T.A.R. Basilicata Potenza Sez. I, Sent., 08-06-2011, n. 338 Annullamento d’ufficio o revoca dell’atto amministrativo

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

rte ricorrente. Nessuno è comparso per il Comune intimato;
Svolgimento del processo

La ricorrente società svolge attività di estrazione inerti e coltivazione di cava e, fin dagli anni "90, ha avuto in gestione, da parte del Comune intimato, l’area sita in Lauria alla località Valle del’Inferno, distinta in catasto al foglio n.78, p.lla n.137, in parte, per l’estensione di mq.60.000.

A causa di alcune difficoltà economiche della ricorrente, il comune, nel 2006, disponeva l’immediata cessazione dell’attività estrattiva previa declaratoria di decadenza dell’assegnazione di cui era titolare la ricorrente. Nel 2008 però l’istante, rimosse alcune morosità da cui era gravata nei confronti del comune, chiese a quest’ultimo l’assegnazione provvisoria dell’area comunale sopra specificata e l’autorizzazione al recupero del materiale già estratto e lavorato. Con atto del 29/2/08 il sindaco respingeva l’istanza che veniva impugnata avanti a questo TAR che accoglieva l’istanza incidentale di sospensione cautelare. Rispetto a quest’ultima l’amministrazione rimaneva comunque inerte sul piano procedimentale per cui la ricorrente instaurava, sempre avanti a questo TAR, azione per la declaratoria di illegittimità del silenzio rifiuto e per il conseguimento della nomina di un commissario ad acta. Il giorno prima dell’udienza veniva adottata la delibera giuntale n.141 del 4/11/08 di "assegnazione preliminare di fitto di terreno comunale" nel sito predetto per mq. 68.780,00 dello stesso immobile oggetto della concessione di coltivazione scaduta. Fa presente l’istante che la nuova assegnazione constava d’una superficie di mq. 68.780,00, superiore rispetto a quella precedente di mq. 60.000,00 dato che il Comune di Lauria avrebbe posto rimedio a precedenti errori di misurazione riportati in planimetria. Precisa pure l’istante di avere inoltrato presso la Regione l’istanza di autorizzazione regionale alla coltivazione della cava, formulata sulla base di nuove planimetrie conformi alle superfici concesse. Senonchè, con nota n.3654 del 23/2/10, veniva comunicato l’avvio del procedimento di revoca al quale la ricorrente controdeduceva in data 2/3/10. Inoltre, successivamente, con ordinanza n.27 del 18/3/10 il Comune di Lauria ordinava alla ricorrente la demolizione di alcune opere abusive occupanti, secondo l’amministrazione, l’area assegnata in concessione. Dette opere venivano impugnate con separato ricorso avanti al TAR Campania di Salerno presso cui tutt’ora sono pendenti; per uno dei moduli prefabbricati veniva pure chiesto l’accertamento di conformità.

Nel frattempo interveniva però il provvedimento impugnato, di revoca della deliberazione di Giunta Comunale n.141/08 di assegnazione dell’area con declaratoria della decadenza dell’autorizzazione all’utilizzo in fitto della stessa. Le ragioni posta dal comune a sostegno della revoca, in base alle premesse dell’atto, sono sostanzialmente le due seguenti: -uno sconfinamento di 15 ml sul contorno superiore della cava; -effettuazione di lavori edilizi abusivi.

Col presente gravame, notificato il 5/11/2010, si deduce quanto segue:

1.- violazione di legge (artt. 3 e 10 l. n. 241/90)- eccesso di potere (travisamento- difetto di istruttoria- arbitrarietà- illogicità- difetto del presupposto- sviamento).

La memoria partecipativa inoltrata in sede procedimentale dalla ricorrente non sarebbe stata contro dedotta dal comune che avrebbe giudicato incondivisibili dette osservazioni senza spiegare perché.

2.violazione di legge (art. 10 regolamento comunale per l’assegnazione di aree comunali per finalità estrattive approvato con deliberazione consiliare n.85 del 30/11/06- art. 21 quinquies l. n. 241/90- eccesso di potere (difetto assoluto del presupposto- di istruttoria- erroneità manifesta- travisamento- sviamento).

