla violazione della disciplina paesaggistico-ambientale (e di riflesso, sulla configurabilità astratta del reato di cui all’art. 44, lett. c) come contestato all’indagata, e non della diversa ipotesi di cui all’art. 44, lett. b) come preteso dalla ricorrente), avendo, anche in questo caso, il giudice di merito dato rilievo all’elemento costituito dalla astratta configurabilità del reato in termini appaganti sul piano logico e coerenti con i dati fattuali disponibili: ciò senza tuttavia non segnalare come la tesi difensiva potesse essere meritevole di un diverso e più specifico apprezzamento da rinviare alla fase di merito, rilevandosi in proposito che le stesse argomentazioni difensive contenute nel ricorso (reiterative delle analoghe questioni prospettate in sede di riesame) lasciano trasparire come, allo stato degli atti – e salvo verifiche postume più approfondite – l’ipotesi contravvenzionale contestata (D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. c)) fosse astrattamente configurabile.

Alla stregua delle superiori argomentazioni il ricorso va rigettato:

segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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