Si osserva in primo luogo che il regolamento comunale richiamato dal Comune non prevede ipotesi di revoca e/o decadenza dall’assegnazione preliminare ma solo la risoluzione contrattuale. Del resto lo sconfinamento si sostanzia con l’escavazione e il deposito dei materiali, che presuppone l’inizio dei lavori, effettuabili solo dopo l’approvazione del piano di coltivazione e il conferimento dell’assegnazione definitiva.. Si aggiunge che sarebbe erroneo pure il richiamo, nell’atto impugnato, all’art. 21 quinquies della legge n. 241/90, dato che non sarebbe stato invocato alcun motivo di interesse pubblico, non sarebbe mutata alcuna situazione di fatto né sarebbe stata eseguita o rappresentata una nuova valutazione dell’interesse pubblico originario; inoltre non sarebbe stata specificata l’ipotesi applicata. Allo stesso modo non sussisterebbe un interesse pubblico o una nuova valutazione dell’interesse pubblico. Per di più, tutte le circostanze addotte nel provvedimento impugnato sarebbero preesistite all’assegnazione preliminare e il presunto sconfinamento sarebbe stato addirittura sanato dal Comune con la delibera di assegnazione revocata relativa infatti ad una maggiore superficie di mq. 8.780;

3.violazione di legge (art. 10 del regolamento comunale e art. 21 quinquies citato)- eccesso di potere (difetto assoluto del presupposto, di istruttoria, erroneità manifesta, travisamento, sviamento).

Si ribadisce che il contestato sconfinamento e le relative traslazioni planimetriche sarebbero pienamente conformi alla delibera di G.C. n.141/08 ora revocata. Inoltre, il tecnico nominato dal comune nel maggio 2008 avrebbe accertato gli errori planimetrici e la p.a. avrebbe, con la delibera revocata, appunto corretto gli stessi disponendo l’assegnazione di 68.780,00 mq. In pratica lo sconfinamento sarebbe al più riferibile alla precedente gestione e sarebbe stato ormai sanato. Ove l’assunto della p.a. fosse fondato, essa avrebbe dovuto invitare la ricorrente a modificare la suddetta planimetria ma non disporre la revoca. Quanto poi alla circostanza (citata dal comune), ma irrilevante, che l’area sia recintata e il cancello sia chiuso con lucchetto non apposto dal comune si evidenzia che la recinzione esiste da venti anni e che serve a garantire condizioni minime di sicurezza e per evitare l’accesso alla cava da parte di persone non autorizzate. Circa l’insistenza nell’ambito dell’area di una pala meccanica, un’automobile e di un impianto di frantumazione, si rileva che questi erano beni strumentali all’esercizio dell’attività d di cava esercitata fino alla decadenza della precedente concessione. Le opere edilizie sarebbero poi non ricomprese nell’ambito dell’area comunale oggetto del preliminare di fitto, preesistenti a quest’ultimo e comunque potrebbero giustificare solo sanzioni edilizie. Infine, quanto ai "cumuli di sabbia e altri inerti di produzione e accumulo apparentemente abbastanza recente in assenza di autorizzazione regionale" presenti alla base dell’impianto di frantumazione, secondo il ricorrente sarebbe materiale estratto e lavorato per effetto della precedente autorizzazione regionale e fatturato dal Comune di Lauria sul cui recupero, formalmente chiesto al Comune, questi non si sarebbe mai pronunciato.;

4.violazione dell’art. 21 quinquies l.n. 241/90- eccesso di potere (difetto assoluto del presupposto- di istruttoria- erroneità manifesta- travisamento- sviamento.

Si deduce l’illegittimità del provvedimento impugnato in relazione al fatto che l’amministrazione avrebbe disatteso l’obbligo di provvedere all’indennizzo previsto dalla disposizione in rubrica.

Si è costituito il Comune di Lauria che resiste e deduce l’infondatezza del gravame.

Con ordinanza collegiale n. 348 del 16 dicembre 2010 è stata accolta l’istanza incidentale di sospensione cautelare del provvedimento impugnato.

Alla pubblica udienza del 7 aprile 2011 il ricorso è stato ritenuto per la decisione.
Motivi della decisione

Il ricorso va accolto.

In primo luogo appare fondato il secondo motivo di ricorso già indicato da questo Tribunale in sede cautelare.

Deve premettersi al riguardo che l’art. 10 del regolamento comunale per l’assegnazione di aree comunali per finalità estrattive -invocato dall’amministrazione resistente in sede provvedimentale a giustificazione della revoca- consente al comune di "dichiarare risolto il contratto prima della sua scadenza" in una serie di casi fra cui quello dello "Sconfinamento dell’area di cava, sia con escavazione che con deposito di materiali". Trattasi, come reso evidente non solo dalla locuzione adoperata ma anche dalla collocazione di tale disposizione in seno al corpo normativo di cui è parte, di facoltà dell’ente il cui esercizio presuppone l’esistenza, in capo all’operatore economico interessato, della titolarità d’una assegnazione definitiva dell’area, oltre che delle altre autorizzazioni quale, in primis, quella di competenza regionale. Ebbene, nella fattispecie il ricorrente era invece titolare esclusivamente di assegnazione preliminare delle aree comunali destinate a cave (cfr. art. 2 regolamento), per sua natura avente carattere provvisorio e che, dietro pagamento d’una somma forfettaria al comune concedente, consente solo la "messa in disponibilità" del terreno in favore dell’istante e l’impossibilità d’un diverso uso da parte dell’amministrazione; il tutto, senza possibilità per l’istante di avviare l’attività estrattiva.

Di conseguenza l’art. 10 è stato malamente applicato dal comune di Lauria.

Al Collegio non sfugge che il provvedimento impugnato è stato comunque adottato sulla base dell’art. 21 quinquies della legge n.241/90 che consente alla p.a. di revocare un provvedimento amministrativo per "sopravvenuti motivi di pubblico interesse ovvero nel caso di mutamento della situazione di fatto o di nuova valutazione dell’interesse pubblico"; al riguardo, nelle premesse dell’atto impugnato, viene ritenuto sussistente detto interesse pubblico, concreto ed attuale, nella necessità di impedire che l’assegnazione preliminare citata "possa continuare a produrre effetti, anche alla luce delle attività abusive poste in essere dalla società, ivi compresa l’estrazione ed accumulo di sabbia ed altri inerti in assenza di autorizzazione regionale".

Ma, sul punto, osserva il Collegio che il preteso "sconfinamento", come osservato dal ricorrente, non appare esser stato adeguatamente dimostrato dall’amministrazione atteso chè, premesso che lo stesso deve tradursi in condotte concrete dell’esercente la cava (quali l’escavazione e/o il deposito di materiali, richiamati proprio dall’art. 10 lettera a sopracitato):

non appare sufficiente, sotto il citato profilo probatorio, l’eventuale discordanza, puramente cartolare, fra gli elaborati grafici in possesso dell’amministrazione -e attinenti la precedente autorizzazione regionale scaduta- e la planimetria allegata alla richiesta di nuova autorizzazione ambientale presentata alla Regione e non ancora rilasciata;

neppure l’istruttoria effettuata dall’amministrazione mediante sopralluoghi "in sito" asseconda la prova di concrete condotte (scavi e/o materiali depositati) del ricorrente, successive alla data di rilascio dell’assegnazione preliminare, dato che il reperimento, nel corso del sopralluogo da parte di personale dell’u.t.c. comunale e della polizia municipale, "alla base dell’impianto di frantumazione" di "cumuli di sabbia ed altri inerti di produzione e accumulo" in assenza di autorizzazione regionale, sono stati ritenuti di formazione "apparentemente, abbastanza recente", con accertamento quindi palesemente generico e perplesso quanto al momento dell’effettuazione, tanto più alla luce del fatto che la cava in questione per svariati anni e fino al 2006 (anno in cui è stata dichiarata decaduta dall’assegnazione) è stata coltivata dalla ricorrente in modo intensivo e che, in effetti, la stessa rivendica tutt’ora l’autorizzazione al recupero di materiale (inerti) a suo tempo estratto su cui, come si evince dagli atti di causa, l’amministrazione si è riservata di determinarsi nonostante l’estinzione, da parte del ricorrente, del debito di euro 54.828 nei confronti del Comune formatosi a seguito della pregressa gestione.

Quanto infine alle pretese opere abusive edilizie realizzate, va premesso che le stesse, accertate a seguito di sopralluogo del 12/3/2010, consistono in una baracca prefabbricata in lamiera semplicemente appoggiata al terreno e in due piccoli manufatti in blocchi di cls, verosimilmente pertinenziali rispetto all’attività svolta, già autonomamente sanzionate mediante ordinanza di demolizione e successivo accertamento di inottemperanza, allo stato impugnate avanti al TAR della Campania, sezione di Salerno dalla ricorrente con gravame depositato il 17/6/10 e tutt’ora pendente. Già solo l’esistenza di quest’ultima circostanza, evidenziata e documentata in gravame, non consentiva all’amministrazione di porla, assieme al presunto sconfinamento, a sostegno della revoca dell’assegnazione preliminare.

Per queste ragioni l’atto impugnato va quindi annullato. La domanda risarcitoria va invece dichiarata inammissibile perché del tutto generica.

Tenuto conto comunque dei rapporti amministrativi ed economici pregressi e in essere fra il ricorrente e l’amministrazione comunale, ritiene il collegio che sussistono comunque giusti motivi per compensare le spese di giudizio fra le parti.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Basilicata (Sezione Prima)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie quanto alla domanda di annullamento della delibera giuntale n.90 del 2/7/10 e lo dichiara inammissibile relativamente alla domanda risarcitoria.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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